Con questa approfondita analisi diamo il benvenuto su la Sinistra quotidiana a Gianmarco Mereu, giovane studente di filosofia presso l’Università di Macerata, che inizia la sua collaborazione oggi.
Lo ringraziamo per l’impegno e per tutto ciò che anche lui potrà dirvi da queste pagine per provare a ragionare insieme un po’ di più rispetto a quanto facciamo di solito…
Grazie a Gianmarco e buona lettura!
Rivoluzione. Eversione. Trasformazione. Rivolgimento. Sussulto, Tumulto… Sfarzosi sinonimi dell’Elucubrazione dell’animo utopista che combatte il pauperismo intellettuale ed intellettivo della sterile società contemporanea soffocando la bieca ragione individuale nella barocca veste del Don Chisciotte. La nostra società si volge da sedici anni al nuovo secolo con l’intenzione di lasciarsi alle spalle una civiltà ormai esausta della rielaborazione degli schemi del passato, ma, dinanzi ad un mare di nullità, questa è per contro (e paradossalmente) soggiogata dalla noluntas, più che dalla volontà di cambiamento.
Perciò l’isteria generale aborrisce tutto ciò che è “vecchio” per sputare mezze novità come il nuovismo di stampo blairiano e chi dovrebbe fare da controparte non ha che il gentismo e la propaganda demagogica, pur sempre nel circuito chiuso restrittivo della macchina del Capitalismo. La generale rielaborazione degli schemi, permutati con nuovi nomi, adduce il Popolo ad una neutralizzazione involontaria che restringe al pensiero unico l’intera pletora preesistente di ideologie ed ideali del vetusto mondo occidentale. In sintesi per giungere ad un Sovvertimento dello Stato si necessitano Rabbia, Orgoglio, Fantasia ed Amore.
Queste sono tutte espressioni complesse della sincera comunicazione umana e se la prima è l’amara sensazione − misto di dispiacere e coraggio − che si ha quando non s’accettano le stanti cose come immanenti, la seconda è la ferrea accettazione della forza in sé di ripudiare le accuse, se la terza è il piacere di dimenticare lo stantio vivere per costruirne uno armonioso, la quarta è l’apertura al fuori di sé, con occhio filologo diremmo che è già al di sopra del regolare, poiché supera ogni cesura artificiosa ed umana. Eppure, tutte queste realtà e parole bellissime, come ben sa l’èlite, non sono più attuabili dalla fine del Secolo Breve. In una società schiettamente dichiarata al piacere personale ed alle libertà di autodeterminazione esclusive è impossibile riconoscere il privilegio della monade dal diritto della collettività.
Insomma, è deflagrata la stessa concezione di unità egalitaria nelle diverse nazioni. Intersecando le lotte per un bene comune (il qual va sotto il nome di Globalismo in ambito economico e Nato in campo politico, come ci ricorda Carl Schmitt) colle lotte per il dominio dell’unico scranno, de facto si arreca ancor più danno alla pace, poiché le masse sobillate dalle cause più superficiali fanno il gioco dei padroni pensando di compiere un balzo verso l’idealismo applicato.
Allegoria della Tirannide moderna
Se, dunque, J.R.R. Tolkien o George R.R. Martin fossero stati ispirati dall’epica della Storia attuale, piuttosto che da quella del Medioevo, avrebbero comunque scritto tomi di magnifica fattura, dato che la battaglia per l’investitura a massimo pontefice di questa era non si differenzia affatto da quella passata. Per l’appunto, così come tra guelfi e ghibellini allora ed adesso fra filoatlantisti e putiniani, non vi è diverso partito da quello “imperiale”; tutti mirando allo stesso trono, partecipano semmai a diverse correnti.
