L’altra sera, mentre assistevo al confronto televisivo tra Matteo Renzi e Gustavo Zagrebelsky sul referendum costituzionale del 4 dicembre, mi convincevo sempre di più che il berlusconismo, nel nostro Paese, ha vinto, non foss’altro perché, al netto delle sorti politiche del leader di Forza Italia, esso non ha perso, tanto è ancora radicato nel modo di fare politica nostrano (ciò di cui l’attuale premier è l’esempio lampante).
Quando parlo di berlusconismo faccio riferimento, sì, a diverse cose, tra cui l’essere animali da palcoscenico, l’essere arroganti con l’interlocutore del momento o il manifestare con la semplice espressione del viso la convinzione di essere superiori agli altri, ma non si tratta solo di questo. In particolare, intendo riferirmi a quella che reputo la peggiore eredità di tale modus “politicandi”, ossia la capacità di rovesciare la realtà, piegandola al proprio volere così da suffragare un’opinione o giustificare una scelta politica, un intervento militare, una riforma costituzionale, che, in questo modo, sono pronti per essere “venduti” al popolo/pubblico alla stregua di un qualsiasi prodotto da pubblicizzare e piazzare sul mercato.
Renzi ha estrinsecato bene questo atteggiamento durante il confronto condotto da Mentana, sfoderando una serie di slogan volti a descrivere in via semplificata e accessibile a tutti la sua realtà, l’unica possibile: un mondo alla “The Truman show” dove non vi è spazio per l’analisi approfondita dei fatti (figuriamoci delle riforme costituzionali e delle leggi elettorali ad esse evidentemente organiche), un mondo fuori dal quale esiste solo “la palude”, come più volte ripetuto dal Presidente del Consiglio.
Proprio così: chi non vuole la splendida riforma costituzionale di Renzi, Boschi, Verdini, Alfano, ama la palude, l’immobilismo, la conservazione, è un nostalgico del passato, un romantico che però non manderà mai avanti il Paese (per quello ci vuole gente concreta, moderna, aperta al cambiamento, ci vuole Renzi, insomma).
Eppure oggi, 2 ottobre 2016, con la sua riforma costituzionale non ancora entrata in vigore (e, si spera, mai vigente) e quindi con il bicameralismo paritario ancora in funzione, Renzi è presidente del Consiglio da più di tre anni (tant’è che lo stesso può vantarsi con Zagrebelsky che la sua legislatura stia durando più di quelle di De Gasperi, Moro o Andreotti) e ha condotto in porto un numero notevole di (pessime) riforme (dall’Italicum alla riforma costituzionale di cui si discute, dal Jobs Act alla Buona Scuola, dalla legge anticorruzione al nuovo Codice degli appalti), cosa che non era riuscita, in tale quantità, a molti suoi predecessori.
Insomma, non male per una palude in cui regnerebbero immobilismo e anacronismo, o in cui il Parlamento non sarebbe “degno”, come affermato oggi dall’illuminato ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano, non nuovo ad uscite del genere.
Dati alla mano, e volendo tralasciare per un attimo la narrazione renziana, questa palude non sembra poi tanto palude: prendendo come fonte la Camera dei deputati, risulta che, nella XVI legislatura (2008-2013), i disegni o progetti di legge divenuti legge con più di 4 letture sono 3, quelli divenuti legge con 4 letture sono 12, quelli divenuti legge con 3 letture sono 45 e, infine, quelli divenuti legge con due letture (quindi in assenza del fenomeno del c.d. ping-pong tra Camera e Senato) sono 301, ergo la netta maggioranza.
A ciò si aggiunga (fonte, ancora una volta: Camera dei deputati) che nel periodo 1997-2011 la produzione legislativa, in Italia, è stata nettamente superiore a paesi come la Francia (che pure è stata citata dal premier come grande esempio di paese a bicameralismo imperfetto ed efficiente), con 1894 leggi contro 1385, la Spagna, con 700 leggi, e il Regno Unito (altro esempio citato da Renzi), con 630 leggi; solo la Germania, invero, ci supera, con 2153 leggi prodotte nel periodo su indicato. Che si metta in discussione il bicameralismo paritario in sé è certamente comprensibile, ma che lo si individui come unico e solo responsabile delle presunte lungaggini nell’approvazione delle leggi in Italia è ingiusto, oltre che pretestuoso.
