C’è una differenza, probabilmente, tra me e un leghista. A dire il vero ce ne sarebbero molte più di una, diciamo che bisognerebbe trovare anche una sola affinità tra me e un leghista… Ma, per paradosso, ammettiamo che esista una differenza nello specifico caso della “legittima difesa” e della legge appena trattata e approvata dai due rami del nostro Parlamento. E la differenza sostanziale è questa: io non riuscirei mai a portare un arma addosso, a tenerla in casa, a immaginare di doverla usare. Probabilmente, vista la proposta della Lega Nord in materia di “legittima difesa”, i leghisti sono più propensi ad armarsi per esercitare la tutela della propria persona.
Ma anche la proposta appena approvata dalla maggioranza governativa, che alla Lega proprio non piace in quanto risulterebbe troppo “morbida”, non
Non penso certo che i disarmati siano disarmanti: non penso, quindi, che debbano apparire o essere persone pronte a scoraggiare la difesa della propria integrità morale, fisica, patrimoniale.
Ma ritengo che per fare tutto questo, si possa tranquillamente fare a meno di diventare “La Legge”, di sostituirsi allo Stato e quindi diventare tanti piccoli sceriffi in erba che, “di notte” hanno oggi una e più attenuanti rispetto a ieri se sorprendono un ladro in casa.
Chi mai vorrebbe provare piacere in ciò? Nessuno gode nel trovarsi un ladruncolo davanti alla porta di una finestra, mentre armeggia e tenta di entrare nella dimora per derubarti nel sonno, magari anche di giorno…, e magari spruzzarti dell’anestetico per evitare che tu possa dargli noia mentre “lavora” e ti svaligia casa.
Ecco, vorrei che provassimo a ragionare in questi termini: io rifiuto categoricamente e liberamente di armarmi per difendermi. Non è soltanto un rifiuto riconducibile ad una avversione psicologica per la pistola, per un fucile, ma è in particolar modo un NO ad una concezione anche politica della difesa.
Non voglio che la mia “legittima difesa” sia giusta e magari è pure inopportuna sul piano di una qual specie di “strategia” dell’evitamento del furto e dell’aggressione, molto modestamente credo che le norme per l’esercizio della tutela personale nelle abitazioni e in qualunque luogo fossero già sufficienti e fossero correttamente inserite in un rapporto tra aggredito e aggressore tali da non consentire sproporzioni e interpretazioni eccessive dei fatti dall’una e dall’altra parte in causa.
Ma la sicurezza è un tasto su cui invece serve agire per ottenere consenso popolare: oggi non c’è ambito della vita quotidiana che meriti il titolo di “sicuro”. L’insicurezza non è soltanto fuori dalle nostre case ma esiste, prospera e si autoalimenta anche dentro le nostre abitazioni.
E’ l’insicurezza di vivere con padri che non abusino dei figli, di quei bravi padri eterosessuali che hanno dei figli e che li maltrattano in mille modi: salvo poi vedere negato ad una coppia non etero, formata da un uomo e da una transgender il diritto ad avere un figlio e poterlo crescere. La sicurezza, in questo caso, è data dalla “normalità”: e sempre di una “norma” si tratta. Ciò che travia, che devia dal sentiero della comune accettazione dei valori millenari diviene peccato, quindi ignominia e quindi diventa perseguibile e anatemizzabile.
Così avviene per la sicurezza sul lavoro: quanti sono i morti di lavoro ogni anno? Non troppi. Sono. E non ce ne dovrebbero invece essere. Ma le norme dicono che i cantieri sono tutti in regola, che il morto ci scappa per imperizia propria e non per gli scarsi investimenti dei padroni in materia di adeguamento alle più elementari norme di protezione dei lavoratori.
Così accade per le donne stuprate, percosse, uccise. Dagli uomini. La norma vuole che l’uomo di casa sia buon padre di famiglia e buon consorte. Salvo poi prendere una pistola, un’ascia o un coltello e uccidere la compagna che magari lo voleva lasciare proprio per i lividi già ricevuti in passato.
Ma la norma vale sempre. La sicurezza è data dalla norma.
E tanto vale anche per la sicurezza securitarista, quella massima, quella che ci protegge dai ladri che sono migranti, che sono rom o sinti, che sono sempre categorizzabili e individuabili: salvo lo scoprire che quando ruba un italiano è solo quello l’italiano che ruba; quando ruba un rom sono tutti i rom ad essere ladri nei titoli di giornali, programmi televisivi, quindi nella formazione della generale, sana, normale, perbene “pubblica opinione”…
E quindi, temo che se ancora due differenze c’erano tra me e quelli del PD, da oggi ne rimane solo una come con i leghisti. Ed è sempre la stessa: “Io di armi non ne ho”, cantava Boris Vian ne “Il disertore” che trattava tutt’altro tema ma che sempre al portamento delle armi si riferiva.
Io non ho armi e non ne voglio avere. Vorrei fosse la Repubblica a tutelarmi: vorrei essere io, da cittadino, a contribuire a questa tutela provando a dimostrare che se si incontra un ladro si possono anche alzare le mani, ci si può anche far derubare, salvando però la vita, evitando di diventare omicidi. Anche per “legittima difesa”.
Bisogna proprio essere costretti a difendere la vita propria e di chi si ama per diventare assassini, per varcare quella linea di confine che, fino ad un momento prima, era impensabile oltrepassare.
Con una pistola in mano, con un fucile al braccio il passaggio di quel confine è repentino, facile, semplice. Soprattutto dopo l’approvazione delle nuove normative che intervengono quando già il danno è fatto.
Il tema vero, inascoltato dal Paese e dal Parlamento è la prevenzione di una criminalità che non si ferma con le pistole, con le perizie psichiatriche sul “turbamento” psicologico dell’aggredito. La prevenzione si fa con un lungo percorso di emancipazione sociale, di soddisfazione dei bisogni più elementari, di affrancamento dalla povertà e dalla miseria di milioni e milioni di persone.
Ma non vi preoccupate: vale più urlare per un giorno “Dagli al ladro” piuttosto che provare a cambiare questa società comprendendone a fondo il malessere che la pervade. Buona “legittima difesa” a tutte e a tutti…
MARCO SFERINI
5 maggio 2017
foto tratta da Pixabay