Il Piccolo Principe

Nel deserto dell’altro incontriamo a volte anche il nostro deserto. Perché non ci rispecchiamo soltanto quando splende un sole accecante di gioie e di trepidazioni; il riflesso, inteso proprio...

Nel deserto dell’altro incontriamo a volte anche il nostro deserto. Perché non ci rispecchiamo soltanto quando splende un sole accecante di gioie e di trepidazioni; il riflesso, inteso proprio come stimolo imponderabilmente istintivo, affidato alla parte meno conscia di noi, è anzitutto una spinta alla reazione: vedersi, rivedersi, accorgersi e scorgersi. In noi, tra noi e noi davanti ad uno specchio, oppure nella similitudine del differente da noi.

La similitudine, sovente, è apatia, infelice decrescita dell’animo psicosomaticamente declinato nella caducità tanto mentale quanto fisica: lì dove ci si rende conto che il deserto c’è e che lo si deve oltrepassare. Gli adulti ne sanno, ne dovrebbero sapere qualcosa. Chi può dire davvero di aver vissuto sempre passando per lussureggianti vegetazioni, care, dolci, fresche acque e rinfrescanti boschi che riparano dall’oppressione della calura che percuote i cervelli e i crani vuoti?

Il deserto c’è, prima o poi lo incontriamo. Volando al di sopra di tutto e di tutti, quando ci schiantiamo al suolo per il troppo eccedere o, forse, per il poco coraggio di andare al di là delle nuvole. Fatto sta che, se nel deserto ti trovi, l’ultima cosa che puoi pensare di scorgere è un pozzo tipico di un’aia, di una casa colonica, di una fattoria qualsiasi della grande America otto-novecentesca. Eppure quel pozzo c’è.

Con una carrucola che cigola e che è la “voce” del pozzo stesso. Riportata al canto da un bimbo curioso, capitato sulla Terra da un asteroide lontano dove vive, da solo, coltivando la sua rosa spocchiosa e altezzosa: l’unica di tutto l’Universo? Così dice lei, così pretende di presentarsi al suo giovanissimo, biondo, piccolo amico dai tratti regali. Perché i sentimenti sono parte intrinseca dell’esistenza complessa, di quella umanità che si cerca e si ricerca continuamente proprio mentre vive. E non le basta mai l’attimo, così come non le è sufficiente il ricordo del passato o la proiezione nel futuro.

Per essere che cosa? O per essere come? Forse per dare un senso al tutto, visto che dare un senso alla vita sotto l’arco delle stelle è piuttosto semplice e banale: se ci si proietta oltre la volta del visibile. Il Piccolo Principe sa benissimo che «…gli uomini hanno delle stelle che non sono le stesse. Per gli uni, quelli che viaggiano, le stelle sono delle guide. Per altri, non sono che delle piccole luci». Ecco, tutto dipende. Dipende sempre. E dipende dai punti di vista come dalle nostre particolarità quotidiane.

Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry (le edizioni sono innumerevoli, qui citiamo e proponiamo quella edita dagli Oscar Mondadori dal 2015) è la favola antica e moderna, lo sprazzo oltre la fantasia fantasticata, l’inimmaginabile dell’assurdo che, pure, fa capolino nelle nostre incoscienze manifeste, tanto care alla stagione dell’infanzia, tanto ridicolizzate da una sicumera antiproverbiale dell’essere adulti, dettata dalla certezza, maculata comunque sempre di dubbi, di aver oltrepassato lo stadio della pubertà e quello successivo del disincanto.

L’aviatore vede i mondi che il geografo, per quanto sapiente possa essere, non vedrà mai. I mondi nel mondo, quelli che ti fanno dire di conoscerlo tutto (o quasi). Ma poi, veramente, nessuno forse può affermare di conoscere tutto il pianeta: angoli, pezzi di un puzzle dalle mille facce. Ma l’interezza non ci appartiene se la pensiamo come perfezione, come insuperabilità. C’è sempre un qualcosa oltre il quale andare: lo sguardo del Piccolo Principe è fatto di stupore, di meraviglia. La curiosità lo divora? No, semmai lo rende specialmente vivo.

