Prima, durante e dopo. Passato prossimo, presente e futuro. Si perde nella notte dei tempi moderni, quella che in Italia è iniziata con la “Milano da bere“, la vorticosa trottola di un susseguirsi di dichiarazioni, opinioni televisive, editoriali giornalistici e oggi pure post su qualunque rete sociale internettiana che pensano di poter stabilire i tempi di un determinato evento di portata – si può ben dirlo – storica.
Scorrendo le pagine dei giornali cartacei e delle loro edizioni online, purtroppo si inciampa spesso in frasi del tipo: “Dopo il coronavirus….“, “Ormai alle spalle la fase acuta della pandemia…“, “Nel post-Covid19…“. Una dettatura dei tempi che è, naturalmente, una mera interpretazione dell’evolversi dell’emergenza sanitaria e che, però, al contempo cerca di imporsi nel comune sentire dell’opinione pubblica, dando vita a meccanismi di separazione del tempo che invece è e rimane un fluido proseguire ininterrotto di fatti e situazioni non scindibili fra loro e nemmeno compartimentabili in camere stagne fra loro incomunicabili.
E’ una influenza pericolosa, seppure provenga dal sano, democratico principio della libera circolazione delle idee e dell’espressione delle medesime altrettanto priva di restrizioni moralistiche, politiche o di altro genere. Ogni volta che si valutano i tempi di un evento e si inseriscono quelle valutazioni in articoli di cronaca con avverbi che descrivono un determinato contesto, si crea anzitutto nel cittadino la sensazione di essere più o meno presente al fatto stesso.
Se si scrive “Dopo la prima fase del Covid-19“, si mette già in assoluta evidenza la distinzione tra l’oggi in cui ci troviamo e l’ieri. Nel presente se ne ricava la certezza che siamo fuori dalla “prima fase“, che appartiene al passato, anche se si tratta comunque di un passato ben prossimo, anzi prossimissimo. Ne consegue che siamo al sicuro dal contagio? Cerco che no. Chi non si lascia sedurre dalle precipitazioni interpretative della stampa e del mondo del web, lo sa bene.
Eppure anche in questa maniera si solleticano le corde malevole di chi, già per sua convinzione, preferisce minimizzare e poter suffragare tesi di impotenza del virus, di cariche virologiche quasi azzerate, di intervento del clima estivo nel ridimensionamento degli effetti letali del coronavirus.
Il modo in cui ci esprimiamo tanto oralmente quanto per iscritto è dirimente nella costruzione di una sorta di comportamento generalizzato che viene ispirato dai grandi mezzi di comunicazione di massa. Per questo l’uso dei tempi verbali e la costruzione stessa delle frasi con cui si descrivono eventi come quello in cui ancora oggi ci troviamo, è una responsabilità civile nei confronti di chiunque acceda ad una informazione scientifica mediata dal giornalismo professionista o dal semplice commento che ognuno di noi può mettere in rete.
Differenti sono i contesti e i fatti, ma tutto questo si è già verificato tante e tante volte nel corso della storia italiana degli ultimi trenta, quaranta anni: basti pensare al ventennio berlusconiano che è stato dato per superato molte volte e che invece era ancora in piena rivoluzione di sé stesso, capace di adattarsi ai mutamenti repentini di passaggi politici che vedevano alternarsi governi di centrodestra con altri di centrosinistra, mentre rimaneva più o meno stabile l’esercizio abile di tutela delle politiche liberiste che sarebbero divenute la costante di qualunque governo dopo la fine del pentapartito e la fine della rappresentanza proporzionale del corpo elettorale.
Il “prima, durante e dopo” del berlusconismo si è definitivamente cristallizzato con il macilento protagonismo mediatico dell’ormai vecchio leader di Forza Italia, scalzato da altri emergenti capipopolo. L’ultimo arrivato sostituisce il precendente originale risorgimento della destra nel Paese: il “post-berlusconismo” è dichiarabile in quanto tale, in quanto linea di demarcazione tra un tempo ed un altro soltato con l’emergere da un lato del movimento grillino e dall’altro del sopraggiungere del renzismo.
Senza fare mille esempi tradotti nello specifico della politica interpartitica, la presunzione di dichiarare l’anacronismo investe soprattutto le norme, le leggi ordinarie quanto i dettami costituzionali. Non esiste testo su cui si sia accaniti nei decenni passati con tanta veemento come la Costituzione della Repubblica: i tentativi di controriformarla, di renderla l’esatto opposto di quanto tutt’ora è (e si spera rimanga anche dopo il referendum del 20 e 21 settembre), sono ascrivibili in questo caso non tanto ad una mera espressione giornalistica o al comune parlare, alla dialettica anche televisiva.
Se ci si riferisce alla Costituzione, dichiararne la vetustità in questo o quell’articolo o in intere sezioni, se non pure in intere parti, è stato soltanto il primo marcato passo, che ogni volta si è tentato, per poter sostenere che qualunque cambiamento intervenisse sarebbe stato certamente meglio dell’esistente: una sorta di attacco psuedo-modernista ad un altrettanto pseudo-conservatorismo che, alla prova dei fatti, dalla Bicamerale di D’Alema fino al referendum voluto da Renzi e Boschi si è arenato nelle tante contraddizioni opportunistiche delle singole forze politiche o è stato invece sconfitto dai cittadini.
La scansione del sussegursi di molti piccoli eventi finisce per diventare sempre la formazione di grandi passaggi storici. Così, avremmo dovuto imparare, seppur da pessimi scolari, che Mamma Storia ci indica come molto più lunghi i collegamenti tra i vari passaggi e la loro unità nella costruzione del puzzle che raffiguri compiutamente tutti i contorni precisi e nitidi di una fase che si conclude e di un’altra che si apre. Come se fossimo davanti ad un dipinto diviso a metà da una linea impossibile nel suo preciso tratteggio verticale. Ma nemmeno incerta nella sua discesa dall’alto verso il basso, nel separare i due momenti: solo sfumata, molto sfumata.
Così da rendere praticamente impossibile determinare con assoluta certezza, con metodo storico o attualistico che sia, quale divenga la data esatta della fine di un fatto e quella altrettanto certa del principio di un altro.
Tuttavia, le sfumature dei tempi meritano considerazione, per comprenderne tutti i colori cangianti, per comprendere il susseguirsi degli eventi fuori da dogmatismi e da prese di posizione nette ed intransigenti.
MARCO SFERINI
25 agosto 2020
Foto di Free-Photos da Pixabay