Presenta il conto l’ormai trentennale assenza di politiche industriali nel nostro paese. La certificazione del diciottesimo calo mensile consecutivo per la produzione, registrata dall’Istat, fotografa uno stato delle cose già denunciato a più riprese da quasi tutte le organizzazioni sindacali confederali e di base. Una realtà di fronte alla quale il governo Meloni si trincera plaudendo all’aumento dell’occupazione, sorvolando sui dati drammatici che arrivano da tutti i comparti con l’eccezione dell’energia, e perpetuando a dispetto dei numeri la retorica dell’impresa che va lasciata libera di lavorare, senza lacci e lacciuoli.

Questi i numeri. A luglio 2024 l’Istat stima che l’indice destagionalizzato della produzione industriale diminuisca dello 0,9% rispetto al mese giugno. Nella media del periodo maggio-luglio si registra un calo del livello della produzione dello 0,4% rispetto ai tre mesi precedenti, e al netto degli effetti di calendario la produzione è scesa del 3,3% rispetto allo stesso mese del 2023.

L’indice destagionalizzato mensile cresce su base congiunturale solo per l’energia (+2,3%); mentre cala per i beni intermedi (-0,7%), i beni strumentali (-1,2%) e i beni di consumo (-2,3%). Anche a livello tendenziale si registrano incrementi solo per l’energia (+1,5%), mentre calano i beni intermedi (-2,8%) e in misura più accentuata i beni strumentali (-4,2%) e i beni di consumo (-5,2%).

I settori di attività economica con il segno più sono la fabbricazione di prodotti chimici (+3,9%), le industrie alimentari, bevande e tabacco (+2,5%) e la fornitura di energia elettrica, gas, vapore ed aria (+1,9%). Quanto alle flessioni, le più ampie riguardano le industrie tessili, abbigliamento, pelli e accessori (-18,3%), i mezzi di trasporto (-11,4%), con l’auto che continua ad affossare il comparto visto che la produzione di Stellantis in Italia è crollata nel primo semestre del 2024 a -29,2% rispetto allo stesso periodo del 2023, e nell’attività estrattiva (-5,9%).

Non può essere di consolazione il fatto che l’inflazione per il 2024 risulti in agosto pari a +0,7% in Italia, mentre è al +2,3% nell’area euro. Né che, scrive l’Istat, “l’economia italiana appare ancora in crescita nel secondo trimestre con il Pil che ha segnato un lieve aumento su base congiunturale (+0,2%)”. Perché in questo quadro “va segnalato l’apporto modesto da parte dei consumi”, e risultano “in netto peggioramento anche le attese sulla capacità di risparmio”. Conclusioni dell’Istituto di statistica: “In Italia la fase di discesa dell’indice della produzione industriale, comune anche ad altri Paesi dell’Ue e particolarmente marcata in Germania, non sembra ancora conclusa”.

Di fronte a questo quadro, Giorgia Meloni non trova di meglio che scrivere: “Aumentano i lavoratori, aumenta l’occupazione femminile, aumentano le persone che vogliono mettersi in gioco e investire sulla propria professione. Avanti su questa strada, per un’Italia che investe sul lavoro, sulla crescita e sul suo futuro”. Me se il numero di occupati a luglio supera i 24 milioni, con una crescita che però non ha coinvolto i 25-34enni, l’occupazione è aumentata tra i soli autonomi ed è calata tra i dipendenti sia permanenti che a termine.

“Preoccupano i dati resi noti oggi dall’Istat – tira le somme l’ex segretaria generale cislina Annamaria Furlan, oggi senatrice dem – servono interventi urgenti per invertire la rotta. Il calo del 3,3% della produzione rispetto al 2023 è il segno evidente dell’assenza di politiche industriali capaci di dare respiro e rilancio alle nostre imprese. Se non si mette al centro la crescita industriale si rischiano gravi contraccolpi sull’occupazione, servono investimenti urgenti sulla transizione ecologica e digitale, e un piano nazionale che sappia valorizzare i settori strategici”.

“Questo paese è ancora in piedi grazie a quei pochi fondi di Pnrr che il governo riesce a spendere – aggiunge Stefano Patuanelli del M5s – e grazie alla lunga coda di una stagione espansiva che hanno in tutti i modi spento”. Ma anche sui miliardi del Pnrr, denuncia la Cgil, l’esecutivo Meloni ha impegnato appena un quinto della previsione di spesa del Piano nel 2024, “per la mancanza di capacità amministrativa e figure tecniche”.

Preoccupata anche Confcommercio. Mentre Confindustria con il neo presidente Emanuele Orsini si limita a plaudire all’idea del ministro Urso di cancellare lo stop Ue al motore endotermico entro il 2035, e a rilanciare il nucleare contro gli aumenti, speculativi, del costo dell’energia.

RICCARDO CHIARI

da il manifesto.it

Foto di Kateryna Babaieva