La domanda è questa: come si spiega che, nonostante le questioni romane e genovesi, le scissioni parmensi e le questioni siciliane, con molta parte dei giornali e delle televisioni fortemente critici verso loro, i grillini siano ad oggi, nel sondaggio pubblicato dal Corriere della Sera in data di ieri, il soggetto politico primo in Italia percentualmente parlando? Ben il 32% degli intervistati li preferisce a qualunque altra forza, con un rovinoso crollo del PD e una frammentazione di destra e sinistra che non produce alternative valide a questo movimento interclassista e privo delle tanto vituperate “ideologie”.
Apparentemente non esiste una sola risposta. E forse è così. Un insieme di fattori sociali e politici, economici e civili determina ancora oggi il successo di una formazione che viene diretta da un garante e che si sviluppa tra i cittadini mediante la “rete”, il “web”, lo strumento che ora stiamo usando.
Si sviluppa con uso per noi inconsueto e “anomalo” di Internet: noi lo utilizziamo per fare propaganda e per provare a diffondere le nostre idee, loro ne fanno una piattaforma parallela a quella reale, una piattaforma di partecipazione attiva. Su Internet i grillini votano: praticamente su tutto. Ma votano, partecipano e dialogano. Si rimbrottano sul blog di Grillo, rispondono ai post, utilizzano Facebook per costruire la loro politica e non semplicemente per farla conoscere.
E’ un metodo molto lontano dalla nostra metodologia politica: da comunisti siamo sempre stati abituati a ragionare in termini realistici, provando a stare tra la gente e abbiamo provato a starci così tanto che, ad oggi, siamo rimasti fuori dai principali circuiti di interesse sociale e politico.
La marginalità della sinistra, però, onestamente non deriva soltanto dal fenomeno internettiano e, tanto meno, dal solo fenomeno grillino. E’ stato un lento logoramento quello che ha pervaso gli ambienti sociali e politici della sinistra, soprattutto di quella di alternativa: è venuta meno la necessità di una società alternativa e anche i più poveri si sono abituati a vivere male, a maledire i governi e le banche, ma non hanno fatto conseguire a ciò un consenso per quelle forze come Rifondazione Comunista e oggi anche Sinistra Italiana che contestano il liberismo e che vorrebbero proporre una differente visione della società già dalla partecipazione al momento elettorale politico nazionale, da un ritorno in Parlamento per i comunisti e le comuniste.
Non quindi la rivoluzione ma un riformismo parlamentare che non dimentica il suo obiettivo: il superamento del capitalismo attraverso anche queste lotte, ma fondamentalmente fuori da quei palazzi dove si decide il miglioramento della vita quotidiana delle persone ma non di certo la presa del potere, almeno per quanto riguarda la situazione data.
Non siamo nella Cuba di Batista o nel Vietnam di Ho Chi Min. Non siamo nemmeno nelle socialdemocrazie nordiche europee, dove accenni di socialismo si possono, lì sì, creare dentro le aule parlamentari e stando al governo.
Qui, nell’Unione Europea della BCE, il socialismo non si fa per decreto, ma solo con una lenta costruzione di massa, con una rinascita delle coscienze di classe, di un criticismo assente in Italia.
La risposta, dunque, più veritiera (ma non affatto facile) alla domanda iniziale, sul fenomeno grillino che avanza nonostante le inchieste che mediaticamente l’hanno colpito più volte, per il fatto che propone, come spesso abbiamo ribadito, una soluzione immediata a problemi che invece hanno una derivazione molto più lontana sia nel tempo che nella costruzione stessa delle dinamiche che ci hanno portato alla crisi economica e al degrado contrattuale nel mondo del lavoro, ad esempio.
Il successo del movimento 5 Stelle è l’interclassismo, proprio così. E’ anche la mancanza di una precisa collocazione: non a destra, non a sinistra e nemmeno al centro. L’intuizione grande è stata quella di collocarlo nella protesta continua, nella continuità di una rabbia popolare che si ferma lì: alla protesta, alla maledizione delle istituzioni e alla voglia di spazzare via ogni vecchio e attuale residuo di rappresentanza politica che appare, per certi versi obiettivamente e per altri invece per il solo fatto d’esistere, l’unico responsabile delle differenze sociali, del disagio sociale, della povertà che avanza con la precarietà, la disoccupazione e le situazioni di non lavoro che durano da troppo tempo.
Assenza di ideologie, quindi evitamento di una “partigianeria”, di una scelta di schieramento, di identificazione proprio con una storia del passato, ma il calarsi in un presente di rabbia per la corruzione, per i dissesti finanziari, per i tagli allo stato sociale: tutto ciò sta alla base del fenomeno elettorale del movimento 5 Stelle.
Esistono anche in altre parti d’Europa movimenti simili, ma solo in Italia non esiste una sinistra di alternativa capace di esprimere una risposta più concreta, partigiana, collocabile dentro una storia precisa (o quanto meno rilevabile da un filone culturale e sociale del recente passato).
Creare questa sinistra di alternativa è forse il compito più difficile che abbiamo davanti. Molto più alta come sfida del pensare anche solo lontanamente al più lontano, necessario orizzonte comunista.
MARCO SFERINI
22 marzo 2017
foto tratta da Pixabay