Il toro dalle corna infuocate e la morte dell’immedesimazione

Lo avete visto il video pubblicato dal Corriere della Sera qui su Internet che riprende il toro che si uccide da solo, che si suicida dopo che gli è...

Lo avete visto il video pubblicato dal Corriere della Sera qui su Internet che riprende il toro che si uccide da solo, che si suicida dopo che gli è stato appiccato il fuoco alle corna ed è stato trattenuto per la coda in prenda ad una sofferenza astroce? Non lo avete visto? Guardatelo, cliccate qui. Immedesimatevi in quel povero animale.
Guardatelo il video. Rivedetelo e rivivetelo. Anche se siete sensibili. Guardatelo, perché quel toro è l’ennesimo emblema della crudeltà che è insita in noi uomini e donne, in noi esseri umani che a questa parola attribuiamo sempre un significato positivo, di grande espressione di solidarietà, uguaglianza, armonia, benevolenza. Di “umanità”, appunto.
Vittorio Arrigoni, che forse era un po’ idealista come chi scrive, un po’ romantico ma molto sensibile, pragmatico nel scegliere da che parte stare, ce lo ha chiesto: “Restiamo umani”. Aveva visto in Palestina cosa sono capaci di fare i nostri simili. Gli “esseri umani”.
Ma torniamo all’amico toro costretto ad una fine orrenda per il divertimento del pubblico che lo circondava: hanno riso ed applaudito. E gli organizzatori dell’evento hanno affermato che l’animale non ha sofferto. Allora era depresso quel toro e s’è detto: “Beh, mi hanno incendiato le corna, qui c’è una bella arena, quale miglior momento per suicidarmi?”.
Guardatelo quel video. A me è sembrato di vedere le stesse scene che vedevano i romani che andavano al circo per assistere allo scannamento di belve feroci (ma animali o esseri umani?), a combattimenti all’ultimo sangue (anche se non erano così frequenti come si crede, perché i gladiatori costavano un sacco di soldi e prima di sacrificarne uno per il dileggio dell’imperatore o del pubblico reclamante sangue i loro padroni e protettori vi riflettevano a lungo).
Ho visto solo del sadismo: la voglia di divertirsi vedendo soffrire qualcuno, animale o umano che sia.
In questi anni ho studiato, e tutt’ora studio, il più terribile dei periodi storici, così definibile perché in soli dodici anni vi sono contenuti stragi e conflitti pianificati con una così perfetta arte della menzogna e del bluff, tanto da non ritrovarne di simili nella storia: dalla caduta della Repubblica di Weimar fino alla fine della Seconda guerra mondiale. In sostanza il fenomeno fascista, nazista e tutte le sue derivazioni.
Per capirlo serve analizzare a fondo una serie di cause che sono il lascito della Prima guerra mondiale unitamente a congiunture economiche e politiche che si sono avvicendate in Europa essenzialmente e che hanno dato vita al lato più oscuro, buio e privo di empatia che l’umanità (teniamo minuscola l’iniziale) abbia conosciuto. La fine dell’immedesimazione di noi nell’altro da noi: questa è la tragedia immorale di una morale scaturita dall’architrave di potere del nazionalsocialismo, corredata da tutta una serie di cause ed effetti che hanno portato all’eccesso ogni ambito di vita tanto nella Germania degli anni ’30 e ’40 quanto nei territori occupati dalla Wehrmacht nel corso della guerra.
Ogni volta che assisto a scene di crudeltà legata al divertimento sperticato, alla voglia di assistere a sofferenze, al desiderio di spettacolarizzare il dolore, ogni volta che ciò accade, non posso non fare un paragone con un diffuso sadismo cresciuto nel rigido schema razziale del Terzo Reich, in un senso di superiorità che in quell’arena spagnola c’era. Ed era ben presente. Provate ad individuarlo: sta proprio nel “diritto al divertimento” e nella vergognosa difesa degli organizzatori fatta di un giustificazionismo indegno e indicibile.
Se noi esseri umani abbiamo il diritto di divertirci con il dolore di altri esseri viventi, il terrorismo nazista è sempre dietro l’angolo: la spinta a sciogliere ogni freno inibitore della morale egualitaria, egualitaria anche e soprattutto tra specie differenti, è la prima propulsione anti-emotiva che uccide la compassione e la fa affogare nel piacere della sofferenza. Altrui, si intende.
Qui non siamo in presenza di odio per il toro. Siamo in presenza di una voglia di assistere ad una sorta di esperimento, per vedere l’effetto che fa (con tante scuse a Enzo Jannacci per l’involontaria citazione). Questo è essere sadici, molto più di quell’attività fatta “per sport” che è la caccia.
Ogni specie per sopravvivere può uccidere e cibarsi dei non suoi simili. Differentemente si finisce nel cannibalismo o alla rinuncia a cibarsi di carne. Il che non sarebbe affatto male. Ma siamo purtroppo onnivori e quindi ci cibiamo di carne e uccidiamo per averla.
Ma dalla soddisfazione di un bisogno alimentare (ammesso che possa poi essere definito tale) alla soddisfazione della voglia di colpire qualcosa di vivo che si muove, aleggia nell’aria e cade al suolo stramazzando dopo essere stato infilzato dalle pallottole, ce ne corre…
Sono gradi differenti di sadismo, ma sempre di sadismo si tratta. La caccia non per nutrimento ma “per sport” e le toro a cui si incendiano le corna sotto gli scroscianti applausi e le risate del pubblico iberico.
Ogni volta che l’empatia diminuisce, prevale sempre l’antipatia e la rivalità: per interesse economico e poi politico. Per divertimento sociale.
Vogliamo definire, in ultima analisi, questo sadismo da arena spagnola? E’ una tortura. Una vera e propria tortura nei confronti di un essere vivente che ha avuto la sfortuna di cadere nelle mani di chi per divertirsi non ha scelto una rassegna di film di Charlot o la bella, amara e speranzosa lettura del Don Chisciotte di Cervantes, ma un piccolo circo, un palo e del fuoco…

MARCO SFERINI

27 luglio 2017

foto tratta da Pixabay

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