Davanti ad ogni stranezza, il bimbo che cura la sua rosa è nuovo ogni volta. Si scopre amico di un universo in cui la piccolezza dei mondi è niente di fronte alla singolarità di coloro che li abitano. Spesso in solitudine. Perché se è vero che – come svela la Volpe al giovincello venuto dallo spazio – l’essenziale è invisibile agli occhi, è altresì vero che noi continuiamo a cercare questa essenzialità e non ci basta veramente mai.

Nella assoluta tenerezza infantile, colui che è bambino e che sa, quindi, riconoscersi nel bambino al di fuori di lui, si rende conto che «…solo i bambini sanno quello che cercano. Loro perdono tempo per una bambola di pezza, ed essa è così importante che, se gli viene tolta, piangono…». L’età più matura dell’umano, la crescita irrefrenabile della coscienza nell’aumentare un sapere che è, teologicamente parlando, foriero di angosce e di turbamenti, fa scemare la beatitudine del piccolo che si entusiasma per ciò che è per davvero riconducibile al semplice.

Ma non in quanto estremità del banale o del preventivabile. Il bambino coglie l’essenza di sé stesso senza conoscerla e, soprattutto, senza interrogarvisi. Ciò che gli sta sotto gli occhi e tra le mani gli basta per essere felice: se può giocare con la sua bambola, ecco lì vi è il tutto che non ha bisogno di alcuna spiegazione. Si potrebbe dire che il senso della vita è un tormento che trascende la purezza incosciente della più genuina essenza primordiale che ci abita.

Come il seme della rosa che non ha coscienza dell’essere in potenza una rosa stessa. Ma fa la rosa, insieme alla terra della Terra, con l’umido dell’acqua che l’attraversa e tutto continua, cresce, muore e rinasce sempre in un ciclo esistenziale che prescinde dall’umanità, nonché dall’animalità. La ricerca del tempo da sottrarre al tempo, per avere più tempo da impiegare come vogliamo è lo scopo del venditore di pillole che calmano la sete.

Ma il Piccolo Principe dei cinquantatré minuti risparmiati evitando di cercare una fontana, invece, li impiegherebbe proprio per camminare “adagio, adagio” verso quella o un’altra fontana. Il tempo speso e quello da spendere: come se tutto fosse commercializzabile. Anche quando non lo può essere: come si fa a vendere del tempo per poterlo risparmiare? Come si mette da parte il tempo? Come lo si capitalizza?

La dimensionalità dell’esistente è una argomento troppo fisico e quantistico per essere introdotto in una dolce favola rivolta un po’ a tutte e tutti. Lasciamo al racconto delle avventure del Piccolo Principe il privilegio, anzi il diritto, di reclamare la metaforizzazione anche fine a sé stessa. Concediamogli e concediamoci qualche attimo di estraniazione dal rigore del dover fare, del dover essere, del dover – in particolar modo – sembrare. Ciò che è essenziale – rammentiamolo di continuo – non lo si vede bene che non il cuore.

L’aviatore non viene creduto se parla del suo incontro nel deserto col giovane sovrano che cura la rosa sul suo pianeta dove vive tutto solo. Ed è bene che sia così. Credergli vorrebbe dire perdere tutte quelle arcane certezze che ci siamo dati per sopportare una vita che abbiamo continuamente reso complicata separandola dalla complessità cordialmente armonica di cui la Natura l’ha resa protagonista.

In fondo, i sogni svaniscono all’alba. Appena si aprono gli occhi, la crudele luce del mattino rigetta nell’incoscienza il buio dell’anima che emerge quando siamo nell’abbandono dell’abbandono. Quando ci lasciamo mancare tra le braccia di Morfeo e lì avviene – secondo l’interpretazione (o invenzione per alcuni) psicoanalitica dell’inconscio – l’emersione della parte più nascosta e nascondibile di noi a noi stessi per primi.

