Dopo un lungo periodo di conflitti, la Fidesz (Unione Civica Ungherese), il partito del primo ministro ungherese Viktor Orbán, lascia il Ppe. Per anticipare un’espulsione, che in realtà non è mai arrivata malgrado la sospensione del partito nel marzo 2019.
La scusa è stata il cambiamento di regole all’interno del Ppe, approvate ieri con 148 voti, 28 contrari e 4 astensioni, che prevedono ormai la possibilità di escludere tutta una delegazione e non solo più dei singoli eurodeputati, come era avvenuto finora. Una «mossa ostile», una modifica «antidemocratica, ingiusta, inaccettabile» per Orbán, perché «tenta di ridurre al silenzio i nostri eurodeputati democraticamente eletti».
L’esclusione della Fidesz dal Ppe era stata chiesta più volte, per le posizioni anti-europee e illiberali nella politica interna: offensiva contro le università, limitazione del potere giudiziario e della libertà di stampa (ultimo episodio, il caso di Klubradio). Orbán era sempre riuscito a evitare il peggio, grazie agli italiani di Forza Italia, ai francesi Républicains e agli spagnoli del Pp.
Italiani, francesi, croati e sloveni hanno cercato di bloccare la riforma degli statuti del Ppe. I tedeschi della Cdu hanno avuto una posizione ambigua, pur votando a favore della riforma: ieri il capogruppo, Manfred Weber, ha ancora proposto a Orbán «una conversazione telefonica» per chiarire la situazione, anche se lo stesso Weber era stato accusato di avere metodi degni della «Gestapo» dal capodelegazione della Fidesz all’Europarlamento, Tamas Deutsch, colpito da sanzioni nel dicembre scorso.
Anche Angela Merkel è sempre stata prudente, perché il padronato tedesco ha ottime relazioni con l’Ungheria. Antonio Tajani è dispiaciuto per l’uscita della Fidezs, che «indebolisce il Ppe e non ci guadagna nessuno». Il Ppe perde 12 deputati, ma resta ancora il primo gruppo. Un ungherese, non membro della Fidesz, si mantiene nel Ppe.
L’uscita di Fidesz dal Ppe è «un’ottima notizia» per il verde Philippe Lambers. I socialisti si chiedono: «Invece di aspettare che la Fidesz desse le dimissioni, perché non l’hanno sbattuta fuori anni fa?».
Non è chiaro cosa farà adesso la delegazione della Fidesz al Parlamento europeo. Ci sono contatti con il gruppo Ecr (Conservatori e Riformisti), a cui appartengono Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni e il Pis polacco. Ma questi due gruppi, che dominano l’Ecr, vorranno spartire il potere con la Fidesz, che certo non si accontenterà di rimanere ai margini? Per il Ppe, questa crisi potrebbe non essere l’ultima: sulle orme della Fidesz si sta muovendo l’Sds sloveno del presidente Jansa (l’unico in Europa nel novembre scorso ad essersi congratulato con Trump per la sua «vittoria» alle presidenziali Usa).
L’uscita della Fidesz dal Ppe è l’ultimo episodio di una progressiva autonomizzazione dell’Ungheria dalle regole Ue. L’Ungheria è stato il primo paese a seguire una strada autonoma sui vaccini, rivolgendosi ai russi e ai cinesi. Questa politica ormai è seguita da altri, anche Austria e Danimarca si stanno muovendo da sole, con l’accordo con Israele, dopo accordi raggiunti da altri paesi dell’est fuori dagli schemi dell’Ema.
La presidenza portoghese del Consiglio Ue è preoccupata per il blocco della procedura dell’articolo 7, che colpisce Ungheria e Polonia per il non rispetto dello stato di diritto: i tempi si allungano per arrivare a una decisione, i due paesi si spalleggiano e tengono in ostaggio il meccanismo. Polonia e Ungheria hanno esercitato un ricatto sull’approvazione del Recovery Plan nel luglio scorso ed erano già riuscite a impedire a Frans Timmermans di essere scelto come presidente della Commissione.
ANNA MARIA MERLO
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