«Il Sacro Romano Impero non era né sacro, né romano, e nemmeno era un impero…» – Voltaire
Non molti Stati nella storia dell’umanità vantano esperienze millenarie, per quanto anche questo arco temporale sia, se astratto dal contesto prettamente antropocentrico dell’evoluzione, relativamente breve. Andando a memoria, esperienze continuative di strutturazione del potere e di perpetuazione dello stesso da una dinastia all’altra o, comunque, anche mutando la forma di governo e di istituzione, sempre nell’ambito della medesima nazione, si contano sulla punta delle dita di due mani.
In Asia possiamo citare indubbiamente il Giappone, così come la Cina. In Europa, ad avvicinarsi al millennio sono il Portogallo, la Danimarca e l’Inghilterra. Molto lontane ancora Francia e Spagna. Nemmeno la Grecia, che pure, al pari dell’Italia, vanta una storia trimillenaria, ha fatto di sé stessa uno Stato unitario se non con le guerre balcaniche di fine Ottocento. I grandi imperi dell’età antica, da quello alessandrino a quello egiziano, da quello romano a quello persiano, si sono sgretolati, avvicendandosi uno sulle rovine dell’altro.
Ciononostante, se facciamo riferimento alle potenzialità espresse dalle singole civiltà, prime fra tutte quelle romano-elleniche e quelle sino-nipponico-indiane, dobbiamo riconoscere che la loro influenza ha travalicato qualcosa di più di un tempo millenario: arriva fino a noi da molto più indietro e affonda le sue radici ben prima della civilizzazione pre-moderna che conosciamo oggi. Ma qui si tratta di Stati, quindi si parla e si scrive di imperi, di regni, repubbliche che hanno saputo, per vie traverse e non certo senza grandi sconvolgimenti interni, conservarsi passando dalla secolarità alla millenarità.
Tre sono, in Europa, quelli che sono riusciti a lambire questo traguardo cronostorico: la Serenissima Repubblica di Venezia, lo Stato della Chiesa e il Sacro Romano Impero (Romano Germanico). Di per sé, il dato non dice più di tanto se si separano “quantità” della durata e “qualità” dell’esperienza statale, nazionale e internazionale del soggetto strutturato in paese conosciuto e riconosciuto dai suoi amici e, soprattutto, dai nemici. Ma rimane il fatto che, comunque, una così lunga vita per una entità statale è un messaggio che parla anzitutto ai posteri, ossia a noi.
E questo messaggio ci dice che, pur con tutte le contraddizioni del caso, il Sacro Romano Impero, nato ufficialmente la notte di Natale dell’anno 800 con l’incoronazione di Carlo Magno, ha avuto se non altro le caratteristiche confederative tipiche di enormi agglomerati di popoli tra i più diversi che sono stati inclusi sotto una unica amministrazione; dipendendo così da un potere centrale che, per ragione e volontaria decisione come per necessità e, quindi, spinto dalla forza degli eventi, ha delegato alle comunità locali ampi margini di autonomia: proprio per poter vivere e sopravvivere.
La rivendicazione della continuità con la storia romana, con l’Impero dell’Urbe, si congiunge con la manifestazione universale (per quel che allora era il mondo conosciuto) del Cristianesimo che si fa Stato, che si millenarizza in parallelo all’esperienza ghibellina dell’età di mezzo di un’Europa che gravita attorno a queste due grandi entità unite e divise al tempo stesso da una serie di conflitti mai completamente risolti. Della storia imperiale, da Carlo Magno alla fine dei suoi giorni sotto l’incedere della Rivoluzione francese, scrive in un’opera che ha del monumentale Peter H. Wilson: “Il Sacro Romano Impero” (il Saggiatore, 2017).
