Israele, svolta d’estrema destra nell’«unica democrazia»

Con una sinistra quasi scomparsa, con una grande maggioranza nazionalista, Israele si prepara ai dibattiti nei quali Netanyahu cercherà di evitare il carcere, anche a prezzo di una coalizione più estremista, xenofoba e razzista della precedente, aggravando la situazione nei territori occupati e smontando quel che rimane dello Stato di diritto

Il premier Benyamin Netanyahu ha ottenuto per il suo partito – il Likud – 35 seggi al Parlamento (su 120). È arrivato a 35 anche il suo concorrente più temibile, il generale Beni Gantz della coalizione «Blu e Bianco». Il conteggio finale dei voti non inciderà sul dato principale. Il blocco di destra vanno 65 seggi e a quello di centro-«sinistra» 55.

Qual era la vera posta in gioco? E quali ripercussioni avrà il risultato elettorale sull’occupazione, sulla pace, sul crescente razzismo e sulla politica socioeconomica del paese? Che cosa accadrà nei prossimi giorni, quando Netanyahu inizierà a costruire la sua nuova-vecchia coalizione?

Il premier ha voluto le elezioni anticipate per evitare l’impatto della pubblicazione delle accuse – frode, corruzione e altro – che potrebbero portarlo in carcere. Ora cercherà di coinvolgere i possibili alleati in iniziative parlamentari destinate a sospendere queste azioni legali della magistratura durante la prossima legislatura. Non è detto che riuscirà nell’intento: diversi parlamentari, anche del suo partito, hanno già dichiarato che non appoggeranno iniziative di questo tipo.

Alle elezioni precedenti, la Lista araba unita (una coalizione di partiti) aveva ottenuto 13 seggi. Problemi interni e questioni di ego hanno poi portato alla rottura e a due partiti, che hanno ottenuto 6 seggi (la lista congiunta del Partito comunista israeliano e Ahmad Tibi), mentre 4 sono andati all’alleanza Balad-islamici. Perché i palestinesi israeliani non hanno votato?

La campagna elettorale era iniziata con l’apparizione a sorpresa di «Blu e bianco», la lista guidata da un prestigioso ex comandante dell’esercito. La risposta della destra era stata: Beni Gantz e il suo partito collaborano con la sinistra e per formare una coalizione si appoggeranno agli arabi.

In Israele, il termine «sinistra» è diventato un insulto: quelli di sinistra sono traditori, collaborazionisti con il nemico, antipatriottici, peggiori degli arabi, danneggiano il paese e la popolazione, sono i responsabili dei «crimini di Oslo» – gli attacchi terroristici verificatisi negli anni successivi all’accordo israelo-palestinese fra Rabin, Peres, Arafat. I partiti arabi, poi, appoggerebbero il terrorismo e promuoverebbero la distruzione dello Stato di Israele.

«Cosa? – dice scandalizzato Gantz – Nell’ultima guerra di Gaza (quella del 2014, ndr) ho fatto uccidere 1324 terroristi….Mentre Bibi stava tranquillo negli Stati uniti, io ero in trincea, nel fango, a combattere». E come hanno reagito laburisti? «Non fonderemo la nostra coalizione sui partiti arabi», hanno fatto sapere in campagna elettorale.

In sintesi, la classe politica in generale ha accettato la delegittimazione messa in atto da Bibi. Solo pochi intellettuali e persone di sinistra hanno osato dire che anche gli arabi d’Israele sono cittadini, e dunque con eguali diritti. Ma Bibi Netanyahu aveva detto: «Sono cittadini ma questo è uno Stato ebraico». «La “legge della nazione” – ha scritto giustamente ieri su Haaretz Amir Fuks – è una legge che discrimina, ed è stata un elemento importante nella decisione di molti di non andare a votare».

Io credo che sia vero, la legge introduce l’apartheid. Ma questo non è tutto, ed ecco perché non pochi hanno fatto appello a non disertare le urne. La questione è seria. Ma se anche tutti i palestinesi israeliani fossero andati a votare, rimarrebbe una domanda: che cos’è una democrazia che decide sulla vita e sulla morte di quattro milioni di palestinesi dei territori occupati, persone sprovviste dei più elementari diritti umani e politici?

Se la «sinistra», i liberali, o semplicemente esseri umani decenti non se lo chiedono, lasciano a margine la questione essenziale in un processo elettorale. Uno Stato, due o tre: continueremo con la realtà abietta di un’occupazione crudele? Qui è in gioco non una «pace» astratta, ma la vita e i diritti di milioni di palestinesi.

In una contesa dominata dal dilemma referendario «Bibi sì, Bibi no», si è sottolineata la questione della corruzione, ma molti hanno dimenticato che questa ormai non è più una precondizione nei sistemi cosiddetti liberali. Trump, Orbán, Berlusconi e altri sono stati in grado di attirare consensi. «Buon delinquente cercasi»: la formula ha avuto successo non solo in Israele.

Ci sono state alcune dichiarazioni a favore di un miglioramento nel sistema sanitario, o riguardo ai prezzi delle case in Israele ma, come nella maggior parte dei paesi europei, non si mette in discussione seriamente e in maniera radicale il neoliberismo che negli ultimi trent’anni ha dominato il discorso pubblico nella maggior parte dei paesi capitalisti.

I laburisti israeliani hanno ottenuto sei (!) seggi al parlamento: è un grave colpo per il partito dei «fondatori», che ha dimenticato perfino il concetto di socialdemocrazia. Gantz e il suo partito «Blu e bianco», che teoricamente erano l’alternativa a Netanyahu, non sono riusciti a rubare voti alla destra. Nella lista avevano incluso alcuni estremisti di destra come l’ex ministro della difesa di Netanyahu, Boggy Iaalon, e altri collaboratori del premier. I «moderati» si sono schierati con quelli…

Con una sinistra quasi scomparsa, con una grande maggioranza nazionalista (anche nei partiti alternativi), senza nessuna discussione sui temi di fondo, Israele si prepara ai dibattiti nei quali Netanyahu cercherà di evitare il carcere, anche a prezzo di una coalizione più estremista, xenofoba e razzista, della precedente, aggravando la situazione nei territori occupati e smontando quel che rimane dello Stato di diritto.

ZVI SCHULDINER

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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EsteriPalestina e Israele

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