l 16 novembre il Congreso de los Diputados ha “investido”, e cioè eletto, Presidente del Governo il socialista Pedro Sanchez. I voti sono stati 179 a favore e 171 contrari. Nessun astenuto. Hanno votato a favore il PSOE (121), Sumar (31), Esquerra Republicana de Catalunya(7), Junts per Catalunya (7), EH-Bildu (6), Partito Nazionalista Basco (5), Bloque Nacionalista Galego (1), Coalicion Canaria (1). Hanno votato contro il Partido Popular (137), VOX (33), Union Pueblo Navarro (1).
Il nuovo Presidente del governo ha giurato sulla costituzione davanti a un Re insolitamente cupo in volto e lunedì 20 novembre mattina ha comunicato la composizione del nuovo governo che, secondo il sistema istituzionale spagnolo, non dovrà essere sottoposto a un voto di fiducia in parlamento.
Le settimane che hanno seguito le elezioni del 23 luglio non sono state “normali”. Il PP, dopo aver tentato con la complicità del Re una “investidura” senza avere nessuna possibilità di successo, ha usato insistentemente, contro il possibile nuovo governo, tre argomenti che meritano di essere analizzati a fondo. Il primo è: il PP ha vinto le elezioni.
Questo argomento, che può apparire ridicolo, in Spagna non lo è per niente. Il corpo elettorale è abituato da decenni a leggere i risultati elettorali attraverso i seggi e non attraverso i voti e a vedere formare un governo dal partito che ha avuto una maggioranza relativa di voti per poi stare al governo da solo anche senza maggioranza assoluta dei voti parlamentari.
In effetti il governo Psoe-Unidas Podemos è stato il primo governo di coalizione dalla morte del dittatore ad oggi. Il bipartitismo, favorito da un sistema elettorale proporzionale in ogni provincia ma senza ricalcolo proporzionale dei resti in un collegio nazionale, è entrato in gravi difficoltà con le conseguenze del disastro della crisi del 2008 e con l’applicazione delle politiche di austerità tanto da parte del PSOE di Zapatero prima come del PP di Rajoy poi.
L’irrompere sulla scena di nuovi soggetti consistenti dal punto di vista elettorale come Podems a sinistra e Ciudadanos e poi VOX a destra ha creato una situazione che ha reso obbligatorio formare una coalizione per poter governare. Ma per una gran parte della popolazione che non governi il partito che è arrivato primo alle elezioni resta qualcosa di poco comprensibile.
Questo dimostra quanto sia potente il sistema elettorale e ciò che induce nel rapporto tra politica istituzionale e masse. In queste elezioni, infatti, la differenza di voti fra PP e PSOE è stata minima ma l’abitudine a leggere i risultati in chiave bipartitica permette al PP di dire “ho vinto le elezioni” come se le elezioni fossero una competizione sportiva e non l’elezione della rappresentanza del popolo.
Infine, nell’epoca della personalizzazione estrema della politica, la popolazione è convinta di scegliere con il voto il Presidente del governo, anche se non è vero per niente dal punto di vista formale. E si tratta di una idea così profondamente radicata che la stampa, le televisioni e gli stessi dirigenti politici di tutte le tendenze si riferiscono al capo del governo come Presidente de España o come Presidente Español, creando una nefasta confusione tra i ruoli di presidente del paese (che in Spagna evidentemente non esiste giacché c’è un Re) e presidente del governo e cioè del potere esecutivo esercitato da una parte politica.
Il secondo argomento del PP usato per delegittimare il nuovo governo è il seguente: Sanchez aveva garantito nella campagna elettorale che mai si sarebbe discusso di una amnistia con gli indipendentisti e invece ora si è negoziata l’amnistia con un “profugo della giustizia” come Puigdemont, e ci si prepara a negoziare un referendum che spaccherà la nazione spagnola, imbrogliando così gli elettori.
A questa argomentazione si può opporre la banale ragione che in un governo di coalizione per giunta appoggiato dall’esterno da altri sei partiti nessun partito può implementare integralmente il proprio programma e che è necessario cedere a chi appoggia dall’esterno il governo anche cose importanti.