Opportuno ed esplicativo sottotitolo è: “Storia di un millennio europeo“. Perché è esattamente di questo che si tratta. Attorno a quello che i tedeschi medieoevali chiamano “das alte Reich” (“l’antico Impero“) ruota il cammino del Vecchio continente in una ristrutturazione complessiva dei vecchi grandi eredi della romanità, così come dello sviluppo ad est dei nuovi apparati statali che si vanno costituendo con la fine delle eredità bizantine e latine. Sulle proprietà istituzionali di questa anomalia che unisce Stato e religiosità, laicità e potere temporale, trono ed altare, per poi trovarsi a fronteggiare i tentativi di egemonia pontificia nelle guerre intestine durate decenni, così come nella Riforma protestante, si è dibattuto a lungo.
Wilson non chiude certamente la questione su cosa realmente fosse l’Impero, ma offre spunti davvero interessanti per riflettere ulteriormente sulla tipologia confederativa che, senza dubbio, lo caratterizzava e che, ad oggi, fatica a trovare una similitudine: tanto nella coevità della sua nascita, del suo sviluppo e consolidamento nel centro dell’Europa, in una identificazione con la germanicità che diventerà, man mano che i confini si sposteranno sempre più ad est, verso il Reno e oltre l’asse verticale con i Balcani, quanto negli ultimi secoli di vita, mentre grandi cambiamenti si prospettavano come imminenti e irrisolvibili con il semplice riferimento alla volontà divina insita nelle dinastie reali.
Pregio dell’opera voluminosa (oltre mille pagine) di Wilson è la capacità di disarticolare la complessità del fenomeno imperiale dentro il contesto europeo e, se davvero vogliamo dare a Cesare ciò che è di Cesare, anche nella più disarmante evoluzione di una Germania divisa prima in tanti piccolissimi e medio-grandi staterelli e poi riunitasi attorno all’emergente egemonia prussiana di metà Settecento e inizio Ottocento. Una storia come quella descritta in questa corposa ricerca, meticolosa e ricchissima di particolari e di analisi distinte e convergenti allo stesso tempo, in una organicità compositiva davvero sorprendente, affascina al pari di un romanzo.
Ed in effetti, con tutti i suoi risvolti, le trame, le alleanze, i tradimenti e le guerre che si sono combattute nel corso di mille anni, il Sacro Romano Impero è e diviene un soggetto perfetto per un affresco temporale di lunghissimo corso davanti al quale scorrono le vicende di tutta l’Europa, perché vi si trova nel bel mezzo ed è intercapedine e congiunzione nello stesso istante tra ovest ed est, tra mondo germanico e mondo franco-ispanico, tra l’Italia divisa in tanti Stati e il resto del mondo di allora. Tra magiari, boemi, cavalieri teutonici e britannici. Per la Germania del Primo Reich, quindi, passa la Storia del Vecchio continente. Per mille anni. E oltre.
La vastità dei documenti relativi all’Impero è paragonabile a quella che si può ritrovare se si tenta una Storia della Chiesa cattolica, del Cristianesimo oppure dell’Europa dai primordi fino ad oggi. Qualunque studioso rischia di smarrirsi in un tale quantitativo di fonti, perché sono davvero incommensurabili le testimonianze affidate alle carte conservate negli archivi di Stato e in quelle che ancora oggi sono un patrimonio prezioso di vecchi monasteri che erano l’ossatura del guelfismo, delle propaggini temporali del papato fin dentro i meandri più nascosti della confederatività imperiale. Vivono, l’una accanto all’altra, per secoli cento e più ritualità laiche e religiose, si compenetrano e si scambiano rapporti culturali oltre che sociali.
Il confronto tra queste realtà secolari e temporali si perde in mezzo ad una tale quantità di storie singole che, tuttavia, restano avviluppate in un contesto piuttosto generale ma non generico. Perché l’Impero è multiforme – oggi si direbbe che è “resiliente” al suo interno e “fluido” – e lascia il suo segno oltre la sua stessa esistenza: Napoleone, complice l’avanzata delle armate francesi fino al Reno, lo spazzerà via ma percepirà la necessità di mantenere una forma di unione economica e, quindi, statale, per il mondo germanico. La forma confederativa, ancora una volta, si renderà utile allo scopo, dopo Austerlitz, per satelitizzare ciò che rimarrà del millenario Reich nella Confédération du Rhin.
