Tutto può essere e quindi anche il contrario di tutto. Non si tratta di un esercizio di retorica, ma della constatazione di quanto la guerra sia perfettamente complementare all’alterazione di qualunque notizia, sia essa stessa irriconoscibile come fenomeno a cui corrisponde una consequenzialità di fatti che si possono determinare sul momento, soprattutto oggi con l’informazione in diretta, sul campo.
Là dove muiono giornalisti e interpreti che li accompagnano, là dove la morte è la presenza costante di ogni attimo, là dove la verità oggettiva dovrebbe significare qualcosa, si palesano invece tutte le insicurezze, le infingarderie e le ombre dei dubbi.
Tanto più legittimi se si impara almeno una lezione della storia: la menzogna è la prima alleata di chi inizia un conflitto di aggressione ma, a dire il vero, lo è anche di chi è costretto a combatterlo e si fa supportare dalla più potente alleanza militare. Nordatlantica nel nome, di fatto a guida americana e operante un po’ ovunque nel mondo.
Così, se sul campo di battaglia la verità è vittima, non lo è da meno sulla cupola del Cremlino: i droni che hanno sorvolato l’antico palazzo imperiale degli zar, il centro politico della vecchia Unione Sovietica, ora residenza della presidenza della Federazione russa, sono automaticamente al centro del mistero più tremendo ed affascinante di questi ultimi mesi in cui la guerra langue sul terreno ma fa orribili progressi nella sua elevazione a conflitto planetario e atomico.
Le ipotesi sono: un attacco diretto dell’Ucraina alla Russia, per assassinare Vladimir Putin; un attacco di qualche frangia estrema ucraina che disattenderebbe le direttive di Kiev di non attaccare i nodi nevralgici della dirigenza moscovita; una mossa dell’opposizione interna per togliere di mezzo il presidente e lasciare campo libero ad una oligarchia peraltro già presente agli alti piani dei palazzi del potere; infine un’azione di depistaggio russa, quella che oggi si preferisce chiamare “false flag“: letteralmente una “operazione sotto falsa bandiera“, un pretesto insomma.
Tutto può essere e quindi anche il contrario di tutto. Di certo non sappiamo praticamente nulla, se non che, chiunque abbia ordito il volo dei due droni sul Cremlino, era ben consapevole di alzare il tiro così tanto da innescare una nuova fase della guerra in Ucraina. Più che consapevole, era proprio quella l’intenzione, mascherata o meno da attacco al cuore della Russia.
Se l’azione è stata compiuta dagli ucraini, la prova della falsità delle dichiarazioni di ogni parte in conflitto la si avrebbe al cubo: chi andrebbe a stuzzicare l’orso russo fin dentro la sua tana, con una guerra di aggressione sul proprio territorio tutt’ora in pieno svolgimento, sapendo bene che un’azione del genere creerebbe le condizioni per una vera e propria rivalsa uguale e contraria?
Non certo chi davvero si vuole difendere e recuperare i territori che gli sono stati sottratti, bensì chi, avendo le spalle ben coperte dalla NATO, e magari divenendo in tal modo ancora più funzionale ai piani americani e nordatlantici di contrasto della potenza putiniana, si spinge oltre quello che fino ad ora è stato (con una sorta di tacito accordo non scritto, una sorta di ius belli) un crinale invalicabile, un punto di non ritorno: evitare l’attacco diretto al governo avversario, fisicamente, costruendo una sorta di zona franca attorno ai palazzi istituzionali.
Qualunque sia l’ipotesi formulabile riguardo i droni fatti esplodere sulla cupola del Cremlino, oggi questo punto è stato oltrepassato e si prospetta quindi non la fine del conflitto, ma la sua continuazione con un casus belli ulteriore, con una legittimazione cercata per inasprire il confronto fra due imperialismi che si combattono in tutto il mondo e, in Ucraina, sul terreno vero e proprio, sulla pelle della popolazione stretta tra l’aggressione di Putin e l’ostinazione di Zelens’kyj a trascinare il proprio paese nella sfera combattiva in permanenza dell’Occidente.
La presenza cinese e turca nelle dinamiche perverse della guerra non permette, ad ora, di definire un chiaro indirizzo diplomatico, una frapposizione che porti almeno ad un cessate il fuoco. Il fronte taiwanese da un alto e le elezioni politiche e presidenziali ad Ankara da un lato destabilizzano la già precaria situazione europea e globale, dall’altro la lasciano in un tempo sospeso, in attesa di quello che accadrà.
Sarebbe di notevole aiuto la sconfitta di Erdogan, il prevalere di una coalizione anche nazionalista ma democratica e magari bisognosa di un sostegno parlamentare di sinistra.
Così come aiuterebbe a dipanare la matassa dei conflitti europei e mediorientali (nonché quelli che stanno esplodendo in Africa) una distensione delle operazioni militari nel Mar della Cina meridionale. Le premesse affinché tutto questo possa realizzarsi sono però, fondamentalmente, legate ad una serie di interessi che creano un cortocircuito e che, in quanto tali, sono srettamente connessi con la guerra in Ucraina.
