Si muore ustionati o soffocati dall’azoto liquido. Si muore precipitando dalle impalcature a pochi metri dal suolo. Si muore schiacciati da un tir o decapitati dalle lame di una trebbiatrice. Il lavoro uccide, non per fatalità, ma per una fitta serie di concause, molte prevedibili e altre no. Tutte comunque create dagli esseri umani che operano dentro e fuori le imprese, in proprio o in subappalto, e ancora per contratto.
Jagdeep Singh, 42 anni, e Emanuele Zanin, 46 anni lavoravano per la ditta «Autotrasporti Pe» di Costa Volpino che lavora in subappalto per la monzese «Sol Group spa». Ieri hanno perso la vita soffocati dall’azoto liquido durante un rifornimento della sostanza all’ospedale Humanitas di Pieve Emanuele in provincia di Milano. L’imbianchino Valeriano Bottero di 52 anni è morto precipitando da un’impalcatura mentre lavorava per la ditta «Lavor Metal nella zona industriale di Loreggia in provincia di Padova. Leonardo Perna, 72 anni, titolare di un’azienda meccanica, caduto da una scala a due metri d’altezza ha perso la vitae a Nichelino vicino a Torino. Giuseppe Costantino, 52 anni, aveva finito le operazioni di carico e scarico della merce a Capaci vicino a Palermo. Si era spostato nella parte posteriore del Tir.
Ma il mezzo si è messo in movimento e le sue ruote lo hanno stritolato. Verso le 20.30 di ieri sera il corpo decapitato di un lavoratore agricolo di 54 anni dalle lame di una trebbiatrice è stato trovato a Pontasserchio in provincia di Pisa. Sul posto sono intervenuti i vigili del fuoco per liberare il corpo rimasto intrappolato nella macchina.
In Italia, da ieri, ci sono sei vite in meno alle quali rendere giustizia. Insieme alle altre 677 che, secondo gli ultimi dati sulle denunce presentate all’Inail (saranno aggiornati domani), sono state straziate nei primi sette mesi del 2021. Dovevano vendere la loro forza lavoro in cambio di un salario, hanno reso la vita per la quale non c’è alcun prezzo.
Davanti a questa macchina di morte la situazione è talmente grave, e l’inadeguatezza politica, istituzionale e morale è così ampia che, all’indomani dell’incontro con Cgil Cisl e Uil a palazzo Chigi, il ministro del lavoro Andrea Orlando ha sentito il bisogno di precisare: «Non basta un incontro con le sigle sindacali per debellare una piaga come questa. Purtroppo i limiti che oggi registriamo sono il frutto di scelte non fatte in passato».
No, non basta un solo incontro. E non bastano probabilmente le misure che sono state annunciate dopo il primo. Molte di queste avrebbero dovuto essere adottate già uno, tre, cinque o dieci anni fa. Quando i morti del lavoro erano migliaia in meno. L’assunzione di 2300 nuovi ispettori del lavoro, ad esempio: 1400 erano state già annunciate tre anni fa. Una riforma della formazione di lavoratori e imprenditori, le sanzioni da applicare a seguito delle ispezioni e una banca dati unica delle stesse sanzioni. È difficile immaginare il livello di efficacia di queste misure.
Gli incidenti sul lavoro, in particolare in quello metalmeccanico, edile o nei servizi logistici o di fornitura sono eventi che accadono nell’ordinaria violenza dei rapporti di lavoro. Ieri sono state indicate altre due misure: «Le aziende appaltanti che non rispettano le norme sulla sicurezza devono essere escluse dalle gare di appalto- sostiene la Cgil – In caso di violazioni non sono sufficienti solo le sanzioni ma vanno sospese tutte le attività produttive fino a quando le imprese non si siano messe in regola».
C’è un altro problema ed è decisivo. Si possono anche varare norme tardive ma comunque necessarie, ma poi nessuno le applica. Lo hanno fatto notare la Cgil con la Funzione pubblica e la Filctem di Milano dopo avere appreso la notizia della morte atroce degli operai soffocati dall’azoto liquido. Il 20 aprile 2018 è stato firmato un protocollo in prefettura a Milano. Da allora non è stato applicato. Come accade a molte altre normative. In vigore, ma solo sulla carta. Una realtà da considerare nel momento in cui si preannunciano nuovi protocolli. Si spiega così la sensazione di impotenza, a tutti i livelli, che accompagna la strage quotidiana dei lavoratori (in media tre al giorno, ieri il doppio: sei). In una «ripresa» post-covid evocata come una manna questa è la realtà materiale: i lavoratori restano soli e così affrontano i rischi. E la morte.
«Non abbiamo più tempo, non si può più aspettare» è stato detto, di nuovo, ieri. Oltre all’accertamento delle responsabilità penali si dovrebbe agire direttamente, con decisioni efficaci e radicali, sulle responsabilità dell’impresa.
ROBERTO CICCARELLI
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