“Draghi al Social summit europeo di Porto: «Basta disuguaglianze»“. A leggerlo si possono avere due reazione: crederci o non crederci. In dubio pro reo, dicevano le tavole del diritto romano. Ma qui la dichiarazione è forte, tanto quanto quella di Biden su quella che la stampa – con liberista oculatezza – definisce “liberalizzazione temporanea” dei brevetti sui vaccini e non certo “sospensione della proprietà intellettuale“, traguardo nuovo verso una ridefinizione del ruolo stesso della scienza nel sistema capitalistico moderno.
Le parole sono pietre, ma appuntite: trapassano le menti, le perforano e finiscono per creare dei guasti incalcolabili nella stragrande maggioranza delle persone che le ascoltano, che le leggono e che si formano in tal mondo concetti e, soprattutto, preconcetti poi difficilissimi da scrostare. Francamente, che Mario Draghi possa essere il paladino istituzionale e governativo della lotta alle diseguaglianze, fa quanto meno sorridere: probabilmente in tutta la sua buona fede di uomo economico e di uomo politico, l’attuale Presidente del Consiglio intende mettere mano agli eccessi sperequativi che ha denunciato in Portogallo.
I suoi agiografi ricordano che già quindici anni fa aveva messo in allarme l’Europa intera sulla forbice che sempre più si allargava tra mondo del lavoro garantito (maschi e anziani, leggasi per questi ultimi: pensionati) e non garantito (femmine – leggasi: donne – e giovani, giovanissimi sempre più precari).
Oggi, nel biennio pandemico, che ha tragicamente esaltato ogni forma ed espressione concreta delle diseguaglianze, riportandole all’oggettività della capacità critica di tutte e tutti, dell’evidenza che non abbisogna di interpretazioni macro e microeconomiche, il superbanchiere ritorna a stigmatizzare la disparità dei trattamenti e le storture in un mondo del lavoro che proprio le politiche liberiste da lui sostenute e incentivate in tutti gli Stati dell’Unione Europea hanno portato alle estreme conseguenze.
Ci sarebbe da uscirne pazzi, se non fosse che questi non sono nemmeno giochi di parole, ma sono avvertimenti che un esperto di economia dà al capitalismo continentale e alle cancellerie, intervenendo su temi che possono essere gestiti dai governi in una ritrovata sinergia che superi le differenze nazionali dettate dall’urgenza vaccinale, dalla competizione sui brevetti e dalla concorrenza spietata tra le Big Pharma al di qua e al di là dell’oceano nella contesa mondiale per il nuovo mercato dei medicinali che fa intravedere, per i decenni prossimi, un terreno di espansione profittuale golosissimo.
Nel suo discorso al summit europeo, Draghi ha fatto ruotare le sue critiche attorno ad un baricentro ben preciso: quello che ha definito il “doppio binario” di un mercato del lavoro che in troppi paesi penalizza una parte dei lavoratori e ne privilegia l’altra.
Una visione nettamente di classe dell’ingiustizia, che viene solo parzialmente riconosciuta come strutturale, ascrivibile al sistema del libero mercato: perché l’approccio eventualmente critico finirebbe col diventare una auto-critica, un esame di sé stessi, una auto-analisi che non avrebbe altro senso se non quello di mostrarsi comprensivi verso la contraddizione capitalista ma indorandola con le ottime proposizioni e promesse di correggerne gli eccessi.
In sostanza, per consentire alle imprese di accelerare verso la ripresa necessaria (nell’ancora ipotetico u-tupos del mondo post-pandemico), l’ormai famoso PNRR (“Piano nazionale di ripresa e resilienza“) di Draghi si muoverà su una riqualificazione numerica e professione del lavoro femminile e di quello giovanile: ufficialmente per sottrarre queste categorie ad uno sfruttamento maggiore di quello previsto (e prevedibile dal mercato comune europeo, oltre che da quello nazionale italiano) e, nella più concreta realtà aderente allo schema di ristabilimento delle sorti progressive (e molto poco magnifiche) del capitalismo continentale, per utilizzare una forza-lavoro nuova, meno consumata dai rapporti con le controparti sindacali, dai conflitti sociali e dalle trattative contrattualistiche.
Chi è in età da pensione (quota 100 e futura reintroduzione della Legge Fornero permettendo) e chi ha alle spalle una storia lavorativa di medio corso (lungo è sempre più raro da riscontare) verrà messo da parte e sostituito con una generazione di mano d’opera e intellettuale adeguata ai tempi che, vista l’emergenza in corso, saranno tutto tranne una strada in discesa per la rimodulazione capitalistica mondiale.
Draghi lo dice con la schiettezza della sintesi unitaria di un discorso che potrebbe essere duplice – da banchiere e da politico – e che invece viene sincretizzato così: «Verranno investiti 6 miliardi di euro per riformare le politiche attive del mercato del lavoro. Il Piano prevede un Programma per l’occupabilità e le competenze, destinato alla formazione e alla riqualificazione di coloro che devono cambiare lavoro o che sono alla ricerca di una prima occupazione, seguendo l’esempio del Programma europeo di garanzia per i giovani».
Tradotto: più flessibilità nel nuovo mondo del lavoro intra e post-pandemico per un ricambio generazionale che consenta al mercato di ridefinire i rapporti stessi tra impresa e maestranze, tra padroni e dipendenti: banchieri ed economisti liberisti, finanzieri e uomini di affari sanno che la pandemia ha inevitabilmente cambiato quei rapporti di forza che nessuna mobilitazione internazionale sarebbe riuscita a modificare, con anche tutta la buona volontà possibile.
Questo cambiamento sta producendo un riflusso di povertà e di indigenza cui potremo assistere nella prepotente avanzata solo tra qualche tempo. Gli effetti dell’impatto del Covid-19 sulla precedente strutturazione liberista del capitalismo si sentiranno con qualche scostamento temporale, tipico dell’assorbimento progressivo delle mutazioni su vasta scala.
L’apparente slancio di generoso interessamento per le sorti di donne e giovani (il binario numero due, quello più fragile…) è soltanto il primo punto di un lungo elenco di riforme strutturali per adattare al corso degli eventi rivoluzionari del coronavirus una nuova società plasmata sulle ritrovate linee guida di una nuova edizione del “manuale di ripresa e resilienza dello sfruttamento del lavoro“. Altrui, si intende.
MARCO SFERINI
8 maggio 2021
foto: screenshot tv