C’è chi vede nel Parlamento ancora un bivacco di manipoli ma modernamente inteso; chi lo soppesa pelosamente e richiede sforbiciate di seggi – spacciati per “poltrone” – mediante un referendum; c’è chi poi, secondo Costituzione, lo intende come il luogo in cui la Repubblica trova il suo senso di primaria esistenza: lì si dovrebbe esprimere infatti la sovranità popolare per delega elettorale, principio di espressione della rappresentazione sostanziale della democrazia.
Poi c’è chi lo voleva “aprire come una scatoletta di tonno” (con buona pace anche di noi vegetariani) e ha finito per conformarsi ai più democristiani compromessi con il potere e tra i poteri e diventare forza di governo a maggioranza a colore alternato a seconda delle pretese del proprio concubino del momento. Una metamorfosi insita nella natura di un movimento che ha puntato sulla conservazione quando si è trattato di discutere apertamente di rapporti tra le parti sociali, che ha sostenuto convintamente piani antisolidali di politiche di intervento sulle grandi questioni migratorie dei nostri tempi e ha assecondato, senza troppe remore, le pulsioni salviniane.
I famosi decreti sicurezza, xenofobi, razzisti e disumani, nuove e vere proprie leggi razziali del nostro tempo, sono ancora lì, nonostante le promesse post-elettorali di queste ore di abolirli quanto prima.
Dal coinvolgimento di larghe fasce di salariati senza un futuro ben preciso a quello di intere porzioni di popolazione lontana ormai dalla politica di palazzo tanto quanto il palazzo le si era allontanato nel corso degli anni, il Movimento 5 Stelle è divenuto da speranza di una rivoluzione mai veramente proclamata nei propri programmi, mai veramente ricercata nel capovolgere i rapporti sociali ed economici, una delusione per milioni e milioni di suoi elettori che lo hanno abbandonato molto più repentinamente di quanto un tempo si lasciavano i vecchi partiti novecenteschi.
In fondo, allora si trattava non soltanto di smetterla di mettere una croce su un simbolo per preferirne un altro, ma pure di fare i conti con delle idee che si avevano ben precise in testa, con una simbiosi che si era creata nel corso dei decenni tra vita personale e vita collettiva, vita sociale e vita politica, idee e ideologie.
Il Movimento 5 Stelle ha rappresentato l’esatto opposto di una cultura democratica e di una ispirazione ideale sociale che dovrebbe fare da base alla nascita di un partito per opera di cittadini che si uniscono per « …determinare la politica nazionale… » come recita la nostra Costituzione.
A partire dal visionario progetto di Casaleggio sulla progressiva sostituzione della democrazia rappresentativa, degli Stati così come – più o meno – li abbiamo conosciuti sino ad oggi e sul ruolo delle loro rispettive assemblee legislative, passando per i tentativi di fare della piattaforma Rousseau un banco di prova di una digitalizzazione del consenso che, nonostante la novità e i proclami enfatici, non ha mai avuto quel vento largo che spiega le vele e fa viaggiare la nave anche per i più perigliosi flutti marini, si è giunti alle dichiarazioni ultime di Grillo in una conferenza al Parlamento Europeo.
Sostiene l’ex (ma del tutto?) comico: « Quando usiamo un referendum usiamo il massimo della espressione democratica, e per me la domanda andare a votare Sì o No alla riduzione dei parlamentari, per me che non credo più in una forma di rappresentanza parlamentare ma credo nella democrazia diretta fatta dai cittadini attraverso i referendum, è come fare una domanda ad un pacifista di essere a favore o meno della guerra ».
Tutto ciò rappresenta un ulteriore salto di qualità nel tentativo di mostrare vecchie, desuete, anacronistiche le istituzioni repubblicane: il Parlamento altro non sarebbe se non un appesantimento per la democrazia, un retaggio settecentesco che era allora una novità nell’Inghilterra di Cromwell o nella Francia rivoluzionaria con la Convenzione; ma oggi – sostiene Grillo – bisogna passare dalla “democrazia rappresentativa” alla “democrazia diretta“. Fatta a colpi di referendum, senza più dialogo tra le parti politiche espressione della volontà popolare: si sorpassa questo passaggio e si chiede direttamente al popolo.
