Alcuni anni fa uscì un’edizione del “Manifesto del partito comunista” di Karl Marx e Friedrich Engels edito da quel bel settimanale che fu “Avvenimenti“. Un libriccino formato dalle consuete trenta, trentadue pagine del testo originario, ovviamente tradotto in italiano, e pubblicato con una appendice di George Soros.
Sì, proprio il grande pescecane della finanza internazionale, un uomo interamente assorbito dal ciclo di produzione capitalistico, quindi un grande conoscitore del medesimo, ha più volte attinto dai testi marxiani per lanciare comunque un grido di allarme all’umanità contro il capitalismo stesso.
Un paradosso? Non proprio: del resto l’etica non è propriamente caratteristica intrinseca del capitale e un essere umano, un individuo qualsiasi, padrone, finanziere o speculatore che possa essere è in grado – se vuole – di prendere coscienza del fatto che lui è lo sfruttatore di lavoro, sudore e vita di milioni di altri suoi simili e che, svolgendo il proprio ruolo “di classe“, può comunque riflettere su quanto avviene e offrire la sua interpretazione in merito.
Ciò non significa che questa elaborazione critica debba per forza essere una stigmatizzazione del sistema per giungere alle conclusioni cui è giunto Marx, che abbracciamo anche noi, quindi della necessità del superamento del capitalismo per la salvezza tanto dell’umanità, per una vita degna di essere vissuta in una armonia fatta di ricchezza delle differenze culturali, artistiche, proprie delle capacità di trasformazione delle materie prime naturali in elaborati utili al benessere comune.
Ma è importante conoscere il punto di vista dei “pescecani“, dei padroni, dei finanzieri che ogni giorno speculano in borsa, per tastare il polso della situazione, per vedere cosa ne pensa del mondo attuale l’altra parte della barricata, il cosiddetto “avversario di classe“.
Soros prima di tutto fa cenno al fatto che senza Marx e i suoi studi scientifici è impossibile conoscere il funzionamento, l’origine del capitalismo. Certo, Smith è utile alla comprensione del liberalismo e del suo sviluppo moderno, ma senza Marx, senza Engels non vi sarebbe mai stata analisi così viscerale e meticolosa, supportata non da mere teorie ma da comprovati studi aggregati da tanti piccoli fatti messi uno accanto all’altro e, pertanto, inconfutabili.
L’inconfutabilità della scienza marxista è ancora oggi un muro impossibile da abbattere per chi, come Soros, ha passato una vita comunque a magnificare prima salvo criticarlo poi il sistema delle merci e dell’accumulazione dei profitti. Non bisogna confondere la critica di George Soros con una sorta di critica al sistema stesso: semmai la sua critica, che utilizza abilmente gli studi marxisti, è volta a cercare una chiave di volta per ridurre gli impatti negativi dei cicli di produzione che diventano “sovraproduttivi” (e innescano crisi economiche di non poco conto…) e pertanto conducono sempre al bivio di una storia che si è ripetuta già molte volte: quando le speculazioni finanziarie non bastano a risolvere le “stagnazioni” economiche e il calo dei profitti, ci sono due modi per risolvere la situazione.
Il primo modo è il nostro, quello che noi comunisti individuiamo in una evoluzione rivoluzionaria della società e in un capovolgimento del sistema, nel suo abbattimento e nella trasformazione in senso socialista del vivere comune per approdare ad un più lontano orizzonte comunista dove neppure gli Stati avranno più ragione d’essere.
Il secondo modo è il chiudersi a riccio della classe borghese ed imprenditorial-speculativa per generare confusione e conflitto tra le fila di chi genera la produzione con le proprie mani e crea le merci e il regime concorrenziale che ne deriva dalla loro circolazione; in questo modo, destabilizzando il quadro sociale del moderno proletariato, innestando crisi di portata mondiale mediante guerre, spostamenti di interi popoli per via degli impoverimenti di massa di grande fasce di territori, si mettono in essere quelle condizioni atte a costringere il povero a divenire nemico del povero.