Ma l’enfasi e la categoricità con la quale il PSOE escludeva in modo assoluto l’amnistia definendola chiaramente incostituzionale depongono, agli occhi di moltissimi elettori, a favore della tesi del PP. Del resto lo hanno sostenuto anche dirigenti storici del PSOE come Felipe Gonzales e Alfonso Guerra.
Il terzo argomento è semplice a dirsi: il governo non è legittimo. A corroborare questa tesi il PP e VOX hanno convocato la mobilitazione di piazza permanente contro “il golpe”, il tradimento della costituzione, l’alleanza con i “nemici della Spagna” e così via.
Ma a sostenere questa tesi non sono solo il PP e VOX, perché il “Consejo General del Poder Judicial”, che corrisponde al nostro Consiglio superiore della Magistratura e che al contrario del Tribunal Constitucional non è stato rinnovato pur essendo scaduto da 5 anni, e che non ha potere di esprimersi sul contenuto delle leggi o sulla loro costituzionalità, i principali sindacati della Policia Nacional e della Guardia Civil che non dovrebbero mettere bocca sulle leggi e occuparsi solo dei trattamenti economici e dell’organizzazione del lavoro delle forze dell’ordine, non hanno esitato, ancor prima che la legge di amnistia venisse depositata in parlamento, a tacciarla di incostituzionalità, di essere un attacco allo stato di diritto e alla unità della nazione.
Centinaia di “fiscales” e cioè in italiano di procuratori, sono scesi in piazza davanti ai loro tribunali per protestare contro l’amnistia. Il solito documento firmato da ufficiali in congedo ha invocato l’intervento dell’esercito per destituire Sanchez.
Al di la dell’assedioper 15 giorni alla sede centrale del PSOE con scontri con la polizia da parte di migliaia di falangisti e nazisti, e di un tentativo di attacco alla sede del Congreso de los Diputados la stampa e le TV di destra, che sono largamente maggioritarie, oltre alla Conferenza Episcopale e alle immancabili organizzazioni padronali hanno preso posizioni contrarie alla formazione del governo e segnatamente alla partecipazione alla maggioranza dell’investitura di Sanchez dei partiti indipendentisti.
Tutto ciò, oltre che a mettere in evidenza il reale stato della cosiddetta “piena democrazia” spagnola, annuncia un clima politico che definire pregolpista non è esagerato, e un futuro difficile per il governo che dovrà fronteggiare una non celata opposizione del potere giudiziario, delle forze dell’ordine e degli apparati dello stato che ritengono ormai da anni di poter agire in modo autonomo in difesa della sacra unità della patria.
Per fare un solo esempio di quel che succede e che in Italia non si sa, quando la stampa ha anticipato che l’amnistia avrebbe interessato anche imputati per terrorismo (parliamo di blocchi ferroviari o stradali e simili!) privi di vittime mortali, un giudice della Audiencia Nacional (il tribunale speciale che si occupa di terrorismo) ha imputato, affinché siano esclusi dall’amnistia, Puigdemont e la segretaria di ERC in esilio in Svizzera per aver organizzato le azioni dello “tsunami democratico” del 2019 all’indomani delle sentenze contro i dirigenti del governo e del parlamento catalano.
E giacché non ci furono morti ma solo manifestazioni che bloccarono gli accessi all’aeroporto e poi ferrovie e strade, il giudice in questione non ha trovato di meglio che attribuire alla manifestazione dell’aeroporto la causa della morte per infarto di un cittadino francese, in attesa di trapianto cardiaco, in un terminal diverso da quello che fu bloccato dai manifestanti, e che venne immediatamente soccorso e trasportato in elicottero in ospedale, purtroppo inutilmente. Né la polizia, né l’ambasciata francese né le autorità aeroportuali l’avevano segnalato come vittima diretta o indiretta dei disordini con i manifestanti.
Insomma, come si vede il governo non avrà affatto vita facile giacché i poteri forti economici e istituzionali gli sono contrari.