Del resto, come correttamente osservato dal prof. Zagrebelsky ieri, se una legge come quella sulle unioni civili ha impiegato decenni per venire alla luce, la colpa non sarà certo del bicameralismo perfetto, a meno di non voler ritenere l’area cattolica, con un pizzico di fantasia, progressista e libertaria.
Tuttavia a Renzi poco o nulla interessano i dati reali, basta bombardare chiunque con lo slogan del “superamento del bicameralismo paritario”: non conta, per lui, il modo attraverso cui verrebbe superato, mediante la sua riforma, tale forma di bicameralismo, né se l’aumento smisurato di iter legislativi (se ne contano tra gli 8 e i 12, introdotti dalla riforma in questione) rispetto ai soli due attualmente esistenti, comporti o meno la famigerata semplificazione di cui da mesi va riempiendosi la bocca.
Così come, a tutta evidenza, poco importa, al suddetto, dei dati forniti dalla Ragioneria dello Stato in merito ai risparmi sui costi del Senato che si otterrebbero qualora la sua riforma venisse approvata dai cittadini il 4 dicembre: cosa sarà mai una differenza di 440 milioni di euro tra i calcoli della Ragioneria dello Stato, che stimano in 58 i milioni che potenzialmente saranno risparmiati riducendo il numero dei senatori, e quelli suoi e del suo Governo, che parlano di ben 500 milioni di euro, peraltro da destinare ai poveri? Niente, la Ragioneria dello Stato non conta nulla, o forse non esiste, non è reale. Ciò che è reale, per Renzi, è che chi si rifiuta di approvare la sua riforma automaticamente vuole tenersi il “Parlamento più costoso d’Occidente”, formula ripetuta come un mantra dai suoi adepti mentre il duello televisivo con Zagrebelsky non era ancora terminato. Mefistofele, prendi nota.
Ma la sfilza di stravolgimenti della realtà, da parte dell’audace Matteo, non finisce certo qui: clamorosa la sfacciataggine con la quale Renzi accusa Zagrebelsky di incoerenza, citando una presunta dichiarazione di quest’ultimo, risalente a qualche anno fa, nella quale il giurista torinese si diceva favorevole a una legge elettorale di tipo maggioritario, con tanto di premio di maggioranza e (eventuale) ballottaggio.
Già, esattamente così. Renzi, colui che definì l’Italicum la legge elettorale più bella del mondo, e che ora dice di volerla cambiare (guarda caso dopo che il PD ha perso tutti i ballottaggi nel corso delle ultime elezioni amministrative), colui che disse a Letta di star sereno, salvo poi defenestrarlo dopo pochissimo tempo, accusa Zagrebelsky di incoerenza. Zagrebelsky a cui, sempre da parte del fiorentino, viene rimproverato di offendere gli italiani per i suoi timori circa il rischio di autoritarismo (Zagrebelsky, più che altro, parla di rischio di deriva oligarchica), prospettando scenari apocalittici in caso di vittoria del sì. Eppure io ricordo un ministro della Repubblica che non molto tempo fa parlava di rischio terrorismo in caso di vittoria del no; ricordo Confindustria preconizzare catastrofi politiche ed economiche in caso di trionfo del no. Scommetto che per Renzi anche allora venivano offesi gli italiani.
O forse non è così? Rosa Luxemburg affermava che esistono due specie di organismi viventi, gli uni provvisti di una spina dorsale che camminano e a volte corrono, gli altri, essendo invertebrati, strisciano o aderiscono.
Sta a noi decidere cosa essere, partendo da una seria e non superficiale comprensione della realtà che ci circonda, al fine di non rimanere vittime inconsapevoli di uno show architettato da altri, dove la politica non è più servizio, non è più “governo della complessità”, citando Zagrebelsky, ma è una messa in scena in cui il prevaricatore, o meglio, alla Marx, la classe dominante, costruisce ad arte i bisogni di tutti gli altri, i dominati. “BuongiorNO, e se caso mai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte!”.
ANTONIO MOSCA
redazionale
2 ottobre 2016
foto tratta da Pixabay