Il problema è l’arma, la bomba, il kalashnikov. Il problema è la guerra. Il problema è ancora questo: l’Italia torna in guerra direttamente o indirettamente. E lo fa distribuendo armi ai curdi del Kurdistan iracheno. Armi simili a quei fucili che Cavour permetteva venissero dati ai garibaldini che scalpitavano per andare in Sicilia. Fucili da tiro a segno allora, vecchi fucili sequestrati oggi. I garibaldini rifiutarono quelle armi che erano un’offesa al prestigio di chi, volontario, andava per una impresa non certo facile. Ma i governi, si sa, se non possono impegnarsi direttamente, lo fanno con dei prestanome, lo fanno con scappatoie legali che scavalcano anche le costituzioni che parlano di risoluzione pacifica delle controversie internazionali.
Per questo l’esecutivo guidato da Renzi è già pronto a sostenere l’azione delle truppe peshmerga e curde nella zona controllata dall’esercito dell’Isis, quello che vuole istituire un nuovo califfato di Baghdad nella regione al confine tra il vecchio Iraq e la turbolentissima Siria.
Non c’è pace nella regione di Ninive, nella terra dei due fiumi e le potenze nuovamente rialleate, dopo la meravigliosa esportazione della democrazia con la seconda Guerra del Golfo, si preparano a contenere l’avanzata dell’Isis, di questo purtroppo forte esercito fatto di giovanissimi che hanno non la follia nel cervello ma la precisa e pericolosa volontà di delaicizzare ogni territorio che conquistano instaurandovi la peggiore delle leggi teocratiche, sottomettendo a questa tutto e tutti.
La vicenda dei cristiani in fuga, la tragedia delle tribù che sono state massacrate in Siria e anche in Iraq sono state la goccia ch non ha fatto traboccare il vaso nel senso classico del termine, ma semmai l’alibi per ridisegnare ancora una volta la situazione geopolitica della regione mediorientale.
E il governo italiano invece di promuovere azioni di pace e di dialogo, pensa ad unirsi ai mercanti di armi. Straordinarie politiche democratiche di Renzi e Mogherini. Del resto è questa la prima occasione per l’ex sindaco di Firenze di mostrarsi un fedele alleato della grande Repubblica stellata.
Il ruolo dell’Europa politica in questo – come in molti altri frangenti – è praticamente tutto volto a sostenere l’iniziativa americana e a sostenere quindi i combattenti che oggi sono al fianco dei marines.
Perché basterebbe ricordarsi che i curdi al di là del confine turco sono nostri nemici, ma per una strana magia al di qua del confine iracheno diventano nostri amici.
Il problema dell’indipendenza del Kurdistan è a geometria variabile non solo per quanto riguarda un futuro tracciato delle linee di contenimento del possibile (molto improbabile ancora) stato curdo. Il problema dell’indipendenza del Kurdistan è sfortunatamente di più legato al sostegno all’attuale nuovo governo imposto da Washington in Iraq (con un premier che, a differenza di Al Maliki, ha il sostegno tribale molto largo sia nella capitale che nel resto del paese) che non alla lotta stessa per una causa che contro Turchia, Siria e Iraq aveva una dignità e che oggi rischia di essere una appendice al disegno complessivo che gli Usa stanno ricostruendo per la regione mesopotamica.
Il problema, invece, per noi è la bomba, l’arma, il kalashnikov di seconda mano che rivendiamo ai curdi.
Il problema non è il prezzo del fucile. Il problema è il prezzo della pace perduta, della Costituzione nuovamente stracciata.
MARCO SFERINI
redazionale