Decine di positivi, rinvio di gare di campionato. Addirittura l’ipotesi di una sospensione a tempo determinato della Serie A. Era solo questione di tempo. Anche il calcio italiano, che aveva saputo proteggersi dalla furia dei contagi durante la ripresa del torneo nel «post lockdown», vive momenti complicati dopo i 14 casi positivi al Genoa nel weekend scorso, verificatisi prima (2) e dopo (gli altri) la partita con il Napoli.
Da ieri tutto il sistema pallone è in attesa del primo giro di tamponi a cui è stata sottoposta la squadra napoletana. Messi in preventivo tre-quattro casi di positività per i contatti diretti avvenuti in campo, sarà ancor più determinante il secondo giro di test per la rosa del Napoli, previsto per venerdì: se dovesse attestare un numero consistente di contagiati, ci sarà il rinvio obbligato (ma forse lo è già ora) della sfida con la Juventus in programma domenica. Un altro rinvio, quindi, oltre a quello scontato di Genoa-Torino.
Due precedenti che, oltre a falsare già ora la sceneggiatura del torneo, andrebbero a incidere sul suo svolgimento.
Potrebbe addirittura fermarsi, la Serie A. L’idea circola.
Pausa forzata per sette giorni, un «mini lockdown» del pallone, agganciandosi poi alla sosta per le nazionali. Così, 14 giorni senza partite per allontanare le ombre, sebbene sia evidente il paradosso, con decine di calciatori che partiranno per giocare con le proprie nazionali in giro per il mondo, in Paesi con un indice di contagio assai più alto rispetto all’Italia.
Uno scenario tortuoso come un labirinto, che mette gli attori della vicenda, dal ministero dello sport alla Lega di A, Regioni e Figc, di fronte a scelte nette. E anche a una certa dose di prudenza, valutando anche l’incremento della curva dei contagi nel Paese, l’apertura delle scuole e l’ingresso dell’autunno.
Serve una visione d’assieme partendo dall’errore di Napoli-Genoa, partita assolutamente da non giocare: tra i due positivi riscontrati tra i liguri prima della partenza per la Campania c’era anche il danese Schone, che si era allenato con il gruppo di calciatori sino a poche ore prima.
E invece, palla al centro e un pacchetto di casi positivi al rientro, alcuni neppure asintomatici. E anche se colpisce l’imprudenza collettiva tra club ligure (anche se il presidente, Enrico Preziosi, ha assicurato il rispetto delle procedure), Figc e Lega di A, che non hanno rinviato la partita, le istituzioni del calcio sono chiamate a passi decisi, per esempio, la revisione del protocollo sanitario cui i club e i tesserati devono attenersi, che dallo scorso venerdì prevede un tampone obbligatorio solo 48 ore prima di una partita.
In precedenza c’era l’obbligo dei test ogni quattro giorni, che andava di traverso (anche per i costi da sostenere) ai proprietari dei club, alla Lega di A e anche alla Figc ma che è servito affinché la bolla – ovvero la fase finale dello scorso torneo compressa in poche settimane tra giugno e agosto, tra tamponi e partite – non esplodesse.
E andrebbe considerata anche la positività multipla: l’Uefa ha stabilito che con 13 calciatori positivi la squadra colpita non può giocare, ipotesi non contemplata dal protocollo del Cts italiano.
Un’altra ipotesi sul tavolo è il «format» più leggero del torneo, pensato dal presidente della federcalcio, Gabriele Gravina: meno partite di campionato ma via ai playoff e playout. Forse, senza il sorriso di pay tv e sponsor, ma con un calendario meno fitto il sistema potrebbe reggere anche altri casi simili a Napoli-Genoa.
Per ora, però, il ministro dello sport Vincenzo Spadafora attende i risultati da Napoli e non contempla lo stop del campionato.
Mentre il viceministro della Salute, Pierpaolo Sileri, pensa invece che sia una soluzione ragionevole per placare la prima furia di contagi tra calciatori, prolungando così la diversità di vedute tra i due dicasteri, evidente anche sul tema della riapertura parziale degli stadi, sostenuta da Spadafora e respinta dal ministro Speranza.
NICOLA SELLITTI