Nel corso dell’ultimo anno di guerra, il cosiddetto califfato, il Daesh, ha perso il 90% del territorio che aveva conquistato nei due anni scorsi. La stessa sedicente capitale Raqqa, nel centro desertico della Siria dalle antiche rovine romane in parte distrutte dagli atti criminali dei miliziani dell’Isis, è sotto assedio al pari dell’altra capitale, Mosul.
In un quadro di mera strategia militare, tutto sembrerebbe procedere per il meglio: avanzano gli eserciti curdi da nord, quelli di Assad dal sud e quello iracheno per la parte che concerne il Kurdistan dove Al Baghdadi aveva fondato il califfato nero.
Eppure gli attentati proseguono in Europa: ieri è toccato al centro di Londra dove, come ben saprete, un uomo a bordo di un suv si è gettato prima sulla folla che passeggiava per il ponte di Westminster e poi ha accoltellato un poliziotto di guardia al Parlamento inglese prima di essere ucciso da un secondo agente.
Il bilancio dell’atto criminale è di quattro morti, compreso l’aggressore, e decine di feriti.
E’ evidente che solo un folle può pensare di penetrare indisturbato o quasi nel Parlamento della Gran Bretagna armato di due coltelli e produrre morte in quantità tra i parlamentari.
Si tratta di un gesto scriteriato, privo di logica anche solo minimamente ispirata al terrorismo: non siamo davanti al posizionamento di una bomba in una stazione, in un aeroporto o a stragi come quella del Bataclàn di Parigi. Non siamo nemmeno lontanamente vicini al camion sulla folla di Nizza.
Siamo davanti ad un comportamento che è conseguente a quella che viene, in gergo, definita la “radicalizzazione solitaria”, quindi l’ispirazione singolare di un individuo conquistato – non si sa bene quanto, come, dove e perché – dalle idee del Daesh, dalla lotta teocratico-affaristica di un sedicente califfato che è destinato a finire i suoi giorni nel sangue, nella repressione più dura da parte della coalizione dei paesi alleati che si è riunita proprio poche ore fa in un vertice promosso dalla Nato.
Un “lupo solitario” lo chiamano: ed effettivamente cosa può fare un lupo contro dieci, cento, mille cacciatori? Può ferirne uno, due, anche dieci, ma prima o poi un colpo di fucile gli arriva, e poi un altro ancora e poi la morte.
Da stabilire resta se si tratta di una strategia estesa o di una presa di posizione veramente isolata. Perché se in ultima ipotesi di questo si trattasse, allora è anche eccessivo parlare di “attacco a Londra”, “attacco al Parlamento”.
Invece di “aggressione” o “atto di terrorismo”, si parla in termini bellici, come se un esercito o una banda armata di tutto punto, militarmente esperta, avesse preso d’assalto il palazzo di Westminster, l’avesse circondato e avesse tenuto in ostaggio la Camera dei Comuni per intero.
Le parole valgono sempre meno, vengono piegate alla ragion di stato: anzi, alle ragioni degli stati alleati. E tanto nella lotta di un singolo presunto folle quanto in una guerra non convenzionale come quella contro il Daesh, il linguaggio cambia, diventa menzogna in ogni concetto che si viene esprimendo.
Attacco è termine militare: un gruppo di fanteria attacca; i marines attaccano; la cavalleria di Napoleone attaccava; le brigate partigiane attaccavano i fascisti… Ma che un individuo, da solo, sia “un attacco” al Parlamento inglese o all’intera Londra è veramente indecente come metodo di propagazione delle notizie. Tralascio il termine “cronaca”, nemmeno arriva negli spazi limitrofi di quanto descritto con la parola “attacco”.
La Londra del 1940-41 sotto le bombe della Luftwaffe era sotto attacco e che attacco! Incessante, continuo per mesi e mesi. Sarà un mutuare i termini anglo-americani: “Under attack” che si leggono su tutti i teleschermi.
Forse se ridimensionassimo, senza minimizzare i fatti, anche la comunicazione, quindi l’interpretazione dei fatti da offrire alla gente comune, allora potremmo scoprire analisi più corrette del fenomeno terrorista e separare le polemiche pretestuose da quelle invece che propongono visioni legittimamente differenti di quanto accade in Medio Oriente e nelle capitali europee.
Da ogni parte invece l’enfasi esasperata ed esasperante produce stupore e indignazione per quanto avviene: e ci si dimentica dei tanti appelli al securitarismo, a quanto i governi dei singoli stati europei abbiano messo in campo in questo settore. La sicurezza prima di tutto. Ma come prevedere la sterzata di un volante all’improvviso e il gettarsi sulla folla di un suv all’impazzata?
Ieri ho sentito una analisi sensata in merito: il terrorista singolo, il cosiddetto “radicalizzato” esterno tanto al territorio quanto magari al Daesh stesso in quanto ad organizzazione, ha questa potenza dirompente anche se è da solo perché in un preciso istante oltrepassa il confine tra comportamenti quotidianamente inseriti nella normalità del fluire della vita sociale e comportamenti che sono l’esatto opposto.
Guidare tranquillamente una macchina e, pochi secondi dopo, trasformarsi e trasformarla in un proiettile impazzito che colpisce a zig zag la gente che passeggia su un ponte nel centro di una capitale storica, vicino alla sede del potere legislativo tra i più antichi d’Europa. Simbologie, accadimenti repentini, impossibilità di prevenzione. Tutto questo si sintetizza nell’azione del suv e dell’omicidio di persone comuni che andavano da un capo all’altro di Londra.
Però una domanda, nonostante tutta questa analisi, è d’obbligo: se il Daesh è figlio della fase imperialista del capitalismo, quindi della sua necessità di espansione economica anche attraverso la creazione di guerre ad acta e di terroristi che fanno al caso suo, i combattenti solitari che si radicalizzano nelle prigioni o fuori dalle prigioni, come si possono inquadrare nello sviluppo sociale di oggi?
Come può la nostra società prevenire tutto ciò? Con più eserciti per le vie delle grandi città d’Europa? Gridando genericamente ai “black block” e creando confusione utile alla generalizzazione indistinta per mostrare brutti, sporchi e cattivi come sempre coloro che si oppongono al regime delle banche, ai trattati di Roma che hanno istituito una Unione Europea fondata sul profitto e sull’accumulazione di ricchezze per banche e per pochi benemeriti capitalisti e speculatori?
L’unica prevenzione possibile è ammettere, nel prenderne coscienza, che la violenza del terrorismo è figlia dell’autoritarismo economico, del dominio del capitale su tutto il resto e delle politiche securitarie che dovrebbero prevenire i gesti inconsulti del singolo e delle bande e che, invece, si lasciano sempre sfuggire ciò che è utile alla causa globale dei mercati: l’instabilità sociale, l’insicurezza quotidiana, la destabilizzazione politica.
Più grande è il caos più gestibile è la rabbia dei milioni e milioni di disoccupati, precari e nuovi poveri che affollano la meravigliosa Unione Europea…
MARCO SFERINI
23 marzo 2017
foto tratta da Pixabay