Sono consapevole che mi attirerò le accuse di “filoputinismo” dei soliti draconiani benpensanti di turno, ma vorrei comunque esprimere quello che sto per scrivere con un pizzico di presunzione: ossia presumendo che si possa ancora dire la propria senza dover per questo rientrare in un incasellamento precostituito e assolutizzante. Non tutto è categorizzabile. Non sono un ammiratore dei film sulle cinquanta o cento sfumature di vari colori. Penso solamente che la realtà sia molto più complessa di quanto la si possa sintetizzare con poche battute sui social.
Veniamo al dunque. Qualche giorno fa il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricevuto l’onoreficenza di laura honoris causa presso l’Università di Marsiglia. In questa occasione ha tenuto un discorso in cui ha affermato, in premessa, che la storia si ripete pedissequamente e ha fatto seguire una asserzione sui fatti più attuali che riguardano il conflitto in corso da tre anni in Donbass prima e in altri oblast ucraini poi.
Queste le parole del Capo dello Stato:
«Fenomeni di carattere autoritario presero il sopravvento in alcuni Paesi, attratti dalla favola che regimi dispotici e illiberali fossero più efficaci nella tutela degli interessi nazionali. Il risultato fu l’accentuarsi di un clima di conflitto – anziché di cooperazione – pur nella consapevolezza di dover affrontare e risolvere i problemi a una scala più ampia. Ma, anziché cooperazione, a prevalere fu il criterio della dominazione. E furono guerre di conquista. Fu questo il progetto del Terzo Reich in Europa. L’odierna aggressione russa all’Ucraina è di questa natura».
Ci permettiamo di dissentire e di farlo provando ad argomentare: anzitutto il nazionalsocialismo (che non merita nemmeno la maiuscola per quel che ha rappresentato e fatto in dodici anni di feralissima esistenza) aveva fin dal principio, molto bene espresso nel “Mein Kampf” di Adolf Hitler, un progetto di pangermanesismo che si inseriva nel più aggiornato movimento völkisch del primo dopoguerra. Nella megalomania del Führer la rivincita tedesca, dopo l’umiliazione di Versailles, si legava all’affermazione del primato di una nazione che aveva una sorta di predestinazione.
Il regime di Putin, per quanto possa somigliare ad altri esempi di autocrazie o di dittature, non ha le caratteristiche originarie su cui il Terzo Reich è poi nato dopo l’unificazione delle cariche di cancelliere e di Presidente avvenute nel 1934 alla morte del maresciallo von Hindenburg. Per quanto, la tragedia del trasferimento di numerosi bambini dal territorio ucraino a quello russo e l’imposizione di una cancellazione culturale nei territori conquistati, non lasci ben sperare nel marcare una qualche differenza in più rispetto ai regimi totalitari del Novecento.
Ma rimaniamo ai fatti: la Russia di Putin è indubbiamente uno Stato in cui le libertà civili sono largamente negate; chi tenta di rivendicarle con una qualche forma di organizzazione sociale, culturale e politica viene represso. Ed anche duramente. Se io mi trovassi a Mosca e volessi sostenere i diritti LGBTQIA+, sarei probabilmente preso, caricato su una camionetta e spedito in qualche carcere in attesa di un processo molto probabilmente farsesco, per la mancanza di difensori o per la prevalenza aprioristica delle tesi dell’accusa (di governo).
Non ho quindi motivo di simpatizzare per Putin, per il suo nazionalismo estremo, per i sogni neoimperialisti di uno zarismo di ritorno che, tuttavia, rientra nel gioco cinico del multipolarismo globale. Tanto è dittatore Putin quanto poco sono democratici i democratici americani o i liberali europei che fanno dell’Occidente la madre di tutti i diritti, il luogo perfetto in cui vivere su questa Terra. Mattarella afferma che il progetto del Terzo Reich in Europa (e nel mondo) fu la dominazione anziché la cooperazione. Verissimo.
