Il tulipano nero

Purtroppo, colpevole una trasposizione cinematografica che non ha colto nulla del suo romanzo, Alexandre Dumas (padre) è incappato nell’equivoco, tuttavia ben presto risolto almeno dalla maggior parte dei suoi...

Purtroppo, colpevole una trasposizione cinematografica che non ha colto nulla del suo romanzo, Alexandre Dumas (padre) è incappato nell’equivoco, tuttavia ben presto risolto almeno dalla maggior parte dei suoi ammiratori, nonché da quella di chi si entusiasma per i film di cappa e spada, di essere l’ispiratore di una storia ambientata nel prologo della Rivoluzione francese in cui un giustiziere mascherato distribuisce ai poveri ciò che ruba ai ricchi.

Insomma, Dumas sarebbe stato, dopo la copiosissima sequela di romanzi fantastorici e fantastici sotto ogni punto di vista prodotti in uno strettissimo lasso di tempo (sotto il peso di quella dettatura che imponeva ai suoi collaboratori, proprio per risparmiare giorni e giorni di elaborazione scritta), anche il rievocatore delle gesta di un Robin Hood al di qua della Manica, di uno Zorro iberico al di qua dei Pirenei.

Purtroppo, o per fortuna, il film in cui si cimenta un bravo e sempre bellissimo Alain Delon non ha nulla a che vedere con “Il tulipano nero” di Dumas (edizioni BUR, Rizzoli, 2022). Ma, per l’appunto, non è detto che sia una delusione così cocente da impedire la lettura molto serena e anche un po’ disincantata di un fuilleton che si discosta dalle precedenti narrazioni moschettiere, dalle prigioni anguste in cui è rinchiuso Edmond Dantès, dagli intrighi cortigiani di Versailles, dalle figure imponenti di un Cagliostro o di un Enrico di Navarra.

L’azione si svolge nella Repubblica dei Sette Paesi Bassi Uniti (più comunemente conosciuta come “Repubblica delle Province Unite“), appellata nel gergo popolare, ma non meno storico, con la sineddoche di “Olanda“. In realtà qui si spazia dalla Zelanda alla Frisia, in un affresco iniziale (che occupa i primi quattro capitoli del libro) che potrebbe un po’ disorientare il lettore ma che, via via che si prosegue nel voltare le pagine, ci si rende conto che è destinato a rimanere sullo sfondo della storia.

In quel primo scorcio del Seicento, la potenza olandese è, dopo la conquista dell’indipendenza dal Sacro Romano Impero, soprattutto una forza marittima, una dominatrice dei mari che si espande colonialmente nelle più remote zone del mondo sconosciuto, del misterioso Oriente. Giganteggia, rivaleggia con la Gran Bretagna cromwelliana che si va affermando e internamente le lotte per il potere sono all’ordine del giorno.

Le tulipe noire” nasce in un momento della vita di Dumas in cui si riaffacciano sulla scena problemi economici piuttosto ingenti: un tratto caratteristico della sua esistenza, dovuto anche allo sperperio di tanto denaro, di una ricchezza accumulata con l’uscita di capolavori come “Les Trois Mosquetaires“, “Le Comte de Monte-Cristo” e “La Reine Margot“. Per non parlare, ovviamente, dell’altrettanto celebre “Le Vicomte de Bragelonne” o de “Le collier de la Reine“.

La fama di Dumas padre è così vasta da poter essere accostata tranquillamente a quella di Victor Hugo. Ed entrambi, in effetti, subiranno anche le conseguenze di un così vasto prestigio letterario declinato sul piano socio-politico. Molto di più l’autore de “Les Misérables” in un esilio belga che sarà simile a quello del suo coevo collega scrittore, ma che divergerà nelle motivazioni: l’ostilità nei confronti della monarchia imperiale di Napoleone III, è infatti marcata nel repubblicanesimo hugoiano. Meno in quello di Dumas.

Non è un mistero per nessuno. Mentre Hugo viene eletto membro della Camera dei Pari della Repubblica francese a ridosso del 1848, l’autore del fiore impossibile da creare non ci riuscirà. Non sarà un grande dramma per lui. Mentre lo sarà, proprio in quegli anni, tanto l’esiguità delle sue casse e la fragilità di una vena creatrice che gli farà scoprire la crisi di idee, la mancanza di spunti, il fatto di aver ritenuto esaurito il suo filone di immaginazione storica da tradurre in romanzo d’appendice.

L’editoria francese, ma anche quella più latamente europea, del resto cambia e inizia a sfornare – anche grazie al successo di Dumas – una imponente massa di romanzi e romanzetti che, ovviamente, scolorano davanti ai colossi creati da lui. La potenza narrativa che affida ai suoi personaggi è tanto avventurosa quanto drammatica: anche in un’opera minore come “Le tulipe noir“, c’è una estrema cura nel tratteggio dei personaggi, nell’inserimento repentino di tanti piccoli colpi di scena che ne fanno un romanzo tutt’altro che leggero o frivolo.

C’è chiaramente soprattutto spazio per l’amore in una ambientazione in cui, altrimenti, avrebbe preso il sopravvento il fondale storico fatto di bolle speculative per il commercio dei tulipani, di intrighi di potere alieni rispetto al canovaccio principale che riguarda il fiore, il floricoltore e la bella Rosa che se ne innamora e che fa qualunque cosa per rendergli la libertà. C’è spazio per la sagacia che si divincola dall’angusto spazio della storicizzazione temporale e oltrepassa, come del resto tutte le opere di Dumas, il periodo stesso in cui si muove.

