Il valore della festa e la “crisi” delle ideologie

Mi è capitato di parlare, il giorno del Primo Maggio, con due persone che lavoravano ed entrambe mi hanno risposto che gli dispiaceva ma, alla fine, potevano ritenersi fortunate,...

primo maggioMi è capitato di parlare, il giorno del Primo Maggio, con due persone che lavoravano ed entrambe mi hanno risposto che gli dispiaceva ma, alla fine, potevano ritenersi fortunate, perché un lavoro ce l’avevano a differenza di altri. Si trattava di due figure sociali molto diverse: una farmacista ed il cassiere di un supermercato. Ecco come siamo ridotti (o ci hanno ridotti): nel senso comune di tutti è ormai passata l’idea che la rinuncia ai diritti è la condizione da pagare per mantenere il lavoro e la vita.

Si ha un bel dire (anche a sinistra) che sarebbe finita l’epoca delle ideologie. La vittoria del capitale di questi anni è stata, innanzitutto, una vittoria ideologica. Del resto, non si spiegherebbe altrimenti come le politiche liberiste continuino a riuscire ad imporsi nonostante i fatti provino la loro erroneità e nonostante l’evidente il peggioramento delle condizioni sociali di chi le subisce.

Il punto è il crollo di un modello di riferimento. Da questo punto di vista, non c’è dubbio, il comunismo ha subito una battuta d’arresto di carattere storico. Gli esegeti del capitalismo e del liberismo, quando sono messi in angolo dalle evidenze delle ingiustizie e delle conseguenze nefaste provocate dalle politiche che sostengono, si salvano in angolo col classico richiamo ad un sistema che, dicono, “nonostante tutti i limiti, è l’unico che si è dimostrato in grado di produrre ricchezza e benessere per l’uomo”. Anche questa affermazione, vista con occhio critico, è del tutto destituita di fondamento (il capitalismo è quello che oggi “affama” il mondo) eppure assume un crisma di verità quasi inoppugnabile perché, col “crollo del comunismo”, si è effettivamente spenta l’idea che possa esistere un modello valido, di produzione e organizzazione sociale, diverso e alternativo a quello del capitalismo. Ricostruire la fiducia in questa possibilità, cioè ricostruire una “ideologia” della sinistra e dei comunisti, è invece essenziale per sostenere le battaglie di resistenza e di cambiamento di ogni giorno.

Senza questa cornice unificante, esse, sono destinate alla frammentazione ed alla sconfitta. Quando Marx ed Engels, nel Manifesto dei comunisti del 1848, scrivevano che il comunismo non è “un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi”, ma “il movimento reale degli uomini che cambia lo stato delle cose presenti”, riaffermavano il carattere dialettico del processo che si stava sviluppando e al quale loro intendevano dare le basi teoriche e politiche, ne contrastavano visioni che potremmo definire dogmatiche e idealizzate, ma ne definivano, nel contempo con l’ambizione della scientificità, principi, caratteri e strategie di fondo e irrinunciabili (l’abolizione della proprietà privata ecc.).

Nella deideologizzazione della sinistra italiana gli ex comunisti del Pds, Ds e Pd portano una responsabilità storica: se ne fanno addirittura un vanto perché così avrebbero, come si dice, “sbloccato” il sistema e portato la “sinistra” al governo. Complimenti!; bel capolavoro politico hanno fatto! Hanno condotto una sinistra al governo che fa (più o meno) le stesse cose che fa la destra in un sistema politico che (tra quelli che non votano e quelli che vorrebbero sfasciare tutto) ha allontanato dalla politica e confinato nel disimpegno e nell’indifferenza la grande maggioranza dei cittadini. Un bel bilancio, non c’è che dire, completato e integrato da quella totale subalternità alla cultura, ai valori e alle imposizioni del liberismo di cui si diceva all’inizio e che hanno prodotto resa e disperazione in tanta parte del mondo del lavoro. E’ certo vero che nella seconda metà del secolo scorso si sono registrate notevoli trasformazioni economico sociali e c’è stato il crollo dell’Urss. Ma a questi sconvolgimenti si poteva e si doveva reagire altrimenti che non gettando il bambino con l’acqua sporca. Cioè la sinistra doveva rinnovare il suo bagaglio teorico culturale, senza abdicazioni umilianti e conservando principi e valori sempre, anzi oggi più che mai validi e attuali.

Riprendere il filo di questo lavoro è compito di coloro che non si sono arresi perché il capitale va contrastato non solo con punti di contestazione parziale, ma in quello che esso ha scelto oggi come suo terreno elettivo, cioè la sua presunta superiorità ideologica.

LEONARDO CAPONI

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