Ma chi lo fa? Se si pretende si andare oltre la democrazia rappresentativa e i parlamenti assumono sempre più un ruolo marginale e infine irrilevante, saranno allora soltanto i governi a rivolgersi al popolo per farsi dire “sì” o “no” su una determinata questione, decreto, legge, norma che dir si voglia?
Grillo si riferisce essenzialmente alle modalità di espressione della sovranità popolare e trascura, con tutta probabilità scientemente, i soggetti portatori della medesima, criticando senza appello un regime democratico che necessita delle assembloee legislative per potersi dire veramente tale e che sarebbe comunque altro immaginassimo la Repubblica Italiana con il potere esecutivo e quello giudiziario soltanto, senza più il Parlamento a fare da perno delle istituzioni, da tramite tra la volontà degli italiani e la formulazione della medesima in leggi articolate dopo le necessarie discussioni nelle commissioni e nelle Camere.
L’idea poi di « estrarre a sorte i rappresentanti dei cittadini » va bene per un gioco di società fatto tra amici: non è neppure pensabile per una assemblea di un circolo delle bocce o per un condominio. Secondo il comico pentastellato è assurdo andare a votare ogni cinque anni e poi « mettersi l’animo in pace ». A detta sua bisognerebbe votare tutti i giorni, digitalmente, su ogni cosa.
Almeno la frenesia pannelliana in merito al ricorso compulsivo ai referendum era inserita pienamente nel contesto democratico e istituzional-popolare della Repubblica. Il grillismo è una proiezione quasi metafisica dell’espressione democratica del voto: va al di là del tempo stabilito dalle più elementari regole tecnico-politiche, scavalca ogni formalismo e si rivolge in prima istanza al popolo, ogni giorno, senza soluzione di continuità.
E questa sarebbe l’idea di partecipazione diretta di Beppe Grillo e del Movimento 5 Stelle? Premere quotidianamente un pulsante sul telefonino o sul computer e lasciare poi al governo il resto? Somiglia molto ad un plebiscitarismo giornaliero, ad un esaurimento del dialogo, della polemica, dei tempi necessariamente lunghi per la formazione delle leggi che devono contemplare tanto il particolare quanto l’universale e provare ad esprimere al massimo l’interesse generale della popolazione.
Somiglia molto a qualcosa che è completamente estraneo alla democrazia e che, se si guarda al recente passato, ha portato ad esperienze totalitarie dove alla fine si diceva sempre e solo “sì” perché, pur essendo contemplato anche il “no” lo si scriveva molto piccolo nelle schede e se qualcuno era tentato di votarlo, ebbene prima che entrasse nel seggio lo si bastonava a dovere; se si guarda invece al futuro pare un salto nel buio più buio. Nemmeno più una visione, un miraggio, una illusione, ma un delirium tremens del patto plurigenerazionale nato con la Resistenza e che, nel bene e nel male, ci ha permesso di lottare per ampliare i diritti dei più deboli. Almeno fino a qualche decennio fa.
La riproposizione di questi indiretti attacchi al parlamentarismo e alla democrazia, fatti come se fossero lucide intuizioni sulla modernità delle istituzioni del futuro, avrebbe avuto ancora una specie di dignità se il Movimento 5 Stelle avesse oggi la forza che hanno la Lega e Fratelli d’Italia insieme o, almeno, percentuali simili a quelle del PD. Ma dalla condizione disastrosa in cui si trova oggi il progetto grillino, lacerato dal redde rationem interno dopo il voto regionale e molto poco consolato dalla vittoria del “sì” al referendum, si traggono due conclusioni: 1) la gente ha perso quasi completamente fiducia nella “diversità” del M5S rispetto a tutte le altre formazioni politiche, perché non sfugge la tracotante istituzionalizzazione del Movimento neppure ai più sprovveduti elettori; 2) il grillismo non è più un credo laico da spacciare come sovvertimento dell’esistente per la costruzione di una società migliore: i fatti parlano chiaro e ci dicono che l’unico cambiamento realizzato dal M5S è stato un ultimo (forse) colpo di coda non contro la “casta” o i disonesti, ma contro il Parlamento.
Se questa era la missione finale, tutto il resto è stato un grande abbaglio fatto prendere ai cittadini. Niente di più e tanto di meno per quanto riguarda la democrazia costituzionalmente intesa.
MARCO SFERINI
24 settembre 2020
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