Non succede spesso, ma ecco un libro che si avrebbe voglia di avere fra le mani, con la speranza di trovarlo all’altezza delle aspettative.
Soprattutto, aggiungiamo, all’indomani dell’8 marzo, «festa» – fra mille virgolette – la cui stessa esistenza rivela quanta riflessione si debba ancora fare, tutte e tutti, sul rapporto tra donne e uomini nelle società contemporanee (al plurale, per forza di cose, e possibilmente senza che a nessuno venga in mente di avere la ricetta pronta).
Il titolo è The Patriarchs, «I patriarchi» (anche questo al plurale, e vedremo perché) ed è uscito per Penguin Random House in questi giorni.
L’autrice, la giornalista scientifica Angela Saini – nome all’apparenza italiano, ma in realtà britannica adesso trapiantata negli Stati Uniti – aveva già affrontato un argomento contiguo in un saggio del 2017, Inferior: How Science Got Women Wrong and the New Research That’s Rewriting the Story, dove aveva approfondito gli effetti negativi del sessismo sulla ricerca scientifica passata e presente.
In questo nuovo saggio, però, Saini – che ha studiato ingegneria e scienze a Oxford e al King’s College di Londra – va alle radici della questione, «mettendo in discussione l’idea secondo cui gli uomini comandano perché sono più forti, più intelligenti o più adatti a farlo», come scrive sul Guardian Katy Guest, che al libro e alla sua autrice ha dedicato un lungo articolo.
In realtà, è la stessa Saini a parlare, «le società matrilineari e matrilocali sono parte integrante del tessuto della storia e della società umana, non mondi rarissimi e insoliti in cui le leggi della natura sono state in qualche modo ribaltate».
Ma allora, si è chiesta la giornalista, perché le società dominate dagli uomini sono così comuni? Per rispondere, Saini ha studiato le nuove ricerche nel campo della genetica e i testi di archeologia, e ha girato mezzo mondo, visitando le rovine neolitiche di Çatalhöyük, in Turchia, e incontrando la comunità Khasi di Meghalaya, nell’India nordorientale e gli esponenti degli Onondaga, una delle cinque nazioni originali della Lega irochese, a Seneca Falls nello Stato di New York.
In questo viaggio, scrive ancora Katy Guest, «ha trovato società antiche che contraddicevano le moderne idee binarie di genere; sistemi matrilineari che erano stati sovvertiti dal colonialismo; e regole patriarcali che venivano abolite in un attimo per capriccio dei governi».
A ogni tappa Saini ha avuto la conferma che l’idea di «un unico piano monolitico, cospirativo e globale di dominazione maschile che ha spazzato il mondo in modo molto omogeneo» andava quantomeno riveduta, e che in effetti siamo di fronte a «diversi patriarcati (ecco il motivo del plurale, ndr) che hanno assunto forme differenti a seconda dei tempi e dei luoghi».
Insomma, «il patriarcato non è qualcosa che gli uomini hanno imposto alle donne in qualche momento della storia, ma un sistema fragile alla cui perpetuazione partecipiamo tutti ogni giorno». In altri termini, anche se in una prospettiva femminile può dar fastidio, il patriarcato «non è ‘loro’, ma ‘tutti noi’».
E a proposito di cose che possono infastidire, nell’intervista Saini sottolinea che per trovare una società che ha legiferato per l’uguaglianza fra donne e uomini non bisogna tornare alla preistoria, basta andare indietro di un secolo, all’Unione Sovietica – anche se, aggiunge, «questi diritti possono essere tolti con la stessa rapidità con cui sono stati conquistati», basti pensare ai «valori tradizionali» cui oggi inneggia Putin.
Eppure, sostiene l’autrice, lo sguardo proposto in The Patriarchs è ottimista, perché se non altro «dimostra che società più eque possono esistere e prosperare, nella storia e oggi».
MARIA TERESA CARBONE
Foto di Leo Sacchi