Il “NO” nel referendum, ancoraggio democratico

L’attuale governo nasce sulla base di una operazione esclusivamente trasformista con il passaggio da un’alleanza con un partito di estrema destra seminante nel Paese odio razzistico stipulata da parte...

L’attuale governo nasce sulla base di una operazione esclusivamente trasformista con il passaggio da un’alleanza con un partito di estrema destra seminante nel Paese odio razzistico stipulata da parte del partito o Movimento ancora di maggioranza relativa in Parlamento a un’alleanza da parte dello stesso partito o MoVimento con soggetti auto dichiarati di centro – sinistra, fra i quali una forza (LeU) parzialmente frutto di una scissione avvenuta formalmente “a sinistra” del PD. Scissione nella quale erano confluiti una parte dei maggiori dirigenti provenienti dalle varie sigle succedutesi alla liquidazione del PCI (PDS, DS).

Obiettivo dell’operazione trasformistica di varo del nuovo governo: fermare l’estrema destra revanscista il cui leader, al momento dei fatti, stava chiedendo i pieni poteri comiziando da varie spiagge. Pieni poteri che sarebbero serviti soprattutto a chiudere i porti a navi sulle quali erano imbarcati i protagonisti di una assolutamente ipotetica invasione di migranti. Invasione inventata esclusivamente a uso propaganda. L’operazione di fermare questa destra pericolosa è riuscita ma a quale prezzo?

Tornando alla ferragostana formazione del governo deve essere ricordato come preliminare da parte del partner di governo direttamente proveniente dall’alleanza con la destra sia stata la richiesta al partner presuntivamente di centro – sinistra di ridurre la rappresentatività politica e il ruolo del Parlamento attraverso una riduzione “lineare” nel numero dei componenti le Assemblee legislative;

In perfetta continuità ha assunto la Presidenza del Consiglio lo stesso personaggio (mai eletto in alcuna assemblea legislativa) che aveva ricoperto il ruolo nell’alleanza imperniata sull’estrema destra.

Il governo ha mantenuto intatti provvedimenti nocivi per un’economia che si trova in una fase di grande difficoltà, oltre a quelli assolutamente liberticidi in materia di cosiddetta “sicurezza” (liberticidi non soltanto per i migranti). Provvedimenti adottati a suo tempo semplicemente per corrispondere ad un gigantesco “scambio politico” sulla base del quale nel 2018 erano state vinte le elezioni.

Nel frattempo si segnalano periodiche diaspore dai gruppi parlamentari del MoVimento ancora di maggioranza relativa : i protagonisti di queste diaspore si orientano indifferentemente di volta in volta a destra come a sinistra oppure indefinitamente verso il gruppo Misto. Si è così aperto un ampio terreno di caccia per i più vieti opportunismi. Un segnale di grande debolezza per quella che dovrebbe essere ( e non è) una nuova classe dirigente.

Il PD si è scisso per la seconda volta in pochi anni. Questa volta le scissioni (sono due, ricordiamole) sono orientate a destra. Quella attuata dall’ex-segretario e ex-presidente del Consiglio ha portato via soltanto una parte dell’ex-”giglio magico” che ha retto partito e governo nel biennio 2014 – 2016, fino all’esito negativo di un disgraziato referendum causato dal tentativo di conferma di una legge che intendeva stravolgere la Costituzione Repubblicana.

Il nuovo gruppo ha votato la fiducia al governo ma subito dopo, per ragioni di protagonismo soggettivo, ha assunto vesti di vero e proprio “guastatore” mettendo in discussione l’intero impianto su cui si dovrebbe reggere l’alleanza di governo.

Intanto una serie di elezioni regionali hanno segnato un risultato negativo per la nuova alleanza di governo. Ad ogni tornata il MoVimento già di maggioranza relativa cade rovinosamente , sia se presente in alleanza (Umbria) sia in veste autonoma (Emilia, Calabria).

Unica eccezione nella serie di elezioni regionali vinte dalla destra è rappresentata dall’Emilia – Romagna dove si afferma il PD. La vittoria del candidato del PD è arrivata grazie al combinato disposto tra un giudizio di buon governo assegnato da settori dell’elettorato alla giunta uscente e l’intervento di un movimento di piazza che, senza sviluppare alcuna analisi di sistema, si limita a chiedere un “populismo gentile”. Un “populismo gentile” che sembra già tanto a settori orientati a sinistra ma ormai privi di bussola che pensano in questo modo di veder riaperto uno spiraglio e trovano così una qualche ragione per ritrovarsi.

La tensione tra il gruppo dell’ex “Giglio Magico” e il governo è salita attorno a provvedimenti – simbolo per quella che era stata un tempo quella destra populista e personalistica raccolta attorno al conflitto d’interesse di una sola persona. Una destra populista e personalistica che aveva governato più volte l’Italia tra gli anni ‘90 del XX e il primo decennio del XXI. I provvedimenti sui quali si è aperto lo scontro in atto riguardano esclusivamente la sfera giudiziaria: prescrizione e intercettazioni. Naturalmente su istanze di carattere economico – sociale (tutte orientate, da parte del governo, in senso liberista) e di carattere internazionale non si intravedono contestazioni di sorta così come sui reiterati attentati alla Costituzione.

