Ipotesi mostruosamente concrete di evoluzioni terzopoliste

La schermaglia tra Renzi e Calenda sul partito unico (o “unitario“, come preferiscono chiamarlo quelli di Italia Viva…) è niente altro se non la miserevole diatriba centrista su chi...

La schermaglia tra Renzi e Calenda sul partito unico (o “unitario“, come preferiscono chiamarlo quelli di Italia Viva…) è niente altro se non la miserevole diatriba centrista su chi debba avere il futuro controllo di una forza politica capace di raccogliere attorno a sé il sette, l’otto forse anche il nove per cento dei consensi di un elettorato striminzito, reso tale dalla lontananza della politica istituzionale dai bisogni sociali, dalle necessità più generali e comuni.

Chi può rappresentare queste esigenze popolari peggio del cosiddetto Terzo Polo, forse, è solamente la destra di governo attuale. Se, infatti, renziani e calendiani assimilano via via il retaggio rappresentativo della borghesia d’alto bordo, quella un tempo convogliata nelle fila della Casa delle Libertà attraverso il viatico forzitaliota, la maggioranza meloniana fa di tutto per trascinare sempre più nella rivoluzione conservatrice, bigotta, repressiva, xenofoba e omorespingente ogni possibile settore della società italiana.

Il tentativo di egemonizzazione culturale (concetto forse un po’ inadatto alla bassezza delle intenzioni e dei presupposti dei fratelli italiani e dei loro alleati) appare circostanziato da una serie di improvvisazioni che rischiano di far sembrare il Terzo Polo una specie di ancora pregiata di salvataggio, in quanto a competenze in materia di congiunzione tutt’altro che astrale degli interessi interclassisti: la seduzione da parte delle destre dei ceti popolari si può sposare con una rassicurazione, data essenzialmente al mondo del mercato e dell’alta finanza, che c’è nel Parlamento italiano e nel Paese chi pensa seriamente alla tutela dei privilegi.

Al di là dei litigi da operetta e da cenetta delle beffe, il duo Calenda – Renzi si gioca una partita anche tutta interna allo schieramento altro tanto dai progressisti quanto dalle destre, ma lo fa ben sapendo che chi conquisterà il primo posto nella corsa alla segreteria del nuovo soggetto che – se tutto va ancora peggio – nascerà con un congresso ad acta nell’autunno prossimo, sarà il terzo tra Meloni e Schlein nel gioco dell’alternanza maggioritaria.

Se, oggettivamente, tutto fa ritenere probabilissimo una sorta di compromesso fra numero di tesserati maggiore da parte di Italia Viva e leadership di Calenda, visto l’impegno a “Il Riformista” per l’ex Presidente del Consiglio e già sindaco fiorentino, non è affatto scontato il futuro collocamento della “cosa centrista“.

Dovendo occupare necessariamente quella porzione di vita politica sia parlamentare sia (anti)sociale, il molto poco risibile dilemma è: l’unione tra Azione e Italia Viva intenderà produrre un effetto dirompente verso destra (e verso parte del sempre meno perimetrabile centrosinistra) e fagocitarsi parti di questo, oppure giocherà di tattica sul breve periodo e farà da sponda, di volta in volta, replicando quanto fatto fino ad ora, alla maggioranza di governo?

Tra crediti di imposta e detassazioni a tutto spiano per le imprese, la candidatura della Cosa di centro ad essere la longa manus del mercato fuori e dentro l’ambiente di gestione delle politiche per le imprese, influenzando parte delle decisioni governative, è già presentata ben da prima della decisione della fusione molto a caldo dei due partiti inventati da Renzi e Calenda.

Le cattive condizioni di salute di Silvio Berlusconi hanno ipotecato la fine di Forza Italia ad una data ben più vicina di quanto ci si potesse immaginare e i terzopolisti sono appolaiati sui rami del rinsecchito albero della politica italiana, pronti a sorvolare le ultime vestigia della creatura ultratrentennale del Cavaliere. La salvezza attuale del partito di Arcore è tutta, solamente vincolata alla sua permanenza nell’area di governo.

Per questo, proprio sul balletto consueto sulle nomine governative degli amministratori delle grandi società un tempo solo pubbliche, la voce grossa tanto di FI quanto della Lega ha avuto ancora maggiore risalto alla luce della ulteriore debolezza che sarebbe derivata per i due partiti da un ridimensionamento del loro ruolo ben oltre le stanze di Palazzo Chigi.

