La legge Rosato interrompe la serie delle leggi a impianto proporzionale con forti correttivi maggioritari dichiarate parzialmente incostituzionali dalla Consulta (l’Italicum, mai utilizzato, e il Porcellum, con il quale si è votato nel 2006, nel 2008 e nel 2013).
Si torna a un sistema misto, come quello della prima riforma elettorale della Repubblica, la legge Mattarella del 1993 (con la quale si è votato l’anno successivo e poi ancora nel 1996 e 2001). Ma adesso la proporzione tra i seggi assegnati con l’uninominale maggioritario e i seggi assegnati con il sistema proporzionale è quasi rovesciata.
Nella riforma del 1993 i seggi uninominali erano il 75% e quelli del proporzionale il 25%. Con il «Rosatellum» i seggi assegnati con l’uninominale sono poco meno del 37%, proporzionali tutti gli altri. Nel dettaglio, alla camera si assegnano 232 seggi con l’uninominale – chi prende anche un solo voto in più conquista il seggio – al senato 116.
Il resto dei seggi sono assegnati con il sistema proporzionale, 398 alla camera (di cui 12 all’estero) e 199 al senato (di cui 6 all’estero).
A differenza del vecchio Mattarellum e degli altri sistemi misti utilizzati nel mondo, la nuova legge elettorale italiana non prevede la possibilità di voto disgiunto. Si può esprimere un solo voto, che dalla lista proporzionale si estende automaticamente al candidato nel collegio uninominale, o che si estende – vedremo successivamente secondo quale complicato calcolo – dal candidato nel collegio a una delle liste che lo sostengono.
L’elettore può esprimere due voti, ma solo se sceglie una lista collegata al candidato dell’uninominale; se il secondo segno è tracciato al di fuori dello stesso rettangolo la scheda viene invalidata.
Non era così con il Mattarellum, che prevedeva due schede per l’elezione dei deputati, una per scegliere il candidato nel collegio e un’altra per votare una qualsiasi delle liste in gara nella parte proporzionale.
Non è così nel sistema tedesco che prevede due voti sulla stessa scheda; il secondo voto, per la parte proporzionale, decide il numero di seggi che vanno a ciascuna lista ed è libero: l’elettore può scegliere anche un partito che non sostiene il candidato prescelto nell’uninominale.
La nuova legge prevede le coalizioni, i candidati nel collegio uninominale possono essere sostenuti da un solo partito o da un insieme di liste. In questo secondo caso hanno naturalmente più possibilità di arrivare primi e conquistare il seggio.
Le coalizioni però devono essere identiche su tutto il territorio nazionale (con il Mattarellum non era così, infatti Berlusconi nel 1994 si presentò in alleanza con la Lega al nord e con gli ex missini di Fini al sud).
Le coalizioni non devono presentare un simbolo comune per accompagnare i candidati nei collegi (come fu ad esempio l’Ulivo), né un programma comune.
È rimasto solo l’obbligo per le singole liste di presentare un programma e indicare il capo della forza politica.
Si tratta in tutta evidenza di coalizioni destinate a durare solo il tempo delle elezioni. È vero che essendo i parlamentari liberi di votare o meno la fiducia a un governo (divieto di mandato imperativo) la rottura non si può escludere neanche con leggi più vincolanti – e infatti la coalizione Italia bene comune tra Pd e Sel si è rotta pochi mesi dopo le ultime elezioni. Ma adesso la coalizione non deve presentare neanche un programma comune; in teoria i programmi delle liste che sostengono lo stesso candidato nel collegio potrebbe essere persino opposti (ad esempio: Lega per uscire dall’euro, Forza Italia per restarci).
È rimasta però l’indicazione del capo del partito, da una parte una previsione extra costituzionale (nel nostro sistema parlamentare è il presidente della Repubblica che sceglie a chi dare l’incarico per formare il governo), dall’altra un’indicazione inutile, visto che con questa legge e questo quadro politico le alleanze per il governo si faranno in parlamento. Rompendo le coalizioni.
Sono tre le soglie previste da questa legge, due sono soglie di sbarramento al di sotto delle quali non si ha diritto all’assegnazione di seggi: il 3% per le liste singole e il 10% per le coalizioni.
Le soglie sono calcolate a livello nazionale, anche (ed è la prima volta nella storia elettorale italiana) per il senato.
Alle coalizioni che raggiungono il 10% e hanno al loro interno almeno una lista che supera il 3% vengono riconosciuti anche i voti di quelle liste che non hanno superato lo sbarramento ma hanno raggiunto almeno (è la terza soglia) l’1% dei voti validi.
Il sistema incoraggia la presentazione di micro liste che non possono aspirare al 3% ma possono arrivare all’1%. (esempio: Mastella rimette in piedi l’Udeur). La loro funzione è quella di regalare i voti al resto della coalizione, in particolare ai partiti maggiori.