Correrà fra le menti di alcuni il dubbio se ciò non sia un ricorso storico di vichiana memoria, a nostro parere sembra che più di ricorso, questo sia una testimonianza della costituzione dell’animo della Storia: è sì vero che i concetti passati si ripetano nel divenire del mondo, ma è anche innegabile che questi siano sostantivi inanimati e che sia l’Umanità a compiere queste scelte. Si suole fra intellettuali comprendere l’essenza naturale da cui si principia e scaturisce l’esistenza di una ideologia e della sua gerarchia. Molti compiono l’errore comune di confondere queste col soggetto agente, ovverosia l’Umanità, generando una personificazione la quale, infondo, è una oggettivizzazione dell’uomo.
Contestualizzando questa condizione, si prenda da modello l’Idealismo e la terminologia legata ad esso, si potrà ben comprendere la contraddizione di fondo e si potrà scoprire ove è nata la spaccatura fra soggetti ed oggetti della realtà. Qui ed ora tale contraddizione è non solo di proprietà dell’intellighenzia o dell’Idealismo, bensì di tutta la società odierna, che, suffragando tale scissione, confonde le acque fra i pensanti e dà per buone le fondamenta inagibili del Capitalismo.
D’altronde, se non vi fosse confusione fra chi agisce e chi resta nella passività, non esisterebbero le tante prospettive da cui mirare il dualismo e quindi il bosco di sequoie in cui perdersi ed impazzire. Se si ristabilisse, a quel punto, il giusto e si svelasse l’arcano, che senso avrebbe più accreditare il capitalista o l’altoborghese come attore principale dell’economia? Pertanto, è necessario un rinnovamento ed un esercizio continuo, catartico, filosofico, che liberi dalla determinatezza e fatalistica rappresentazione della Storia e del mondo.
Perché non si è capaci di rivoluzionare il mondo?
Abbiamo scoperto la nudità del Re, ma anche noi s’è vestiti come putti. È ormai accertato dai più che in questa era di latenza delle opposizioni, le filosofie rivoluzionarie pargano visioni romantiche ed idealistiche, melanconiche ed incapaci di attuarsi senza violenza, ma ciò è una risultante della fine della polarità. Dell’inizio della pax augusta. Eppure nella sostanza ogni Rivoluzione verace, spontanea, passionaria nasconde un mondo rigoglioso, vivido di sentimenti, forte di idee valorose e giuste.
È l’esempio della Rivoluzione Francese, dei Moti del ’48 e dei misconosciuti Vespri Sardi, poi della Rivoluzione Castrista, della Pražské jaro, la Primavera di Praga, ed infine del Sessantotto. Nel caso delle Rivoluzioni durante i primi moti industriali, l’Umanità si porgea in procinto al cambiamento senza timori e le speculazioni filosofiche, pur se a volte censurate dalla monarchia, si diffondevano democraticamente e coram populo, coinvolgendo le questioni attualli per risolverle e razionalizzare la caotica struttura gerarchica, anche se la risultante ne fu soltanto l’ascesa di una classe di una classe al trono, pur cambiando alcuni aspetti prima inesistenti, se non nell’etere teorico dell’Illuminismo.
D’altro canto il processo di “aristosi”, ossia d’ascensione-degenerazione ad uno stadio di per sé definito superiore sugli altri, al contrario della vecchia nobiltà feudale nel nuovo ordine borghese non è esclusiva prerogativa di quel ceto sociale, anzi, è sopra ogni casta, si diffonde liberamente proprio perché è la cooptazione è il metodo migliore per soggiogare. È, quindi, comprensibile che nel nostro tempo non v’è differenza fra l’altoborghese d’oggi ed il barone d’allora, non tanto perché si succedono per via ereditaria, come il figliol prodigo al padre, ma perchè chiunque voglia l’Anello di Gige del potere pensa di poter fare ciò che gli uomini sopra la morale e la legge fanno: violentare il prossimo.
I fatti c’insegnano che per spodestare il nuovo dittatore non serve solo la motivazione ed il physique du rôle, non foss’altro che chi si comportò così finì per distruggere la propria utopia, ma soprattutto la verve, la fantasia e la passione. Ora, proporre tale “sognante” pianificazione rivoluzionaria richiede una preparazione ed un sostrato ampio ed è improponibile al Popolo la stessa formula che in precedenza ha portato alla distorsione dell’intenzione originaria.