Piacerebbe poter dire che il Piccolo Principe è la raffigurazione tutt’altro che simbolica di questo essere fanciulli meravigliati di fronte al tutto che pare niente, di fronte al niente che invece pare tutto. Proprio come la bambola di pezza dei bambini. Nell’infinitamente piccolo, in quello che sembra essere irrilevante per propria caratteristica quasi morale, oltre che fisica, vi è lo spettacolo di una Natura che lavora là dove la percezione nostra non arriva.

Questo dovrebbe, a rigore, esserci bastevole e sufficiente per comprendere che siamo i dominatori di un mondo troppo bello e generoso per una inessenzialità che è sempre, quotidianamente, visibile agli occhi. Il sacro che osserviamo quando guardiamo un tramonto, quando l’estasi ci coglie, senza alcun riferimento martirologico, e la percezione dell’essere parte di un grande mutamento universale, continuo e irrefrenabile evolve ad un livello ulteriore: la consapevolezza.

Dell’autocoscienza che ci è propria noi utilizziamo soltanto una parte: quella dell’afflizione per la condizione di solitudine in un cosmo in espansione e di cui non abbiamo contezza di altri simili a noi. Il Piccolo Principe sta al gioco della propria minuscola essenza che è potente elemento di raffronto con il resto da cui non si sente oppresso, ridicolizzato o, peggio, tenuto in disparte come in un angolo buio.

Fossimo sempre, o quasi, capaci dello stupore che prova davanti agli abitanti degli altri pianeti. Tutto è a misura di singolarità nel suo universo; ma nulla e nessuno è veramente solo. Il re vive del suo magnifico potere di imperare sulle stelle. Gli sono afferenti così come lo è la sua corona sul capo. Il lampionaio vive della sua mansione indefessa. E poco importa se la pecora non è legata, se corre quel rischio che l’aviatore gli prospetta: che possa fuggire o, per meglio dire, andarsene.

«Dove vuoi che vada? Davanti a sé. Dove vivo io è tutto molto piccolo. Dritto davanti a sé non si va molto lontano». Ma non si finsice nemmeno per non andare da nessuna parte. C’è sempre un cammino da intraprendere: mentale, fisico. Con la potenza espansiva della fantasia, con la capacità muscolare delle gambe. Così c’è sempre un motivo per avere voglia di inebriarsi di una meraviglia che regala un sorriso, che non è riconducibile alla sola materialità delle cose e della vita in sé.

L’invisibilità dell’essenziale è la cascata di coriandoli coloratissimi che ci fa sentire in festa ogni volta che scopriamo una nuova emozione che, a sua volta, è figlia di un desiderio magari inespresso. Troppe volte inesprimibile per via delle convenzioni sociali. Senza limitare mai niente e nessuno, senza costringere alcunché ad essere altro da sé stesso, possiamo trovare un senso ogni giorno ad un’esistenza che, per quanto possa essere enorme il mondo e inimmaginabilmente infinito (?) l’Universo, ha nella prossimità una ragion d’essere.

Noi siamo il significante di noi stessi: senza civetteria. Forma per forma, ma pure contenuto. Etereità del pensiero e dello stimolo allo stesso, ma capacità cognitiva, introspezione e indagine dell’invisibile che ci abita e ci fa continuamente cambiare. Leggere “Il Piccolo Principe” è un regalo che ci si può fare se si vuole attivare le zone più al limite del nostro elucubrare. Non c’è pericolo alcuno: i bambini lo acquisiranno come una bella fiaba. Gli adulti che poi saranno potranno scegliere se farne anche una sorta di candido testo di metafore. Su noi, sulla vita, sul visibile e, soprattutto, sull’essenziale che non si vede.

Ma che c’è.

IL PICCOLO PRINCIPE
ANTOINE DE SAINT-EXUPÉRY
OSCAR MONDADORI
€ 5,00

MARCO SFERINI

19 marzo 2025

foto: particolare della copertina del libro


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