La morte del fisico Stephen W. Hawking ha avuto una risonanza mediatica straordinaria. La sua eccezionale vicenda umana ha raggiunto un pubblico molto più ampio della comunità accademica. Pochi, tuttavia, conoscono il contributo scientifico dello scienziato inglese.
Hawking, nato il giorno del compleanno di Galileo e morto in coincidenza di quello di Einstein, ha compiuto ricerche di eccezionale valore nel loro stesso settore: lo studio degli effetti della gravità sullo spazio e sul tempo. Mentre per Galileo il tempo era assoluto e indipendente dalle forze, secondo la teoria di Einstein la gravità deforma sia lo spazio che il tempo.
Le implicazioni, osservabili solo su scala astronomica o negli acceleratori di particelle, sono notevoli: per esempio, la gravità delle stelle devia la luce dalla traiettoria rettilinea. Hawking si è dedicato allo studio di condizioni ancora più estreme, in cui le teorie di Einstein sono spinte al limite. Cosa succede, infatti, quando una stella collassa su se stessa e, secondo le equazioni di Einstein, curva lo spazio-tempo al punto da risucchiare anche la luce? In queste condizioni, dette «singolarità», la teoria della relatività potrebbe non bastare. Fino agli anni ‘60 sembrava solo una possibilità teorica. Per fortuna di Hawking, tutto è cambiato con la scoperta delle stelle di neutroni ad altissima densità e, più recentemente, degli stessi buchi neri, rivelati indirettamente dall’attrazione esercitata sulle stelle circostanti. Confrontando le osservazioni astrofisiche con le previsioni teoriche, si poteva verificare la teoria della relatività di Einstein e, eventualmente, superarla.
Hawking, poco più che ventenne, è stato uno dei pionieri di questo campo di ricerca e oggi dobbiamo a lui molte previsioni sui buchi neri. Per esempio, nel 1974 Hawking teorizzò che sul limite esterno di un buco nero dovesse emettere una radiazione di origine quantistica che oggi prende il suo nome. Infatti, secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg nemmeno nel vuoto l’energia vale esattamente zero, e piccole quantità di energia nascono e muoiono continuamente. Perciò, il vuoto cosmico in realtà è pieno di coppie di particelle dalla vita brevissima. Secondo Hawking, il buco nero dovrebbe risucchiare una particella di ogni coppia e l’altra potrebbe essere rilevata dagli astronomi, rendendo il buco nero un po’ meno «nero». Secondo i calcoli, la radiazione di Hawking è troppo debole per essere misurata. Se però nel Big Bang furono creati molti buchi neri di piccole dimensioni, come ipotizzava lui, la somma delle radiazioni potrebbe aver generato un segnale osservabile. Purtroppo, i dati non hanno confermato questa ipotesi.
Negli anni ‘70, Hawking riuscì a stimare altre caratteristiche fisiche dei buchi neri, come la temperatura e l’entropia. Sulle sue teorie ha spesso cambiato idea, stimolato dai colleghi con cui scommetteva volentieri. La scoperta del bosone di Higgs gli costò cento dollari, ma lì giocava in trasferta perché non era il suo settore. Anche sui buchi neri si ricredette. Inizialmente, la sua teoria generava paradossi inconciliabili con la meccanica quantistica. Un buco nero avrebbe cancellato ogni informazione su un oggetto risucchiato mentre, secondo la teoria quantistica, l’informazione non si crea né si distrugge – come l’energia. Nel 2004, lo stesso Hawking ammise di aver torto: quella volta aveva scommesso un’enciclopedia, «da cui ogni informazione si può sempre recuperare».
Hawking sapeva fare lo spiritoso e amava i paradossi. Per dimostrare che i viaggi nel tempo non sono possibili, nel 2009 organizzò una grande festa a Cambridge, a cui erano tutti invitati. Ma spedì gli inviti solo all’indomani della festa, in modo che i partecipanti dovessero viaggiare all’indietro nel tempo. «Ho aspettato a lungo, ma non è venuto nessuno». Aveva ragione lui.
Grazie a lui, oggi i buchi neri e il Big Bang sono oggetti meno misteriosi e rappresentano dei laboratori naturali per mettere alla prova le nuove teorie. Da queste ricerche potrebbe nascere una teoria quantistica della gravità a cui lo stesso Hawking si è dedicato negli ultimi anni della carriera. Le sue ultime pubblicazioni scientifiche in materia sono datate 2017. È un’età in cui molti scienziati in ottima salute si godono i nipotini. Hawking invece non ha mai smesso di assistere allievi, tenere conferenze e girare il mondo, malgrado le limitazioni fisiche. Per la sua fama, è diventato un commentatore molto (troppo?) ascoltato sulle tematiche più diverse.
L’ultima sua passione riguardava il futuro dell’umanità, assediata da mutamento climatico, robotizzazione e sovrappopolazione. La sua fiducia nella tecnologia talvolta sfociava nel tecno-utopismo, come quando promuoveva la colonizzazione di nuovi pianeti per salvare il genere Homo o decretava la fine della filosofia superata dalle scoperte della fisica. Però invitava alla cautela nei confronti dell’intelligenza artificiale e richiamava alla necessità politica di coniugare innovazione e progresso sociale, difendendo i diritti sociali a sanità e istruzione.
Nonostante gli onori, o forse proprio a causa loro, la figura di Hawking ha generato anche una schiera di detrattori. Qualcuno, nei corridoi dei laboratori, ritiene la sua fama sproporzionata rispetto al contributo scientifico. Il suo nome non compare quasi mai nelle liste dei «grandi» della fisica, soprattutto se a stilarle sono gli scienziati. D’altronde, le sue ricerche hanno generato congetture brillantissime e matematicamente complesse, ma ancora prive di conferme sperimentali. Per questo motivo Hawking non è mai andato vicino a vincere un premio Nobel. Nemmeno Einstein fu premiato per la teoria della relatività generale, che aveva il difetto di essere «solo una teoria». Ma la scoperta delle onde gravitazionali, che ha vinto il Nobel cento anni dopo, gli ha reso infine giustizia. Per giudicare Hawking, dunque, risentiamoci un po’ più in là.
ANDREA CAPOCCI
foto tratta da Wikimedia Commons