Adolf Hitler, fino al 1939, senza scatenare alcuna guerra e con la condiscendenza dei leader europei di allora, espande i confini della Germania: rioccupa la Renania smilitarizzata, si prende piccoli pezzetti di vecchia Prussia come il Territorio di Memel, sospende e supera la Costituzione della Repubblica di Weimar e impone al Reich una amministrazione centralizzata in cui i lander hanno ben più poca agibilità e spazio. Anzi, non hanno proprio più alcun senso se non geograficamente e storicamente parlando.
Nel momento in cui, da ancora giovane caporale, ascolta i discorsi di alcuni nazionalisti come lui che inneggiano all’indipendenza della Baviera, sbotta e li apostrofa di assurdità, di tradimento, di antigermanesimo. Su questo terreno c’è, se si vuole forzare la Storia ad un paragone con l’oggi, una qualche somiglianza con un recupero del neonazionalismo russo in chiave putiniana. Ma questo lo si potrebbe affermare anche per l’autarchismo trumpiano o per i sogni di gloria marziani di Elon Musk. Negli anni più prossimi alla Seconda guerra mondiale, Hitler annette la sua madre patria austriaca e poi il Territorio dei Sudeti, imponendo a Boemia e Moravia, sostanzialmente, il protettorato tedesco.
La Germania diviene il Terzo Reich (il “Terzo Impero“) nel momento in cui il nazionalismo assume tutti i connotati dell’imperialismo: espansionismo economico, politico, militare. La Russia di Putin, è oggettivamente innegabile, in questa fase permette delle similitudini in questo frangente: l’invasione dell’Ucraina non può non essere rubricata se non come un atto di imperialismo, di espansionismo tanto territoriale quanto di natura economica e ovviamente politica e militare. Si ampliano i confini russi, si ridimensionano quelli di uno Stato sovrano che guarda all’Ovest piuttosto che alla sua frontiera storica: l’Est.
Ma, se si vuole avere rispetto per la Storia con la esse maiuscola, si deve prima di tutto essere onesti con la stretta attualità in cui viviamo: quella russa è sì una mossa imperialista, ma è la risposta uguale e contraria per l’appunto ad un altro imperialismo. Quello degli Stati Uniti d’America e dell’asse nordatlantico della NATO. Abbiamo visto un po’ tutti le cartine geopolitiche che mostrano come l’Alleanza atlantica si sia avvicinata sempre più ai confini di Mosca, pur giurando e stragiurando, dopo la caduta dell’URSS, che sarebbe rimasta entro il perimetro definito proprio dalla Guerra fredda, formata quindi dagli storici alleati occidentali.
Ma il mercato americano ed europeo ha prima invaso l’Est, esportando tutto il peggio del capitalismo moderno e, in seguito, ha cominciato a pensare che servisse un appoggio anche militare per poter consolidare delle posizioni di potere economico e finanziario che, altrimenti, sarebbero ben presto venute in contatto con una concorrenza spietata di una Russia convertita al liberismo con persino troppa facilità. Adolf Hitler, a differenza di Putin, non aveva i missili di nessuna alleanza militare puntati contro la Germania. Ma il suo progetto di sterminio dei popoli inferiori lo ha portato avanti seguendo, coerentemente, tutto quello che aveva dettato ad Hess nel carcere di Landsberg am Lech.
Il Presidente della Repubblica ha ragione quando coglie delle somiglianze tra guerre imperialiste, ma dovrebbe, per amore della verità, evidenziarle tutte, senza per questo temere di dare alla guerra scatenata dalla Russia contro l’Ucraina una qualche parvenza di giustificazione. Se si fa l’attualità con la Storia e se si vuole riportare l’oggi nell’ieri, bisogna avere presente tutte le complesse sfaccettature del presente: altrimenti si finisce col fare torto ad entrambe le epoche. Ed infatti, la frase che maggiormente resta sul bilico della critica è quella della natura della guerra d’Ucraina.
