Il nuovo PSI alla ricerca disperata del centrosinistra

A gennaio, nell’ormai vicinissimo passaggio al nuovo anno, ci aspettavamo di assistere al primo incontro nazionale per la formazione di un tavolo di discussione che gettasse le basi della...

A gennaio, nell’ormai vicinissimo passaggio al nuovo anno, ci aspettavamo di assistere al primo incontro nazionale per la formazione di un tavolo di discussione che gettasse le basi della costituente del quarto polo, quello della sinistra italiana di alternativa.

È opportuno e necessario specificare che si sarebbe dovuto trattare di una sinistra non conforme ai consueti canoni alleantisti che portano alla formazione di tanto improbabili quanto false riedizioni di un centrosinistra ormai morto e sepolto.
Morto e sepolto proprio da coloro che, oggi, più che mai hanno bisogno di definirsi “di sinistra” o “di centrosinistra” per restare a galla in un agone politico che altrimenti li vedrebbe perdere una buona fetta di consenso e, quindi, di elettorato.

Invece questo appuntamento invernale non si terrà. Ho già avuto modo di criticare le ragioni che hanno condotto Sel ha rompere il tavolo di confronto.
Qui mi intessa analizzare altrettanto criticamente ciò che sta avvenendo in questi giorni: alle divisioni che vengono alimentate e prodotte, si fanno seguire appelli di unità per la creazione di un “partito della sinistra italiana”.

Dunque Fassina e Sel accelerano sul viatico di fondazione di un nuovo partito, di sinistra. Tutto legittimo, nulla da eccepire. Ma qui occorre capire se la mossa è in sostituzione all’appello unitario lanciato quando si voleva costruire il soggetto alternativo a tutti gli altri poli, o se invece si tratta di un cantiere che produce l’evoluzione del gruppo parlamentare di Sinistra Italiana in partito politico.

È questa distinzione che ancora non è per niente chiara nelle intenzioni di Sel e di Fassina (o forse è eccessivamente chiara, ma noi ci continuiamo ad illudere che possa essere un momento di riflessione autonoma che, in seguito, possa contribuire alla costruzione di un fronte più largo del progressismo italiano).

Perché, ad oggi, stando a certe dichiarazioni di esponenti nazionali, quasi sembrerebbe che la fondazione del PSI (mai acronimo ha così ben rappresentato ciò che andrà ad essere messo in esse nei prossimi mesi) sia propedeutica a sancire un esclusivismo che metta fuori tutti coloro che non si riconoscono in una pretesa di essere l’unica forma di rilancio della sinistra in Italia.

Sinistra Italiana, dunque, o sarà concepita come l’unica sinistra cui tutti gli altri dovranno accodarsi e poi aderire sciogliendo le proprie organizzazioni autonome, oppure sarà parte legittima di un percorso inclusivo che veda comunisti, ambientalisti, socialisti di sinistra e singole realtà sociali.

Da questi due scenari non si sfugge, non esistono delle quinte che possano nascondere altri intendimenti.

L’anomalia sta nel ritenersi unici, moderni e autosufficienti. Rifondazione Comunista viene considerata con fastidio, viene etichettata come “settaria”, “anacronistica” e priva di una vocazione governista. Un ferrovecchio, insomma, da evitare, da provare a marginalizzare e da rappresentare come inutile e priva di seguito.

E’ un disporsi su un piano di supponenza, di egoismo politico con tratti personalistici che demoralizzano tutte le belle parole che si sentono nelle assemblee nazionali convocate per elogiare la meravigliosa volontà collettiva e singola nel cercare armonia e unità di intenti per ridare all’Italia una sinistra di alternativa.
Invece, i parlamentari e i dirigenti di Sinistra Italiana non fanno che trattare gli “altri da loro” come “compagne e compagni che sbagliano” e quindi la strada che hanno scelto di intraprendere diventa, meccanicisticamente, senza infingimenti di sorta, l’unica possibile, l’unica che garantisce non ciò che tutti vogliono che garantisca, ma ciò che loro vogliono e intendono come sviluppo di un nuovo avvenire per un soggetto di sinistra.
Sinistra. Ma il complemento di specificazione “dell’alternativa” resta nell’ombra: lo si vede nel travaglio che sta verificandosi a Milano, dove Sel e Fassina non lasciano l’abbraccio con il PD e preferiscono le primarie di uno stanco, decrepito centrosinistra alla costruzione di una lista che parli ai milanesi con un linguaggio nuovo, con categorie antiche ma anche moderne, attualizzate e che metta al centro di tutto il lavoro, la solidarietà sociale e l’inclusione.

Civati e Possibile, invece, sono dei concorrenti diversi: loro non sono accusabili di essere degli incartapecoriti comunisti, degli strani nostalgici di una uguaglianza impossibile. Chi vuole primeggiare e pretendere di essere l’unica rappresentanza politica della sinistra in Italia, per ritagliarsi un ruolo di governo con un PD disposto a questo nei territori locali per paura dell’onda grillina, deve fare proprio come il Movimento 5 Stelle: evitare contatti con tutti gli altri che, per questo motivo vengono ostracizzati, derisi e discriminati.

Chi muove anche parzialmente da queste premesse, chi come Sel e Fassina si muove su un terreno di esclusione, non costruirà mai nulla di solido ed efficace a sinistra. Non costruirà, soprattutto nessuna piattaforma alternativa al liberismo che viene avanti proprio da un PD irriformabile è soltanto contrastabile con una opposizione sociale che deve essere tutta ricostruita.

Il Partito della Sinistra Italiana potrà essere un contributo utile per tutto il campo progressista che ancora esiste se si metterà a disposizione di un progetto più ampio, così come vogliono ostinatamente fare Rifondazione Comunista e Possibile.

La vera unità è rispetto delle differenze. Tutto il resto è una politica di annessione riformista che cancellerebbe l’autonomia dei comunisti in Italia. E noi non possiamo, non dobbiamo e non vogliamo rinunciare al nostro programma massimo, ad un comunismo che, come movimento reale, è la necessità attuale che non deve essere archiviata.

Buone feste… nonostante tutto (come dico ormai da tanti, troppi anni).

MARCO SFERINI

23 dicembre 2015

foto tratta da Pixabay

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