Ma oltre a questo dato di fatto bisogna tenere conto della complessità connessa a un governo di coalizione fra un PSOE determinato, ma la cui vecchia guardia e una parte dell’elettorato e della stessa militanza non vedono di buon occhio il rapporto con gli indipendentisti baschi e catalani, e il nuovo soggetto Sumar che comprende non due o tre bensì 15 diversi partiti ed organizzazioni politiche, e con la necessità di avere sui provvedimenti importanti, a cominciare dalle finanziarie, l’appoggio di altri 6 partiti molto diversi fra loro.
Per l’investitura Sanchez ha sfoderato nel dibattito parlamentare argomenti di sinistra parlando ripetutamente contro il neoliberismo e di giustizia sociale, rivendicando come propri provvedimenti realizzati dalle ministre e ministri di Unidas Podemos che il PSOE non voleva e che ha ritardato il più possibile, ma che sono stati poi sicuramente decisivi per il risultato elettorale, ed ha dovuto ripetere pari pari le parti dei testi firmati con gli indipendentisti dove si parla di conflitto politico fra le nazioni spagnola e catalana e non di “dialogo” bensì di “negoziato”. Ha dovuto anche accettare diverse richieste economiche e di trasferimento di competenze sia dei partiti catalani sia del PNV e di Coalicion Canaria.
Non è in questo articolo che affronteremo una analisi dettagliata dello stato della sinistra di alternativa o trasformatrice che dir si voglia della Spagna. Ma, per le sorti del governo, alcune cose non possono essere ignorate.
La prima è che il PSOE, capace di trasformismi imprevedibili, é privo di una idea chiara ed esplicita del proprio paese, giacché nell’arco di poco tempo diventò da repubblicano, federalista e favorevole all’autodeterminazione di Catalunya, Euzkadi e Galiza, a monarchico, nazionalista spagnolo e contrario all’autodeterminazione. Per poi votare nel 2017 a favore dello scioglimento d’autorità del parlamento catalano e del commissariamento della Generalitat, salvo ora non parlare più di problema di convivenza in Catalunya bensì di conflitto politico da risolversi in ambito politico e negoziale.
Anche la sua collocazione come partito di sinistra, come per tutti i partiti socialdemocratici europei, è discutibile giacché è stato durissimamente liberista e amico (per non usare altre parole) delle multinazionali energetiche, delle banche e dei fondi speculativi immobiliari (nei cui consigli di amministrazione siedono molti dei suoi ex massimi dirigenti).
Ora pare disposto a svoltare, anche se controvoglia, a sinistra per necessità più che per convinzione. Sanchez, quando divenne segretario generale del PSOE, alla prima occasione nel 2015 (quando la somma dei voti di Podemos e di Izquierda Unida erano più di quelli socialisti) pur di evitare di fare un governo di coalizione con Podemos e IU firmò un programma di governo con Ciudadanos (che in campagna elettorale aveva ripetutamente definito partito di estrema destra) e chiese a tutti di sostenerlo dall’esterno.
Ovviamente senza ottenerlo. Dopo le elezioni anticipate del 2016 si dimise da segretario e da deputato per non votare l’astensione decisa dal partito che favorì la formazione di un governo del PP.
In seguito, nel 2017 vinse le primarie e riconquistò la segretaria del partito e nel 2018 organizzò una mozione di sfiducia (che nel sistema spagnolo prevede che contestualmente venga investito un nuovo Presidente del governo) e divenne primo ministro governando in minoranza per più di un anno. Nel 2020 fece tutta la campagna elettorale escludendo categoricamente che avrebbe fatto un accordo di governo con Unidas Podemos e aprendo ripetutamente a Ciudadanos salvo poi, due giorni dopo il voto, firmare un accordo di governo con Pablo Iglesias.
Al netto delle manovre e delle mediazioni che normalmente si fanno in qualsiasi sistema istituzionale e al netto delle politiche femministe e sui diritti civili, sulle quali il PSOE è coerente da sempre, è difficile dire quale sia l’ideologia e la concezione della politica che guida il PSOE e segnatamente il suo attuale segretario. O forse per descriverla si potrebbe dire: siamo pronti a dire e fare qualsiasi cosa pur di andare al governo e di rimanerci a lungo, ma potendo scegliere saremmo volentieri liberisti, monarchici e nazionalisti spagnoli.