La lotta disperata per la sopravvivenza nell’ambito del settore paludoso del centro-destra (con un bel trattino in chiara evidenza tra i due termini geopolitici) vede più degli attori che la interprentano maldestramente. Una fitta rete di interessi economici supporta da sempre chi si fa portavoce dei privilegi di classe, del padronato confindustriale e di quello che scuda i capitali esteri, fa affari con l’esatto contrario dell’interesse nazionale e che, soprattutto, vive alle spalle del mondo del lavoro.

Le proposte programmatiche del Terzo Polo sono tutte dirette ad un rafforzamento di un asse antisociale, fieramente liberista che, da questo punto di vista, intende dare battaglia alla ricomposizione di qualunque probabile schieramento di centrosinistra e ancora di più di sinistra moderata nell’orizzonte di un cambio di paradigma di governo improntato ad una alternativa netta alla dimensione esclusivamente imprenditoriale e finanziaria della politica italiana.

La vera sfida della Cosa di centro è, però, al momento la contesa con il centrismo di destra: la separabilità di questo dall’area di maggioranza di governo è escludibile. Per questo, almeno nei prossimi mesi, si può dare per certo il compito di un partito renziano-calendiano che miri ad un progressivo logoramento esterno di quel perimetro, tentando alle proporzionalistiche elezioni euroepee del 2024 una sorta di patto che magari federi le forze liberali, cattoliche, moderate e riformiste.

Scenari ipotetici, è ovvio, ma comunque immaginabili, visto che la nostra politica nazionale ci ha abituati secolarmente al camaleontismo, ai salti da uno schieramento all’altro senza nemmeno l’onere di una timidissima vergogna. Tutto può succedere e molto di quello che oggi paventiamo accadrà.

Una serie di giusti timori, allora, è giusto conservarli e, magari, aumentarli pure a livello quasi massimo per i disegni di stravolgimento del carattere parlamentare della Repubblica: la ministra Casellati lavora ad una bozza di conversione semipresidenzialista che, insieme al pasticcio devastante calderoliano, è una mina innescata alla base della democrazia rimasta in un contesto sempre meno sociale, divisivo e tutt’altro che inclusivo del nostro essere Paese, Stato, Nazione dentro una Europa al servizio dell’atlantismo NATO e dei sogni imperialistici americani.

Questi non sono sogni mostruosamente proibiti, divertissement politici, tentazioni allusive ad un futuro solo immaginabile. Sono ipotesi, certo, ma dentro il confine del probabile più che sel semplice possibile, con una tendenza oggettiva ad una espansione, perché l’area di centro dell’agone politico italiano è in subbuglio e gorgoglia rumorosamente da tempo. La manifesta incapacità del governo di Meloni nel “mettere a terra” il PNRR lascia chiaramente ipotizzare, se non ancora un ultimatum delle classi dirigenti nazionali, quanto meno un avvertimento all’esecutivo.

Il quotidiano di Confindustria, che pubblica giornalmente un monitoraggio dell’impiego delle risorse del tanto celeberrimo piano, in forma di analisi economica rileva una carenza di interventi governativi in merito: il fatto che gli “obiettivi” siano stati centrati, in linea di massima, non significa che troveranno, sic et simpliciter, la loro applicazione pratica e che, quindi, dalle parole e dagli scritti programmatici si passi poi ai fatti.

La critica dei terzopolisti nei confronti del governo è propagandisticamente risoluta nel rivolgersi al Paese, mentre assume toni più moderati e concilianti negli ambienti parlamentari. Se Giorgia Meloni non sarà in grado di superare i dubbi del ministro Fitto e, soprattutto, quelli della Commissione europea, è evidente che il gradimento delle borghesia italiana potrebbe iniziare a spostarsi dall’appoggio incondizionato ad un sostegno ipotecario, vincolato alla realizzazione di progetti il cui unico scopo è un arricchimento privato, mentre i benefici pubblici saranno un accidente di contorno.

La sfida della Cosa di centro, dunque, si inserisce anche e soprattutto in questa grande epopea economico-finanziaria della politica italiana e, sia quel che sia, tutto può essere in dubbio ma non che, caracollando vecchi cavalieri ormai disarcionati, a prenderne il posto vi sia già la gara dei pretendenti. La moderna giostra è cominciata. Qualcuno abbia il coraggio di darle il via…

MARCO SFERINI

13 aprile 2023

foto: screenshot, elaborazione propria

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