Queste micro liste non avranno loro eletti, ma è prevedibile che vengano altrimenti ricompensate dagli alleati maggiori.
La soglia di sbarramento nazionale per il senato è in apparente contraddizione con l’articolo 57 della Costituzione secondo il quale «il senato della Repubblica è eletto a base regionale».
Il caso dei voti delle micro liste trasferiti agli alleati maggiori non è l’unico in cui la legge Rosato prevede una sorta di interpretazione della volontà dell’elettore. Accade anche per le schede in cui l’elettore traccia un segno solo sul candidato di una coalizione all’uninominale.
In assenza di indicazione della lista, quel voto per la parte proporzionale viene diviso tra tutte le liste della coalizione in proporzione alla quantità di voti diretti che quelle liste hanno raccolto.
Oltre a introdurre il voto decimale e a rendere complicato lo spoglio delle schede, questo sistema forza la volontà dell’elettore (che, ricordiamolo, senza voto disgiunto non è libero di scegliere una lista fuori dalla coalizione) e regala un consenso superiore a quello reale ai partiti maggiori. Lo stesso accade con i voti delle micro liste.
Questo non è senza conseguenze, perché può accadere che in un collegio proporzionale un partito risulti troppo votato.
I seggi nella parte proporzionale si assegnano sulla base di liste bloccate di quattro candidati. Dopo la sentenza della Corte costituzionale contro il Porcellum, si è diffusa la convinzione che le liste bloccate non sono incostituzionali purché siano corte e i candidati riconoscibili dall’elettore. Quattro nomi si prestano sicuramente a essere riconosciuti anche perché possono essere (e lo saranno) stampati sulla scheda.
È però previsto – è stato aggiunto al testo base in commissione alla camera – che i candidati nel collegio uninominale possano essere candidati anche altre cinque volte nei collegi plurinominali. Sono i «pluricandidati».
Proprio questa ultima previsione, di garanzia per i candidati «blindati», contribuirà al fenomeno delle liste «incapienti». I listini, cioè, che sono rimasti corti anche se in ogni collegio plurinominale si assegneranno fino al doppio dei seggi (otto rispetto a quattro candidati per partito), potrebbero non bastare in caso di candidati eletti anche in altri collegi e in caso di liste gonfiate dai voti regalati dai micro partiti.
E se il listino non basta, è previsto un complicato meccanismo di recupero del seggio che passa dal salvataggio del candidato sconfitto nell’uninominale (alla faccia del principio maggioritario) alla promozione dei primi esclusi in altri collegi della stessa circoscrizione o di un’altra circoscrizione, fino addirittura allo spostamento dei voti su altre liste alleate.
E così i listini corti finiscono per ottenere l’effetto opposto alla riconoscibilità degli eletti, nascondendo all’elettore i reali destinatari del loro voto.
Non solo è esclusa la possibilità di votare in maniera disgiunta, ma non è previsto nemmeno lo scorporo dei voti che c’era invece nel Mattarellum per il senato.
Lo scorporo è quel sistema che, sottraendo dal totale dei voti della lista i voti del candidato collegato vincitore nel collegio, impedisce al voto di chi ha scelto il candidato vincente nel collegio di pesare due volte, anche cioè per la quota proporzionale.
Nel caso in cui l’elettore tracci il segno solo sul candidato all’uninominale di una coalizione, il voto proporzionale si distribuisce a pioggia su tutte le liste che lo sostengono sulla base di un meccanismo simile all’8 per mille nella dichiarazione dei redditi. Il voto cioè viene diviso in parti decimali e assegnato alle liste proporzionalmente ai consensi diretti che queste hanno ricevuto.
Forza Italia e Pd, che immaginano di concentrare la campagna elettorale sui candidati nei collegi, non hanno voluto lo scorporo per danneggiare le liste che hanno candidati con meno chance di vincere nelle sfide maggioritarie.
Tutta la legge è impostata perché possa funzionare la campagna per il voto utile. Utile cioè a vincere anche con uno scarto minimo nel collegio. Questi voti «carpiti» dal candidato si trasferiscono poi o direttamente (con un secondo segno) o indirettamente (con il meccanismo «8 per mille») sulle liste.
Mentre non è chiaro se potrà essere considerata valida la scheda in cui risulti tracciato un solo segno grande, a comprendere tutto il rettangolo della coalizione: candidato nel collegio e tutte le liste.
Saranno molti i casi di schede contestate e sarà complicato e lento il conteggio.
Ma soprattutto non è detto che i piani di chi punta sul voto utile vadano a segno. Perché nella scheda facsimile si può vedere come il nome del candidato nel collegio risulti assai piccolo – non è previsto per lui un simbolo di coalizione.
Dunque i simboli delle liste saranno visivamente prevalenti, soprattutto nel caso delle liste che correranno da sole, fuori dalle coalizioni e senza alleati. Come il Movimento 5 Stelle.
ANDREA FABOZZI
foto tratta da Pixabay