Si crea, quindi, una lotta nella stessa classe sociale che impedisce agli sfruttati di riconoscersi come tali fra loro e di trovare nel duce di turno, il salvatore della patria, il sovranista da spiaggia e ministero, che interpreti le ragioni della classe dominante, che le faccia proprie farcendole di un manto nazionalista tutto teso a fare dei lavoratori solo degli “italiani” contro gli “stranieri” e non degli sfruttati contro altri sfruttati.
Sono secoli ormai che la storia va avanti in questo senso e che si riproduce con gli stessi schemi salvo mutare interpreti e scenario: ma dietro le quinte registi e truppe teatrali svolgono anche loro il compito che dalla storia gli è stato assegnato in un lungo cammino di trasformazione sociale che è diventato antisociale con lo sviluppo dei mezzi di produzione e la sempre maggiore concorrenza tra settori industriali in crescita in differenti paesi di altrettanto differenti continenti.
Se, dunque, i capitalisti hanno trovato il modo di limitare le loro crisi economiche, salvaguardando i profitti e proteggendo la contraddizione capitalistica dai suoi eccessi inevitabili, che sono sempre la migliore offerta di presa in mano della situazione da parte di rivoluzionari che davvero fossero in grado di muovere allo stravolgimento dello “stato di cose presente“, è evidente che a maggior ragione i lavoratori e le lavoratrici possono essere in grado di dotarsi degli strumenti culturali, sociali e civili per studiare questi fenomeni e per trarre conclusioni che portino ad una sintesi politica necessaria e alla ricostruzione di un movimento comunista che riunisca tutte le anime di un anticapitalismo in parte disperso e atomizzato e in parte da costruire ex novo.
I giovani che oggi a centinaia di migliaia marciano per chiedere la salvezza del pianeta Terra dalla catastrofe antiambientale che rischia di travolgerlo irreparabilmente, percepiscono che il problema non è fine a sé stesso, che ha una origine diversa da quella della semplice volontà umana di consumare meno plastica o di migliorare la raccolta differenziata.
I comportamenti singoli sono importantissimi nella dinamica globale, ma occorre prendere consapevolezza che il problema ambientale non è separabile dalla critica di classe, dalla critica all’economia politica, al capitalismo insostenibile tanto umanamente quanto ecologicamente: il profitto riduce la grande ricchezza mondiale che viene prodotta in numeri, in dividendi attribuiti a pochissime centinaia di grandi padroni che al massimo faranno un po’ di pietosa elemosina pelosa per mostrarsi buoni e dediti ad altrettanto buone cause.
Ma la loro natura di esseri umani aventi nel sistema il ruolo che debbono svolgere li astrae da un contesto moralistico e ne fa dei meri esecutori ragionieristici di un calcolo necessario, imprescindibile, che non si può pensare di modificare o far deviare con le buone intenzioni, con discorsi all’ONU.
Il grande sciopero globale per il clima deve potersi trasformare in una grande presa di coscienza di classe, una rivolta di massa soprattutto dei giovani per un futuro che gli viene rubato proprio dai capitalisti, dalla grande finanza internazionale, da chi ha il possesso di tutti i mezzi di produzione.
In una parola, noi dobbiamo aiutare il grande movimento giovanile ambientalista a diventare un movimento comunista, un movimento che metta al centro dell’agire la “comunione” dei beni, quindi la divisione del pane tra esseri umani uguali per classe sociale: chiunque non si un padrone, uno sfruttatore, deve poter riconoscere nell’altro da sé uno stesso compagno di lotta.
Una lotta che salverà le foreste, l’aria che respiriamo e la terra che calpestiamo soltanto se abolirà la proprietà privata dei mezzi di produzione e dirà basta ad ogni forma di sfruttamento: dell’uomo sull’uomo, dell’uomo sulla natura.
MARCO SFERINI
25 settembre 2019