Alle elezioni del 23 luglio Sumar ha preso meno voti di Unidas Podemos alle precedenti, nonostante abbia allargato notevolmente il numero delle forze coalizzate. Avrà un peso minore, non molto minore ma minore, nel governo.
Sumar è chiaramente sbilanciata a destra rispetto a Unidas Podemos. Yolanda Diaz, è attualmente plenipotenziaria visto che non l’ha eletta nessuno e che ha costruito programma e commissioni di lavoro come ha voluto, che ha deciso personalmente tutti i candidati e poi di escludere Podemos dalla compagine governativa, che ha nominato nel governo e nei posti decisivi di Sumar fino a quando (non si sa) ci sarà qualcosa di simile a una discussione democratica fra le forze che lo compongono, persone di organizzazioni aderenti al partito verde europeo (tranne la deputata europea Sira Rego di Izquierda Unida).
Nel dibattito parlamentare, al contrario della prassi che divideva il tempo fra le diverse componenti del gruppo confederale Unidas Podemos, Yolanda Diaz ha fatto un discorso sostanzialmente subalterno al PSOE differenziandosi su pochissime cose non importanti e confermando quindi un accordo mai discusso pubblicamente sulle armi all’Ucraina, per il quale Sanchez non ha mancato di ringraziarla per “l’assenza di dubbi”. Sumar ha già di fatto perso Podemos che si coordinerà con i tre partiti indipendentisti catalani, baschi e della Galiza, e che comunque negozierà in proprio con Sanchez sia che rimanga nello stesso gruppo di Sumar o che vada al gruppo misto.
Mas Pais, il partito scissionista di Podemos che nelle scorse elezioni prese il 2,40% e due seggi (praticamente tutti presi a Madrid) dopo aver incassato la nomina della ministra della sanità, ha già dichiarato che sarà una forza autonoma in Sumar. Analogamente faranno probabilmente altri, come Compromis ecc.
Per cui attualmente l’unica cosa che si può dire del futuro di Sumar è che non sarà un partito unico, né una coalizione sul modello di Unidas Podemos.
E quindi è difficile dire quale sarà il suo rapporto reale con il PSOE che invece ha rafforzato fortemente il profilo politico dei propri ministri ed ha mantenuto nell’incarico il discutibilissimo ministro degli interni, già giudice accusato di non perseguire reati di tortura e difensore strenuo della politica migratoria che non ha esitato a lasciar compiere una strage (in territorio spagnolo) alla polizia del Marocco, e la ministra della difesa sempre pronta a giurare sulla fedeltà democratica delle forze armate ignorando volutamente le cerimonie filo franchiste che si celebrano nelle caserme, i pronunciamenti fascisti e golpisti di ufficiali in congedo ma richiamabili e perfino di ufficiali in servizio.
L’ultima incognita è su come evolverà il negoziato con il governo catalano. Sempre ammesso che non si interrompa bruscamente per opera di un pronunciamento di incostituzionalità sull’amnistia del Tribunal Constitucional che dovrebbe avere una maggioranza progressista ma che su un tema come questo potrebbe scoprire di avere membri molto progressisti su molte cose ma non sulla natura plurinazionale dello stato spagnolo. Anche su questo tema dovremo tornare quando sarà opportuno farlo.
Come si può arguire dalla lettura di questo modesto commento non sono molto ottimista e temo fortemente che in un modo o nell’altro le aspettative che si erano aperte con il precedente governo di coalizione si chiudano ingloriosamente.
Ma se c’è una speranza che le cose pieghino al meglio questa è dovuta al fatto che in Spagna i movimenti sociali, a cominciare da quelli femminista e sulla casa, i sindacati e una buona parte dell’intellettualità diffusa non hanno mai disarmato e continuano ad essere protagonisti della vita politica del paese.
RAMON MANTOVANI
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