Come essere rivoluzionari oggi?
Premessa dunque l’impossibilità della costruzione di una base rivoluzionaria come precedentemente fatto nel Novecento da Lenin, Che Guevara, Mao Tze-Tung e molti altri, bisogna comprendere in che modo sia realmente possibile il riassestamento di una pratica ribelle nella Società e nel periodo dell’Interpassività, questo tempo di false speranze infarcite di populismi e di pseudorivoluzionari dal mantello nazionalista.
Nell’odierno scenario il grande assente è proprio un assetto antitetico al sistema che non cada nel reticolato delle contraddizioni come i movimenti antisistema od antipolitici oppure anticomunisti, antifascisti, antirazzisti e via dicendo, ma sappia fondamentalmente essere sia propositivo che innovativo, sia incessantemente volto ad un’applicazione totale del progressismo in ogni ambito, sede e struttura dello stesso. In sintesi, per poter combatterela staticità sfuggente del Capitalismo v’è bisogno di un soggetto capace innanzitutto di rinnovarsi in continuazione e poi di avanzare una critica all’Ideologia domiante, il tutto, senza mai dimenticare dei sentimenti umani.
Il processo di “rianimazione”, dunque, dev’essere totalmente spontaneo, sincero, come la risata sardonica. Anche se aborrita dalla letteratura e dall’etnografia dell’età antica, la risata sardonica è il modello e la dimostrazione della fallacia logica dell’attuale significato di irrazionalità: quando i Nuragici scortavano gli anziani verso la morte per caduta e questi, sapendo di sacrificarsi agli dei e di divenire tutt’uno coi propri figli, ridevano nel fatale gesto di schiantare contro un masso.
Ma ciò che sta a dire? Ciò indica che ‒ oltre la coltre di fumo del pregiudizio verso la superficiale illogicità ‒ il pensiero supera le barriere fra conscio ed inconscio e si manifesta anche nel sostrato culturale di un Popolo, poiché è sub-stantia, cosa sottostante ad entrambi i due lati psichici.
L’obiettivo di quel rituale sacro era circoscrivere la popolazione sofferente, mantenere la collettività attiva per permettere l’avanzamento, infatti ogni evidenza converge sulla traccia di una società irazionale, mitica, portentosa e potente, capace di combattere e mettere incrisi una potenza “faraonica”, quella di Ramsete II e della sua dinastia, per circa cinquant’anni.
Anche noi dobbiamo “buttare dal dirupo” i nostri padri, anche noi dobbiamo preservarci dalla cultura dell’autoreferenzialità che gli antichi sardi erano stati capaci di espugnare, dobbiamo picconare le forme statiche, inferme, reazionarie della società, rimpiazzare con la democrazioa della complicità, fare teatro della vita, tornare ad una critica semplice (ma non riduttiva) della Storia, rivedendo ciò che il passato dona piacere, ciò che può rendere felici tutti e che piò ripartire la gioia secondo un principio egalitario.
Per uno strano caso, d’altra parte, varie forze reazionarie fanno motto del massimo esponente della Filosofia del Piacere, Epicuro, la summa che recita: «chi conosce i limiti della vita sa che è facile eliminare il dolore che deriva dal bisogno ed ottenere vita perfetta: non ha bisogno di lottare». Costoro, dimentichi delle differenze fra piacere temporaneo e piacere perpetuo, abbindolano i più mansueti e convincono all’indifferenza alla lotta, che così dinvengono restii al travaglio della Liberazione, se acconsentite che noi si mutui questa terminologia žižekiana.
Non possiamo dunque circoscrivere i bisogni istantanei al mondo storico, poiché le cause son pur sempre doglie d’un parto che resta d’avvenir, sono una nascita travagliata dall’incedere delle distorsioni, sono, per dirla con poesia donchisciottesca: la farina saccheggiata dal Mulino storico che ha ceduto alla sconfitta.
GIANMARCO MEREU
redazionale
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