In ogni parte del mondo, anche gli Stati che avevano storicamente giurato di dismettere eserciti o di rinunciare al riarmo, soprattutto dopo la fine per loro ingloriosa della Seconda guerra mondiale, come per esempio il Giappone, proprio in ragione delle tensioni internazionali crescenti, delle guerre che si producono e riproducono, investono una larga parte della loro ricchezza nazionale in armamenti, pensandosi nuovamente come forze militari oltre che come paesi compartecipanti ad una stabilità invisibile delle politiche mondiali.
Gli appelli del papa sono praticamente inascoltati e inascoltabili da parte di potenze che stanno giocando una partita estrema, per una affermazione nuova in una globalizzazione che – ormai tutti i dati macroeconomici lo confermano – non permetterà più a tutti gli attori sulla scena di avere delle prime parti.
Le risorse stanno diminuendo, le materie prime scarseggiano, la crisi climatica e ambientale ha superato le moderne Colonne d’Ercole della spregiudicatezza del liberismo. Che non è un ente astratto, un sistema incodizionabile: è frutto dei rapporti di forza che si sono determinati e che vengono alimentati da una ricerca della sopravvivenza dei privilegi, lasciando nella miseria miliardi di individui. La guerra, quindi, si accompagna ed accompagna uno scenario catastrofico nell’immediato futuro. Anche perché non pare essere destinata ad esaurirsi nel corso di qualche mese.
I servizi segreti inglesi, che proprio degli sprovveduti non sono, hanno più volte lasciato intendere, un po’ come il capo di stato maggiore americano Mark Milley più volte ha dichiarato, che il conflitto in Ucraina sarà lungo se rimangono le condizioni attuali: quelle, sostanzialmente, di una guerra stagnante, dove al pari dei combattimenti sul fronte meridionale si assiste ad un fronteggiamento per procura, ad una intromissione dell’Alleanza atlantica sempre maggiore con armi sempre più pesanti, sofisticate e moderne, con l’allargamento della sua presenza nel risiko europeo. A cominciare dalla Finlandia.
La pace ha poche speranze al momento. Così come il cessate il fuoco. Gli interessi politici, economici, finanziari e della grande industria delle armi premono tutti per una prevalenza dell’una o dell’altra parte. Chi propone un impegno dei governi per uno smarcamento da questa politica omicida, dal riarmo imposto dalla NATO (il famoso 2% del PIL nazionale…), per un percorso diplomatico ad ogni livello, viene visto come un utopista, con un romantico, illuso, ingenuo ghandiano del nuovo millennio.
Da ultima, proprio in questi giorni, è la notizia che l’Unione europea investirà ogni anno cinquecento milioni di euro proprio per il riarmo degli Stati che la compongono, dei loro eserciti. Senza avere, paradassolamente, un proprio esercito. Le truppe della NATO lo sostituiscono in tutto e per tutto. Si tratta dell'”Act in Support of Ammunition Program” (ASAP), un programma di produzione di munizioni che sarà finanziato anche con i soldi del famigerato PNRR.
La storia insegna ma non ha scolari. Ripetiamo: ogni volta che i governi e le economie diventano di guerra, la guerra che ci era vicina rischia di arrivare a casa nostra, di allargarsi a dismisura e di non essere più gestibile nemmeno con solidi tentativi diplomatici. Il governo italiano è pienamente dentro questa logica bellicista, filoamericana, filoatlantista, che giudica ogni voce di pace come un collaborazionismo col nemico. Tipico anche questo della draconiana e manicheista necessità dello schierarsi a tutti i costi con uno (o più) dei contendenti.
Ci troviamo in questa spirale di alimentazione di un liberismo vorace, depredatore dell’ambiente, delle più elementari risorse di vita per noi animali umani e per gli altri animali presenti sulla Terra; distruttore dell’essenzialità, di ciò di cui abbiamo veramente bisogno per vivere. Stiamo scivolando verso una sopravvienza di massa, veramente enorme, globale e inarrestabile. Ogni tentativo di compromesso ragionevole è, di per sé stesso, forse razionale ma improduttivo.
Chi sragiona di difesa dell’Ucraina e di ristabilimento della democrazia a Kiev, non fa che vedere la punta di un iceberg in cui abbiamo impattato già da molto, troppo tempo.
La NATO ha continuato ad esistere oltre la sua missione. L’Italia, l’Europa le hanno consentito di essere la longa manus del militarismo imperialista americano. Non si tratta di frasi fatte, di una tipica espressione politica anticapitalista e, per l’appunto, contraria ad ogni epsansione militarista nel mondo. Semmai si tratta di una ostinazione di certi settori propri della “ragionevolezza” di una sinistra e di un centro condiscendenti con un potere che guarda al gigante americano come gendarme del mondo, come regolatore degli interessi di tutti.
Le origini della guerra in Ucraina non sono diverse da quelle di altre guerre già combattute, le cui cicatrici sono ancora sulla pelle dei serbi, dei croati, dei bosniaci, dei kosovari… La riesplosione dei conflitti armati nella vecchia Europa non è databile al 2022, ma nel decennio tra il 1991 e il 2001.
Poi si aprirà la partita mondiale del terrorismo organizzato su vasta scala. Un’altra occasione per esportare quella democrazia che, senza essersi minimamente radicata, se la da a gambe da Kabul esattamente vent’anni dopo…
MARCO SFERINI
4 maggio 2023
foto: screenshot tv