Il presidente Mattarella dovrebbe essere ascoltato quando dice che Salvini parla a vanvera e dovrebbe darsi una regolata. «Gli sbarchi sono diminuiti, non bisogna cedere all’emotività», queste le parole del capo dello stato, seguite anche da una circostanziata e puntuale serie di numeri e percentuali. Il presidente Mattarella, in viaggio nei paesi baltici, afferma quello che tutte le opposizioni di sinistra, tutte le associazioni che lavorano sul campo ripetono praticamente ogni giorno da quando è iniziata l’era nefasta del governo pentaleghista: sbarchi diminuiti dell’85%.
La prima considerazione che l’intervento di Mattarella suggerisce è molto semplice: un ministro dell’interno, di destra o di sinistra, deve stare ai fatti, se non lo fa allora è un ministro della propaganda, con annessi tutti i brutti ricordi della storia. Ma Salvini sposta anche il tiro chiedendo un incontro al presidente per lamentarsi dell’indagine che inchioda il suo partito a restituire 50 milioni di euro. Per lui è un attacco alla democrazia: è evidente che la Lega ladrona non gli va giù.
L’allarme del capo dello stato sulla politica governativa messa in campo rispetto a immigrazione e Schengen è più che giustificato considerando la pericolosità di questo ritorno del gioco del Risiko (con il confine austroungarico molto sulla scena). Se chi lo alimenta gioca sporco, come nel caso del leader di Pontida, allora il mittente delle preoccupazioni del Quirinale dovrebbe come minimo sentirsi fischiare le orecchie. Il condizionale è pleonastico perché niente e nessuno sembra in grado di fermare Salvini, come dimostra l’attacco, proprio sull’immigrazione, al presidente dell’Inps Boeri. Minacciato di licenziamento in tronco dallo Zelig di un governo che, su questo terreno, viaggia all’unisono.
I 5Stelle sono soddisfatti, gli sbarchi sono diminuiti e le Ong sono state messe al bando. Questa bella battaglia se la sarebbero potuta risparmiare. Oltretutto non sembra che i sondaggi li confortino.
Il presidente della camera Fico ha svolto il suo ruolo critico sulle politiche dell’immigrazione, in autonomia da palazzo Chigi, ricevendone in cambio l’immediato declassamento al rango di cittadino che parla a titolo personale.
Ma se contro l’anello debole della catena, gli immigrati, è più semplice fare la voce grossa e mostrare compattezza, non sarà così sulla questione dell’economia e del lavoro, dove il risiko sociale tra Lega e 5Stelle sta già dando qualche filo da torcere, anticipando il clima autunnale. Dopo l’avvio del decreto che retoricamente si richiama alla dignità dei lavoratori, siamo tornati alla battaglia dei voucher richiesti a gran voce dalla Lega. E al momento della legge di Bilancio vedremo quale sarà il vero volto del governo. A giudicare dal grido di dolore arrivato dalla Confindustria e dai leghisti, si intravede un autunno burrascoso.
Le aperture giunte dalla sinistra, sindacale e politica, sui temi sociali dell’agenda pentastellata sono di attenzione e sostegno critico. Certo non depone a favore il fatto che gli economisti presentati nel governo a 5Stelle, una volta presi i voti il 4 marzo, non siano diventati ministri e abbiamo anzi messo una certa distanza dall’abbraccio con Salvini. Si abbracciano forte, invece, Pd e Confindustria, e c’è da restare di stucco di fronte all’alzata di scudi di imprese e politici del Pd. Mentre si parla di fattorini in bicicletta, simbolica figura della precarietà, il partito democratico non si pente del jobs act, ma rivendica, con una coerenza degna di miglior causa.
Questa alleanza di governo rischia di fare molto male al paese, e nel gioco politico dei prossimi mesi, sia la battaglia parlamentare, sia quella sociale e sindacale dovrebbero provare a mettere in campo una piattaforma alternativa. Le occasioni certo non mancano. Manca tutto il resto, la capacità di un’iniziativa unitaria e soprattutto lucida sull’elemento di fondo della travolgente sostituzione della rappresentanza sociale che ha cambiato la faccia politica del paese.
NORMA RANGERI
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