Sballottati da un continente all’altro in mezzo alle notizie sulla diffusione della pandemia, lo sguardo sulla politica italiana si allenta un poco, colpevole anche il silenzio di queste settimane da parte di un Presidente del Consiglio che solo in queste ore ha parlato a tutto spiano sui temi che interessano veramente da vicino un po’ tutte e tutti. Il piglio decisionista di Draghi si esprime in una ostentazione di pragmatismo fatta di frasi che non debordano in eclatanti dichiarazioni, in promesse esorbitanti o in facili ottimismi.
Un banchiere sa bene fin dove può spingersi, quali sono i suoi margini di errore e, se riveste ancor di più un ruolo politico di primissimo piano, sta attentissimo a non superarli, conscio dell’eterogeneità di una maggioranza di governo che non lo tira proprio per la giacca, ma che comunque ammicca e che agisce sul piano di una concorrenziale ricerca del consenso, ovviamente a scapito dell’imperturbabile disposizione di Palazzo Chigi a seguitare senza farsi fagocitare dalle polemiche parlamentari.
Draghi fa il diplomatico della politica italiana, il banchiere dell’economia del Bel Paese e l’ambasciatore della finanza nel mondo. Assume su di sé più di un ruolo e lo fa avendo come bussola programmatica la stabilità degli interessi imprenditoriali: proprio a questi si rivolge quando assicura nuove tutele economiche, mentre cresce un disagio sociale che non viene arginato con politiche sociali, di equa ripartizione del rischio, di contenimento della perdita del valore di acquisto dei salari, di un investimento maggiore da parte dello Stato in tutta una serie di settori dello stato-sociale che andrebbe previsto.
Primo fra tutti il mondo della scuola che, è una consapevolezza comune, ha bisogno di riprendere quanto prima in presenza per il maggior numero possibile di studenti, ma il cui destino è legato alla capacità da parte dello Stato e delle Regioni di garantire tutta una filiera di protezione e di sicurezze sanitarie che, ad oggi, pare non esservi. Occorrono maggiori risorse proprio per proteggere tanto le ragazze i ragazzi dal contagio rapido nei rapporti interpersonali, quanto docenti e personale addetto ai singoli istituti.
Queste risorse, al momento, mancano e quindi riesce davvero difficile capire come si possa aprire, anche nelle zone rosse (cioè in mezza Italia), la scuola e non essere in grado di tracciare gli eventuali positivi al Covid-19, per isolarli e impedire l’inevitabile: la chiusura prima di tante classi e poi di interi plessi già a poche ore dalla riapertura post-pasquale.
Ma Draghi, che pure è trino e uno, Presidente del Consiglio politico, economico e finanziario dell’Italia dalla maggioranza di unità nazionale, sa molto bene che la coperta non è così larga da poter soddisfare bisogni sociali e privilegi (e bisogni anche, sì… in parte) degli imprenditori. Il sostegno di Stato non può, per esempio, arrivare laddove la crisi economica si fa sentire su scala extra-nazionale e si riverbera pesantemente sul mondo produttivo italiano (e sul mondo del lavoro, di conseguenza). La pandemia ha causato un rincaro di tutta una serie di materie prime che nutrono comparti importantissimi dell’impresa: ad iniziare dal settore siderurgico.
Alluminio, acciaio, persino la plastica hanno visto lievitare i costi di vendita così tanto da cambiare composizione chimica e apparire quasi come oro e diamanti. L’allarme non è solo da parte confindustriale (Federmeccanica), ma anche da parte sindacale, dove si intravede un pericolo di chiusura di molte aziende costrette a disdire ordini, a fermarne altri, a rallentare la produzione oggi col rischio di doverla del tutto bloccare domani per la differenza abissale tra costi di acquisto delle materie prime, lavorazione e trasformazione per l’immissione su un mercato che – oltre tutto – è in preda alla stagnazione per una contrazione globale della domanda.