Non si può sottacere il fatto che questa affonda le sue origini nel pluridecennale conflitto in Donbass e che, tenuto conto ovviamente dei tanti pretesti addotti da Putin per entrare nel resto dell’Ucraina e riportarla sotto l’egida di Mosca (ad iniziare dalle ricchezze minerarie presenti nel sottosuolo degli oblast occupati), il problema dell’autonomia delle regioni di lingua russa nello Stato di Kiev era stato affrontato dal governo come una questione da risolvere con il metodo della cancellazione culturale, dell’imposizione, anche qui (come fanno oggi i russi negli oblast a maggioranza linguistica ed etnica ucraina) di un essere sociale e culturale che non è proprio di quelle popolazioni.
Se a questo si aggiunge l’espansionismo militare della NATO verso Est, è evidente che l’Occidente non ha posto le premesse per un contenimento dell’imperialismo russo, ma lo ha indotto a manifestarsi in tutta la sua più brutale forza. Evitare di considerare tutto questo è, senza dubbio, aderire alla narrazione ufficiale, quella che ci mette dalla parte della ragione per il solo fatto di dichiararci tutt’oggi democrazie capaci di discernere tra bene e male per il popolo e per i popoli, senza tenere conto del fatto che, in quanto poteri, anche i nostri Stati rientrano perfettamente nel gioco delle reciproche alleanze, degli incontri e degli scontri internazionali.
La partita della guerra in Ucraina è stata presentata dai più autorevoli commentatori dei grandi giornali e delle televisioni italiane come il conflitto tra il mondo libero da un lato e l’impero del male dall’altro. Ci si può lasciar convincere da questa descrizione, sostenendo quindi, ed essendo indotti a farlo ripetutamente, che l’invio di armi a Kiev era necessario e che, quindi, l’economia di guerra non poteva che essere la risposta più confacente a tempi di grande crisi tanto regionale quanto globale.
Il mondo (ossia l’Occidente…) doveva a Putin una risposta di “buon senso” democratico, liberale e civile: la guerra alla guerra, ma per procura. L’abbiamo fatta fare agli ucraini nel nome di una libertà che sognano ma che non conoscono. Se se ne avvedessero, avrebbero compreso che lottavano non per la loro indipendenza, ma per lo stabilimento dei nuovi limiti della NATO ad Est, mentre Putin lottava per l’affermarsi del suo sogno imperiale.
La Germania del Terzo Reich nel 1939, dopo aver espanso i suoi confini fino a spingersi quasi del tutto verso quelli del vecchio Sacro Romano Impero, tentò la conquista dell’intera Europa. Difficile pensare che Putin voglia spingersi fino al Portogallo. Più facile, invece, stabilire una similitudine, ma soltanto sul terreno prettamente militare, con la NATO che, dall’Elba è arrivata ad includere gli Stati che affacciano sui confini bielorussi e russi. Chi è, quindi più vicino ai caratteri di dominazione e non di cooperazione mostrati dall’hitlerismo? La Russia o la NATO?
Se usciamo dal perverso gioco della necessaria ricerca di un confronto in tal senso, sarà più semplice avere chiaro come due imperialismi si stanno tutt’ora combattendo nel cuore dell’Europa. In mezzo la quintessenza dell’insignificanza politica. Interna ed estera. Proprio quell’Unione Europea come ultima Thule, come l’Atlantide della modernità, come l’isola che non c’è. Né nella realtà, né nella fantasia. Senza una politica estera degna di questo nome. Senza una convergenza interna che metta un freno ai populismi e ai neoautoritarismi di destra che emergono con prepotenza.
La minaccia non arriva solo da Est… La minaccia è in casa nostra.
MARCO SFERINI
15 febbraio 2025
foto: screenshot ed elaborazione propria