In soccorso al governo, in vista di un’ulteriore cambio di maggioranza se l’ex-”Giglio Magico” ritenesse conveniente sfilarsi, sembra arrivare in queste ultime ore un gruppo proveniente proprio da quella destra già populista – personalistica cui si faceva cenno. Il passaggio dal centro – destra al centro – sinistra, in un quadro che si vorrebbe(ma non è mai stato) bipolare, è ormai un classico della nostra vicenda politica, verificatosi già diverse volte a partire dall’operazione “patriottica” (gli “straccioni di Valmy”) ispirata da Cossiga e che portò alla formazione del governo D’Alema.

In queste condizioni di autentico via vai di maggioranze variabili il governo sta per impegnarsi in una enorme tornata di nomine che riguardano i vertici dei più importanti Enti di Stato.

Nel frattempo si sono succeduti quattro sistemi elettorali: Mattarellum, Porcellum, Italicum (mai utilizzato), Rosatellum, due dei quali dichiarati incostituzionali dall’Alta Corte e tutti caratterizzati (almeno parzialmente) dalla presenza di liste bloccate. Liste bloccate corte o lunghe a seconda dei casi sulle quali, così come stilate in partenza, elettrici ed elettori non hanno mai avuto la possibilità di intervenire. Si è sempre trattato di prendere o lasciare. E molte/i nel frattempo hanno “lasciato” constata l’impossibilità di scegliere i propri rappresentanti. Così come si è tentato di ridurre drasticamente il ruolo dei corpi intermedi cercando di annullare qualsiasi possibilità di mediazione sia sul piano politico, sia su quello sociale. Conta ormai soltanto la “governabilità” a qualsiasi prezzo con l’esercizio della politica ridotto all’apparizione del potere.

Si sorvola, per esigenze di economia del discorso, sui dati dell’economia del Paese caratterizzati dalla crescita del debito pubblico , da una crisi profonda della produzione industriale, da un allargamento della forbice delle disuguaglianze, da una intensificazione dello sfruttamento del lavoro la cui offerta si è fatta sempre più precaria;

La crisi della produzione industriale è ben segnalata dal numero dei tavoli di crisi presenti al Ministero dello Sviluppo economico: 150 erano e 150 restano dopo l’esperienza di entrambi i governi del trasformismo reciproco. 150 situazioni di crisi che riguardano settori decisivi della nostra economia e della nostra industria.

Si evita anche di approfondire il dato della totale inesistenza di una politica estera. Elemento ben messo in evidenza dalla totale assenza di capacità di intervento nella gravissima crisi libica. Un’assenza di politica estera che rappresenta un elemento di continuità caratteristico ormai di molti governi succedutisi negli ultimi anni.

Sul piano istituzionale il ruolo del Parlamento è stato sempre più svilito. Scarsissima la produzione legislativa (non è detto che sia un male) riduzione a ruolo di semplice ratifica, livello quasi inesistente di confronto politico.

Si è aperta una forte discussione sul tema dell’autonomia delle Regioni. Poco o nulla si discute dell’aumento del divario tra il Nord e il Sud e quasi inesistente è l’analisi circa il mutamento di funzioni dell’Ente Regione. Un mutamento progressivamente verificatosi con il passaggio da funzione legislativa a una funzione quasi esclusiva di nomina e di spesa. Nel quadro del divario tra zona e zone del Paese è ancora inesistente l’analisi sul fallimento di alcune funzioni sociali affidate appunto alla Regioni: sanità e trasporti, ad esempio, risultano in grande difficoltà in quasi tutte le regioni d’Italia salvo che in alcune “isole” del Nord. “Isole” tra l’altro governate da colori politici diversi tra loro.

A questo punto indagini di opinione compiute da istituti particolarmente autorevoli ci dicono che esiste nel Paese una massiccia maggioranza che pensa “all’uomo solo al comando”.

In queste condizioni ci si sta avviando, nel silenzio dei mezzi di comunicazione di massa, al referendum confermativo sulla legge che riduce il numero dei parlamentari: una legge che modifica la Costituzione in un punto fondamentale, quella della rappresentatività politica e territoriale della Camera e del Senato, violando palesemente la democrazia repubblicana.

Così un sistema fragile, segnato profondamente dal trasformismo, finisce con l’arroccarsi su logiche di distruttiva autoconservazione.

I rischi per la democrazia italiana, a questo punto, risultano molto alti: il No nel referendum può rappresentare un punto di ancoraggio che vale sicuramente la pena di sostenere lanciando anche un vero e proprio allarme per la credibilità di un sistema profondamente malato nel quale sembrano ormai possibili rischi di scorrerie autoritarie.

FRANCO ASTENGO

19 febbraio 2020

foto: screenshot

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