Oliviero Beha ci ha lasciati. Molti hanno scritto che è stato una voce “critica” nel panorama di un giornalismo italiano molto eclettico. Dalla politica allo sport, dalla cultura letteraria al teatro, passando per molte altre categorie dell’apprendimento diretto e indiretto giornaliero che viviamo o subiamo, Oliviero Beha ha commentato un po’ il mondo che lo circondava.
Con irriverenza, con sarcasmo a volte. Sempre lo ha fatto con grande sagacia. Il tono della sua voce a volte la tradiva, forse la voleva sottolineare volutamente.
Ogni volta che lo sentivo intervenire in televisione provavo a raggiungere quel momento topico che era la “stilettata” che riservava a questo o quel potente di turno, a questo o quel critico che gli capitava in studio in anche lunghi programmi di dibattiti.
Oliviero Beha è stato prima di tutto un pensatore, un uomo che ha usato la sua mente – quindi il suo animo profondo – per mettersi in connessione con la realtà e spiegarla secondo i canoni che lui riteneva opportuni; secondo, quindi, la genuinità delle sue idee.
E’ una grande lezione di stile di vita, di stile giornalistico, di stile anche politico. Dire sempre ciò che si pensa senza scadere nel turpiloquio, nell’offesa, nella commedia delle urla a buon mercato che molti commentatori utilizzano per aiutare le televisioni a fare ascolti e sé medesimi per poter essere noti al pubblico – cannibale che altro non attende se non il superamento della polemica e della dialettica nella verbosità inutile e banale della rissa.
Oliviero Beha, dunque, era un giornalista di stile romantico e sentimentale nell’utilizzo dei concetti, delle parole fluenti e mai ripetute senza un motivo: di rito era un giornalista chiaro, semplice per esposizione ma attento ai contenuti.
Anche lui, come Valentino Parlato, mi ha sempre riportato alla mente due grandi utilizzatori della penna e della macchina da scrivere: Fortebraccio e Luigi Pintor.
La naturale capacità di disarticolare il complicato e farlo arrivare anche alle menti meno avvezze ai meandri della cultura, dello sport, della politica, della vita in generale.
Grazie, Oliviero, per le tue parole, per i tuoi libri, per i tuoi scritti. A noi che ti leggevamo spesso e ti ascoltavamo sovente mancherai moltissimo. E forse mancherai anche ad un giornalismo che può tornare ad essere meno accondiscendente del potere e più sagacemente ironico e saltimbanco, per sbeffeggiare chi si crede unico e insostituibile e scopre, grazie anche a parole come le tue, di essere imperfetto, sostituibile e per niente, magari, necessario…
Addio…
(m.s.)
foto di Marco Sferini