Dopo la caduta di Bonaparte, il Congresso di Vienna ripristinerà quasi tutto il vecchio ordine europeo, tranne il Sacro Romano Impero e la Repubblica di Venezia. Due dei tre stati più antichi del continente saranno archiviati e messi in soffitta. Ma, se per Venezia si tratterà di una pagina completamente voltata, per la Germania i corsi e ricorsi storici si faranno avanti nuovamente nel tentativo di prendere in considerazione una correlazione tra gli Stati tedeschi, evitando una dispersione delle energie economiche dopo il periodo rivoluzionario francese. Alcune potenze come la Prussia, o Stati minori come la Sassonia, preferivano all’egemonia dell’Austria un ritorno ad un progetto di libera associazione tra le diverse entità del mondo germanico.
Come una eco che viene dal passato, la Deutscher Bund risolverà temporaneamente il problema dell’unità tedesca o, per meglio dire, lo rimanderà ancora fino alla comparsa dei nazionalismi di metà Ottocento e della politica bismarkiana. Il Sacro Romano Impero, infatti, per quanto fosse durato mille anni e nonostante fosse riconosciuto come il “Primo Reich“, non ebbe mai i caratteri dello Stato unitario, nemmeno nella sua informità federativa (e qui sta il punto…) facente capo ad un sovrano eletto e non regnante per discendenza diretta. Questa cultura delle autonomie, curiosamente, necessaria in una nazione così multiculturale come la Germania, non contaminò mai gli Stati che le erano limitrofi.
Francia, Olanda, Danimarca, Russia, Impero d’Austria e Italia non ebbero un carattere autonomistico pari a quello di un colosso statale che, da Carlo Magno in poi, progressivamente si trasformò sempre più da Stato a moltitudine di Stati: il vecchio Regno dei Franchi rimarrà un progenitore alla fine molto differente dal figlio che avrà generato. La complessità della strutturazione istituzionale dell’Impero farà il paio con una dinamica dialettica tra centro e territori che permetterà a questo titano dai piedi di argilla di arrivare alle soglie dell’epoca moderna e contemporanea. Intrinseca alla sua grande Storia, sta quella dei nuovi Stati di lunga durata e tutt’oggi esistenti: la Svizzera e i Paesi Bassi.
Ma anche sull’Italia il Sacro Romano Impero ha avuto un ruolo egemone, soprattutto nel centro-nord e, in particolare, nelle relazioni proprio cittadine, comunali con i due poteri che, allora, lo compenetravano: quello proprio dell’imperatore stesso e quello del papa. La storia della Chiesa, infatti, è inseparabile da quella di questo erede della romanità che le ha affiancato la germanicità che era riuscita, ai tempi di Arminio, a rimanere estranea al dominio romano ma non completamente impermeabile alla sua grande epopea culturale, sociale, economica, politica e militare.
Tra i pregi del lungo e piacevole libro di Wilson vi è certamente quello di raccontare una storia estremamente fitta di avvenimenti, fatti tra i più disparati, con una cadenza comprensibile anche al lettore o alla lettrice meno addentro alle vicende tanto dell’alto quanto del basso Medioevo. Comprenderle vuol dire prima di tutto affacciarsi sul proemio dell’epoca moderna con una possibilità in più di scoprire i motivi per cui si sono create le circostanze che hanno dato seguito alle difficili pagine novecentesche del nostro essere al contempo nazionalisti ed europei comunitari.
IL SACRO ROMANO IMPERO
PETER H. WILSON
IL SAGGIATORE
€ 34,00
MARCO SFERINI
6 novembre 2024
foto: particolare della copertina del libro
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