Il referendum in Grecia e Salamina

Proviamo a mettere assieme i dati volutamente taciuti e tiriamone fuori l’insegnamento. Facciamolo ora, subito dopo l’esito di un referendum vittorioso che, al di là dell’esito, avrebbe segnato comunque...

Proviamo a mettere assieme i dati volutamente taciuti e tiriamone fuori l’insegnamento. Facciamolo ora, subito dopo l’esito di un referendum vittorioso che, al di là dell’esito, avrebbe segnato comunque una vittoria dei popoli sull’Unione Bancaria Europea, sulle spinte autoritarie e gli egoismi nazionali.

Che la tragedia greca non sia un banale fallimento economico, ma una battaglia di democrazia, condotta contro organismi economici che recitano ruoli politici impropri, diventa chiaro il 4 febbraio scorso, quando Draghi esclude i bond greci dai titoli utilizzabili dalle banche come “collaterale”. Il governo Tspiras è in carica solo da nove giorni e senza un motivo “tecnico” che giustifichi l’intervento Draghi lo costringe a dipendere totalmente dalla liquidità di emergenza fornita dal contagocce della BCE.

In gergo mafioso si dice “incaprettare”.

Com’è facile prevedere, la decisione è un colpo di pistola da starter che fa partire la fuga di capitali. Non contento, per stringere meglio il cappio, Draghi fissa un tetto per le banche greche in tema di acquisto di titoli di Stato. E’ trascorso così poco tempo dal passaggio di consegne destra-sinistra, la situazione è così uguale a se stessa, che lo strangolamento progressivo ha una sola possibile spiegazione: la BCE intende mandare a gambe all’aria il governo di sinistra, che rivendica il diritto di governare la crisi e oppone le sue proposte all’ukase dell’Europa. Un contegno che riduce l’Europa a una dittatura economica di organismi mai eletti, decisi a ridurre la Grecia al rango di colonia e ad impedire al governo Tsipras di prendere misure economiche a tutela degli strati più deboli e provati del Paese. Si è andati avanti così fino alla fine della trattativa e non aveva torto Grifone, quando sostenne che il regime politico del capitale finanziario è l’autoritarismo di stampo fascista.

Per quanto il circo mediatico abbia provato a fare da cassa di risonanza delle menzogne padronali, dal 4 febbraio la questione è diventata apertamente politica e ormai non c’è dubbio: la lotta per la sopravvivenza dei greci è anzitutto scontro per la democrazia in Europa. La scelta di Draghi è gravissima e si configura come il deliberato tentativo di un organismo di natura economica di alterare a fini politici la situazione finanziaria di un Paese sovrano. Fatte le debite proporzioni, si prepara così un golpe di tipo cileno, che non ha bisogno, però, di metter mano alle armi. Bastano i bancomat. Per vie traverse e meno scopertamente, si vuole fare a Tsipras e ai greci ciò che fu fatto a Salvador Allende e ai cileni.

Con questa pesantissima ipoteca si sono aperte e sono andate avanti le trattative tra l’Unione delle Banche Europee e la Grecia di Tsipras, che ha posto subito e invano un problema: la presenza al tavolo del Fondo Monetario Internazionale, che ha fatto la sua apparizione al livello politico solo da qualche anno – fu imposta dalla Germania nel 2010 – è una contraddizione in termini. Il FMI, infatti, non ha nulla da spartire con l’Europa, è una “banca” mondiale, non ha né la dignità, né la legittimazione democratica per sedere a un tavolo politico e, particolare non del tutto marginale, è creditore di 32 miliardi contro i 300 degli Stati dell’Unione, ma risulta spesso decisivo.

Invano Tsipras ha portato con sé un documento del 2012, in cui i creditori si impegnavano a ristrutturare il debito in cambio del conseguimento di un obiettivo che la Grecia ha centrato: 1.300 milioni di avanzo primario nel 2013. Per i creditori, l’accordo firmato è solo carta straccia. Invano si sono opposte proposte concrete ad articoli di fede ferocemente ultimativi. Il 12% sui redditi superiori al milione di euro, un consistente aumento di tasse per le imprese, una forte sforbiciata alle spese militari, insomma otto miliardi di tagli in due anni – il 4,4 % del Pil – aggiunti a un rialzo dell’Iva, non sono bastati. La signora Lagarde è stata irremovibile. Passata per la corte di Sarkozy e giunta alla testa del Fondo Monetario Internazionale dopo il misterioso siluramento di Strauss-Kahn, che, si disse, allungava le zampe sulle cameriere d’albergo, è un disco incantato: tagli delle pensioni e tagli degli stipendi. Tagli, per un Paese in cui il 60 % della popolazione supera o si accinge a superare la soglia di povertà e la mortalità infantile è salita a percentuali da Medio Evo.

Nessun creditore si è azzardato a negarlo: nel 2010 gli “scienziati” delle banche sostenevano che il Pil greco si sarebbe contratto del 5% in conseguenza del salasso imposto alla culla della civiltà europea. Dopo cinque anni, siamo a una contrazione del 25%; la medicina sta uccidendo il malato, ma il medico è lì e pretende di imporre ancora la sua perniciosa ricetta: tagli di salario, pensioni ridotte all’elemosina, privatizzazioni selvagge, aumenti  indiscriminati di tasse e cancellazione di ciò che resta del welfare.

Se chiedete a Renzi cosa sia andato ad approvare a Bruxelles, non lo sa. I negoziati sono sempre stati in mano a tecnici non eletti e i ministri hanno firmato documenti di cui ignorano i particolari. Renzi, d’altra parte, nessuno l’ha eletto. Si è giunti al punto che il ministro d’Irlanda ha denunciato scandalizzato di non aver nemmeno potuto leggere la proposta presentata alla Grecia. L’avesse fatto, vi avrebbe trovato solo un ennesimo, istruttivo esempio di neonazismo economico: la paranoia di Schauble sulla sostenibilità del debito.

Per mesi le banche hanno creduto ottusamente nel loro potere d’intimidazione, ma gli è andata male. La forza superiore non spegne il conflitto, questa non è la fine della storia e il greco Eraclito ce l’ha insegnato: “avvengono le cose secondo contesa […]. Per l’anima morte è divenire acqua, per l’acqua morte il divenire terra, ma dalla terra vien l’acqua, dell’acqua l’anima”. Schauble non poteva capirlo e la parola è passata al popolo, che si è pronunciato. Non è retorica. E’ una stupenda pagina di storia e ancora una volta la potentissima flotta imperiale, che sognava il trionfo sulla piccola Atene, è intrappolata a Salamina. Uno a uno i grandi e impotenti vascelli colano a picco sotto l’urto delle agili imbarcazioni della democrazia. E’ una costante della storia: la forza delle ragioni sconfigge le ragioni della forza.

GIUSEPPE ARAGNO

redazionale

foto tratta da Pixabay

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