Si fa presto a dire “Intervento pubblico e Stato sociale”, magari aggiungendo che la “confusione sotto il cielo è grande”, e basta.
Tanto per spiegare lo stato delle cose in atto si può prendere come riferimento un’intervista ad Andrea Roventini, presentato da”Repubblica” come il Ministro del Tesoro “in pectore” scelto dal Movimento 5 stelle nel fantomatico governo formato nel corso della campagna elettorale.
Lo stesso Roventini si auto definisce: “keynesiano eretico, critico con il liberismo e la deregolamentazione sfrenata dei mercati finanziari”.
Fin qui tutto bene, ma per cercare di capirci meglio partiamo dal titolo dell’intervista stessa: “L’economista che piace ai 5S: Pace fiscale? Nome orwelliano, questo è solo un condono”.
Un titolo che sembra tutto un programma, al quale – sempre allo scopo di comprendere la situazione andrebbe aggiunta la risposta all’ultima domanda dell’intervista:
Domanda: Appunto. Gli elettorati di M5S e Lega rischiano di restare delusi.
Risposta del prof. Roventini: “Guardi, io dico solo che le misure pensate dal M5S puntano a stimolare la domanda. Mi sembra la giusta strada, perché servono interventi di rilancio della crescita visto che il vero problema italiano non è tanto quello del debito quanto piuttosto quello della produttività. Se il nostro Paese chiedesse all’Europa qualche decimale di deficit in più per fare interventi di politica industriale incontrerebbe maggiore disponibilità da Bruxelles. Se invece quei margini li chiedesse per sperperarli in flat tax o misure simili, non ci sarebbe riscontro”.
Allora andiamo per ordine, saltando a piè pari il piccolo particolare della “disponibilità di Bruxelles” e degli intendimenti fin qui sbandierati nel confronto dell’Europa.
Andando, invece, nel merito: preso atto della posizione su condono e flat tax che credo debbano essere considerati entrambi come un grosso regalo ai ricchi e agli evasori. E fin qui il giudizio può apparire assolutamente scontato e banale.
Il quesito vero però potrebbe essere così sintetizzato: come si accompagnano gli “interventi di politica industriale” con il reddito di cittadinanza?
Com’è possibile scegliere tra lo stimolo alla domanda attraverso l’incremento di produttività in un Paese come l’Italia in totale deficit nei settori strategici dell’industria e in grave difficoltà infrastrutturale, e l’elargizione di sussidi che, al massimo, una volta incassati potrebbero provocare – in situazioni soggettive di assoluta sopravvivenza – una minima crescita del consumo individuale a livello di bassissimo incremento produttivo?
Non ritorniamo a questo punto nel dettaglio di antiche recriminazioni partendo dall’errore clamoroso (denominiamolo ancora così per “carità di patria”) che fornisce l’idea concreta di ciò che è stata ed è la classe presuntuosamente dirigente di questo Paese: a partire dall’operazione smantellamento delle PPSS e scioglimento dell’ IRI negli anni’80.
Le poche aziende (Finmeccanica, Fincantieri, Fintecna, Alitalia e RAI) rimaste in mano all’IRI furono trasferite sotto il diretto controllo del Tesoro. Nonostante alcune proposte di mantenerlo in vita, trasformandolo in una non meglio precisata “agenzia per lo sviluppo”, il 27 giugno 2000 l’IRI fu messo in liquidazione e nel 2002 fu incorporato in Fintecna, scomparendo definitivamente. Prima di essere incorporato dalla sua controllata ha però pagato un assegno al Ministero del Tesoro di oltre 5000 miliardi di lire, naturalmente dopo aver saldato ogni suo debito.
Qualsiasi idea d’intervento pubblico nella politica industriale deve necessariamente partire dalla riconsiderazione al riguardo dello scempio fatto in passato e risulta comunque assolutamente incompatibile con provvedimento di mera natura assistenziale (la DC, in condizioni economiche ben diverse dalle attuali, nella fase “affluente” della ricostruzione post – bellica aveva governato i due corni del dilemma. Poi come sappiano bene la situazione era degenerata).
Restano sullo sfondo alcune questioni: quelle del rapporto tra assistenza, previdenza e stato sociale nella società moderna e quella del sistema fiscale che si situa sempre al centro di un quadro di fortissima evasione e di mancato utilizzo della leva per un’efficace redistribuzione di reddito.
Perché non si parla mai di “Patrimoniale”?
Insomma: la confusione sotto il cielo è grande e il rischio , scontato il “parturient montes nascetur ridiculus mus”, è proprio quella di un assemblaggio contraddittorio e ingovernabile.
A questo punto sarebbe necessario ritornasse in scena la politica, ma questo è un altro discorso. Scontando la difficoltà di organizzare “cene riservate”.
FRANCO ASTENGO
18 settembre 2018
foto tratta da Pixabay