La domanda è sempre uguale a sé stessa: cosa spinge un giovane appena ventenne a prendere un furgone e a compiere un atto criminale, terroristico, a fare una strage nel pieno centro di una città?
La soluzione da dare a questa domanda sarebbe una chiave che potrebbe aprirci ad analisi ulteriori anche concernenti il Daesh e la sua strategia del “mordi e fuggi” adottata con questi attentati fatti gettando auto e van sulle folle che passeggiano in una grande metropoli europea; ma soprattutto potrebbe consentirci di capire meglio le dinamiche di comunicazione, di indottrinamento politico (attraverso il fenomeno religioso utilizzato come viatico necessario per la fanatizzazione cieca… ricordiamoci che l’ “opium des volks” di marxiana memoria può avere plurime applicazioni e interpretazioni…).
Purtroppo è terribilmente complicato avere una risposta in tal senso. La strage di Barcellona è un altro tassello di un puzzle che anche componendosi non dà mai una visione chiara degli accadimenti e lascia sul terreno, oltre ai poveri resti degli innocenti travolti da camion, furgoni e altri mezzi usati a scopo di omicidio, anche i brandelli di una sicurezza che sovente pensiamo di poter esercitare quando parliamo di questioni internazionali, salvo scoprire, appena poche ore dopo l’ennesimo attentato firmato Daesh, che ogni volta esistono inquietanti elementi di novità che non permettono di comprendere fino in fondo tanto la strategia del terrore quanto quella della risposta degli stati al terrore medesimo.
Tralasciamo per un attimo la genesi del Daesh e, quindi, i suoi rapporti, con i paesi che lo hanno direttamente o indirettamente sostenuto sino ad oggi. Tralasciamo anche la fase geopolitica che il califfato nero attraversa: Raqqa è quasi caduta, Mosul lo è di fatto, ma importanti territori con snodi di comunicazione resistono ancora nelle mani degli uomini delle bandiere nere del fu Al Baghdadi.
Ciò che ora importa è capire la fenomenologia, intesa in senso originario (quello datole da Heinrich Lambert), quindi provare a comprendere quali sono le origini degli errori che commettiamo nello studiare le dinamiche del potere oggi e le sue ramificazioni al di fuori delle parvenze di legalità che gli stati si danno.
In questo contesto è necessario introdurre le figure di questi giovani burattini del terrore che, a sua volta, risponde a centrali di potere che oltrepassano i confini della Siria e dell’Iraq.
Il dramma sono morti che sono ancora vivi e morti che lo erano e sono stati uccisi da questi giovani che pensano di poter fare la “volontà di dio” e del loro califfo scagliandosi a 200 chilometri all’ora contro un mercato, in una via centrale di Barcellona, contro la gente che guarda i fuochi artificiali a Nizza o per le vie di Berlino…
Delle origini autoctone di questi “kamikaze” si è parlato spesso: gli attentati avvenuti in Francia avevano una sottile linea comune dettata dall’origine di seconda o terza generazione francese dei soldati del califfato.
Quindi legare la questione “migrante” all’esportazione del terrorismo in Europa è una argomentazione capziosa, piena di pretesti ipocriti per tentare di soffiare sul fuoco delle paure (legittime) di molti milioni di cittadini europei; un esercizio che sanno fare bene le forze di destra e che ogni attentato contribuisce a rinvigorire con nuova esasperazione mediante vecchie e imbolsite argomentazioni prive di un riscontro fattuale.
Il triste rito di Stato delle condoglianze sarà ciò che seguirà alla strage di Barcellona. E così i centomila commenti, compreso il mio, che tenteranno di spiegare le ragioni di una follia che non è follia ma lucida consapevolezza di una lotta vista da dei venti e trentenni come l’unica lotta giusta in nome di uno Stato che non è uno Stato, di un califfo che non è un califfo, di un terrorismo che è anche ciò che dice d’essere ma che trae le sue origini dalla lotta per l’egemonia economica.
Solo chi ha interesse a rimestare nel torbido prova a separare potere statale legale e democratico, occidentale e liberaleggiante dalla sua propaggine mediorientale mascherata da terrore spietato in nome di dio. Serve sempre un nemico per far avanzare le proprie ragioni: per esportare le democrazie, per occupare nuovi territori e sfruttarli fino all’osso appropriandosi delle ricchezze che vi si trovano.
Dietro al Daesh sta l’imperialismo e la lotta tra i poli del capitalismo. Dietro ai giovani che si scagliano con un furgone contro la gente che cammina per il centro di Barcellona sta invece solo una illusione che riempie il vuoto di vite che non trovano altro senso alla vita se non quello di dare e darsi (in alcuni casi) la morte.
La manipolazione della disperazione è arte politica sopraffina. Mortifera, mortale, persino nichilista. E allora la domanda nuova è: il terrorista è solo il terrorista?
MARCO SFERINI
18 agosto 2017
foto tratta da Pixabay