Cornelius Van Baerle arriva ad un passo dal creare il bulbo sconosciuto, quello che può essere la fortuna sua ma, soprattutto, la realizzazione di qualcosa che in natura non esiste: il fiore nero. In realtà, anche oggi, tutte le tonalità di viola e di blu molto intenso, quindi apparentemente scivolante verso il colore più scuro possibile, non sono veramente neri. I pigmenti antociani che li caratterizzano, se osservati attentamente, tutt’ora ci rivelano che il fiore veramente nero non esiste.

Cornelius quindi tenta allora una impresa che pare impossibile: creare un tulipano nero. Un fiore unico tra tutti i fiori. Un fiore emblema della diversità per eccellenza, dell’esclusività che chiede inclusione nella grande famiglia floreale e che, naturalmente, è una occasione di commercializzazione della pianta davvero lucrosa. Sono questi rimandi anche al mondo un po’ bucolico delle Fiandre e dell’Olanda, della natura che imperversa nella vita al di sotto del livello delle acque e che le sfida costantemente, a fare del romanzo una sorta di benevola fiaba moderna.

Le descrizioni minuziose degli ambienti in cui le diverse scene si tengono sono piccoli affreschi, acquarelli dolci e vigorosi al tempo stesso: per tratteggio indistinguibile delle forme nel primo caso, per messa a fuoco dei colori nel secondo. È un po’ la metafora con cui si può descrivere il palcoscenico su cui si tiene lo svolgimento della storia: un ovattamento dell’ambientazione che c’è, si percepisce, ma non prevale sul resto. Ad iniziare dai protagonisti.

Così, sono, effettivamente anche le fiabe: ci si ricorda sempre anzitutto il personaggio che ne è al centro della trama e, di conseguenza, tutto ciò che lo circonda e lo va accompagnando nel susseguirsi degli avvenimenti. “Le tulip noir“, comunque, ha le tinte fosche dei dipinti di un Rembrandt, là dove nella perimetralità cerea del quadro, accompagnata al grigio e la nero dei manti di chi vi compare, si distingue una luce, un chiarore.

Magari in uno sfondo paesaggistico o, più ancora, nell’abito chiaro di una figura così esaltata e quasi privilegiata rispetto alle altre, quale il luogotenente Willem van Ruytenburgh, ne “La ronda di notte“. Con il tulipano nero avviene l’opposto in quanto a cromia: qui è l’oscuro che si cerca, la tinta che adombra, che nasconde, che fa trasalire i pensieri e che fa innamorare perché è davvero non credibile, al di fuori della realtà.

Eppure quel nero si sposa incantevolmente con tutti gli altri colori dei tulipani che sono uno degli oggetti del desiderio della perfidia di Isaac Boxtel, il villain del racconto di Dumas. I bulbi divengono gemme preziose fatte riposare in una terra curata con grande amore e con tutte le precauzioni del caso affinché tutto intorno non si secchi e impedisca la nascita dei germogli. L’invidia per la scoperta del fiore impossibile da realizzare si associa al mistero di quale sei quello eccezionale.

Rosa vigila sul tulipano, trasfondendogli l’amore che ha per Cornelius. Non lo abbandona mai: né di giorno e né di sera. E questo avviene proprio nel momento in cui tra i due innamorati c’è aria di bisticcio, di crisi. Il fiore nascente sembra quasi risvegliare la purezza del sentimento che li unisce, al di là di tutte le vicissitudini trascorse.

Ed è dal buio di una oscurità che si fa vita vegetale in mezzo a tante difficoltà, le particolari condizioni climatiche in cui sboccia un fiore, soprattutto se unico al mondo, è da quell’immagine concreta che gli si staglia davanti che il perfido Isaac Boxtel. Dove inizia la meraviglia, lì termina tutto ciò che di negativo la storia ha espresso nel contrasto con l’amore incondizionato tra Cornelius e Rosa.

Dumas esprime con grande potenza immaginifica tutto lo stupore, l’enorme meraviglia del coltivatore per quel fiore che dura solo un giorno. Come tutte le più belle cose e che è il finale evocativo di una speranza che non muore davvero mai, perché, giorno dopo giorno, i fiori nascono nonostante tutto e popolano i campi a dispetto delle guerre e degli orrori umani. Non solo, ma certamente sul finale dell’opera, il protagonismo floreale diventa ancora più evidente.

Il tulipano nero vive la sua storia al pari dei protagonisti parlanti e agenti. Diviene premio a sé stesso, consolazione e gioia per chi lo ha coltivato con tanto amore e ha sperato che potesse realizzarsi quel sogno. Di una specialità unica, di una rarità esemplare.

C’è un attimo in cui sembra di stare nel giardino delle gemme preziose in cui capitano ragazzi che parlano con geni delle lampade e custodi di anelli fatati. Torna lo stimolo fiabesco a dare alla trama, che ormai si esaurisce, un guizzo finale, un ultimo batter d’ali che sprona il lettore a fantasticare ulteriormente. Sono lontani i primi capitoli iperstorici in cui viene contestualizzata la vicenda. Non pare nemmeno più di trovarsi tra le pagine del medesimo libro.

Ed è anche questa la straordinaria particolarità dell’estro di Dumas, capace di una scrittura/dettatura davvero stilisticamente poliedrica che spazia dal romanzo storico al racconto ultrametafisico, al di là dello spazio e del tempo. Tutto preso dal porre l’attenzione di chi legge solo sul fiore, sull’idea del fiore del quale altri al mondo non ve n’è. L’occasione di assistere ad un evento praticamente unico.

Ed ogni lettrice e lettore che termina “Le tulipe noir” potrà dire: io c’ero.

IL TULIPANO NERO
ALEXANDRE DUMAS
BUR, RIZZOLI, 2022
€ 12,00

MARCO SFERINI

10 luglio 2024

foto: particolare della copertina del libro


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