L’intervento del governo in merito dovrebbe riguardare prima di tutto il mondo del lavoro, mettendo in sicurezza i salari che costituiscono una delle basi fondamentali della domanda che fa girare la complessa ruota dell’economia nazionale: l’impoverimento progressivo della gran parte della popolazione, del mondo del lavoro propriamente detto e inteso, non può che danneggiare il resto del ciclo di produzione della ricchezza del e nel Paese.
Per fare ciò, la coperta va tirata da una parte ben precisa, proteggendo i settori più a rischio di strutturalizzazione della povertà, di endemicità di una conversione negativa dell’economia in larghi strati della popolazione: ad iniziare da quelli già particolarmente fragili, privi di tutele elementari e di diritti sociali costituzionalmente garantiti.
Nel parlare di economia delle materie prime, c’è ne è una che riguarda un po’ tutti, perché fa parte del nostro quotidiano: scuole, uffici, amministrazioni pubbliche e private, ospedali, le stesse aziende, il piccolo e grande commercio, le biblioteche… E’ la carta. Anche qui i rincari sono enormi, scarseggiano i materiali e i ritardi nella logistica iniziano a ripercuotersi nella distribuzione di quel poco che risulta sufficiente per tirare avanti con una produzione in grande affanno. Potrebbe apparire come crisi simile o uguale a quella di altri comparti produttivi, ed invece si porta appresso un disvalore aggiunto, perché senza carta vengono meno imballaggi di ogni tipo, anche quelli che permettono il trasporto dei vaccini e di qualunque altro tipo di medicinale.
Senza carta, cartone e cartoncini saltano i rifornimenti anche alimentari: tazze e tazzine da caffè, salviette e rotoli utili per asciugarsi le mani dopo i frequenti lavaggi con gel o acqua e sapone. Le ripercussioni sociali diventano così tante da non poter non considerare un intervento da parte dello Stato in merito. Almeno fin dove è possibile evitare la sofferenza maggiore, per le imprese e per i lavoratori che sono consumatori e cittadini e hanno diritto ad essere tutelati in tutte queste forme sociali.
Del resto, non lo si scopre oggi che nel mondo economico tutto si tiene e tutto si compenetra. Se entra in crisi un ambito produttivo, si può stare certi che un effetto a cascata da qualche parte lo si trova e, sovente, rischia di diventare un effetto domino difficile da fermare. La pandemia mette politica ed economia davanti a scelte che vanno fatte di comune accordo, ma avendo come bussola di riferimento l’interesse sociale, altrimenti si rischia di scambiare l’interesse del privato con il bene comune e pubblico, pensando che le sovvenzioni agli imprenditori siano sovvenzioni al mondo del lavoro. Una facile propaganda può essere fatta in tal senso. Draghi saprebbe farla molto bene e già la sta mettendo in pratica, con il suo pragmatismo, con il non mostrare eccessiva fiducia ma nemmeno particolare pessimismo.
Sa che può fare conto al richiamo all’unità nazionale e alla salvezza del Paese da invocare quando vi fosse bisogno del sostegno totale della sua maggioranza e anche di buona parte della cittadinanza. Il patriottismo fa sempre presa come ultima spes, dopo che si sono esauriti tutti i tentativi veramente pratici di rimettere in moto un ingranaggio produttivo in cui il padronato vuole spendere sempre meno e da cui intende trarre sempre maggiori profitti, grazie alla crisi globale e particolare del biennio pandemico.
Lavoratrici e lavoratori non possono essere ricattati, nelle loro rivendicazioni, con il pretesto di evitare scioperi e manifestazioni per il bene comune del Paese, perché questo passa attraverso il miglioramento delle loro condizioni di vita, al di là di ogni pragmatismo di facciata governativa, di ogni esigenza del cosiddetto “libero mercato“. Il governo Draghi mostrerà presto all’Italia del lavoro la sua determinazione: nel proteggere i profitti, nel provare a costringere i salariati ad adeguarsi alle fluttuazioni dell’economia liberista.
Sarà bene prepararsi anche a questa crisi politico-sociale-economica di riflusso rispetto a quella pandemica che non scomparirà a breve.
MARCO SFERINI
27 marzo 2021
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