Aldo Tortorella, nel suo intervento pubblicato da il manifesto con lo scopo di ricordare Valentino Parlato, cita come “memorabile” l’intervento svolto dallo stesso Valentino al seminario di Arco svoltosi nell’ottobre del 1990.
Seminario che può essere considerato come la sede dell’ultimo atto di presenza della “sinistra comunista” oppostasi alla svolta della Bolognina.
Eravamo presenti a quell’assemblea e non abbiamo smesso, nel corso di questi anni (tanti, troppi) di pensarne e ripensarne lo svolgimento e la citazione di quell’evento da parte del compagno Tortorella ci ha condotto all’idea che forse sarebbe il caso di riparlarne: non tanto e non solo di ciò che accadde ad Arco, ma per ricordare quella che fu la sinistra comunista in Italia e sul come la riflessione su quella presenza culturale e politica potrebbe ancora essere utile nel vuoto di soggettività in cui ci troviamo ormai da molto tempo.
E’ difficile argomentare in tempi così difficili dove tutto un patrimonio sembra smarrito e quasi inutile, di fronte al tumultuoso mutamento nei modi, nelle forme, nei tempi dell’agire politico e al presentarsi inedito di contraddizioni così complesse.
Pur tuttavia non intendiamo rinunciare prima di tutto segnalando ancora quello che non esitiamo, testardamente, a considerare un errore commesso in allora e poi reiterato nel tempo.
Il nostro giudizio è ancora netto: quella della “svolta “ non era altro che una scelta difensiva, tutto sommato di conservazione mentre: mentre dalla parte del NO stavano invece i fermenti teorici più avanzati sul piano di una rinnovata identità comunista in Occidente.
L’impostazione di una prospettiva e di una linea politica ben più avanzate di quelle elaborate con la svolta stavano già nella relazione di Magri, in quel giorno (“Il nome delle cose”).
Proprio l’intervento di Valentino Parlato sottolineò quel dato di progettualità da non abbandonare e ancor più valida per l’avvenire.
Un tema che lo stesso Valentino ha ripreso fin dentro all’attualità e anche nel suo ultimo articolo pubblicato da Manifesto il 9 aprile scorso: “.. Dobbiamo capire che siamo a un passaggio d’epoca, direi un po’ come al tempo di Marx quando il capitalismo diventava realtà e cambiava non solo i modi di produzione, ma anche i modi di vivere degli esseri umani. Quando scrivo “passaggio d’epoca” vorrei ricordare che il capitalismo fu certamente un passaggio d’epoca ma conservò modi di pensare e valori e anche autori del passato greco – romano, come dire che nella discontinuità c’è sempre anche una continuità..”
Questo principio fondamentale dell’esigenza del permanere di una continuità non fu accettato e si compirono scelte che possiamo oggi permetterci di giudicare come politiciste e inutilmente divisive.
Quella porzione di sinistra comunista , ampia e fortemente rappresentativa sia nella realtà italiana sia in quella europea, disponeva in quel momento di un bagaglio teorico e politico, di una qualità di quadri, di un’autorevolezza complessiva, per pretendere prima di tutto di mantenere come valore prioritario la propria unità interna facendo discendere da questo dato le scelte successive e, in secondo luogo, di far valere a tutti i livelli proprio quell’assoluta attualità e forza innovativa che era presente nella sua proposta politica.
Tra la linea del “rimanere nel gorgo” e quella della “scissione comunque” fu così persa la possibilità concreta di portare avanti quella fondamentale ipotesi politica che pure nell’ambito della battaglia congressuale e nel corso stesso del convegno di Arco si era ben concretamente delineata.
Tante cose sono cambiate da allora, tanti protagonisti sono scomparsi, una generazione sembra proprio aver concluso il proprio cammino: eppure restiamo tenacemente convinti che uno spazio politico rimanga per poter affermare quelle idee e partendo da quel dato di continuità già affermato.
Si tratta ancora di lavorare per studiare e proporre una fondamentale ripresa di protagonismo per l’insieme di valori e di idee che continuano a rappresentare un’identità necessaria per le lotte dell’uguaglianza, dell’emancipazione, del disegno di una società di liberi ed eguali.
Le contraddizioni insanabili dell’ingiustizia sociale che verifichiamo incidere drammaticamente sulla realtà di tutti i giorni sono lì a ricordarci che “ribellarsi è giusto” e che vale ancora la pena di provarci.
Scusandoci per il tono ottocentesco (ma in tempi di arretramento storico forse ci può stare).
FRANCO ASTENGO
foto tratta da Wikipedia