Il neofascismo si batte unendo alla libertà la giustizia sociale

Che tipo di antifascismo occorre per fronteggiare questa recrudescente ondata di violenza che sembra farci ripiombare nei peggiori anni di scontro politico dell’Italia repubblicana? E’ una domanda molto banale,...
Neofascisti picchiatori del MSI negli anni '70

Che tipo di antifascismo occorre per fronteggiare questa recrudescente ondata di violenza che sembra farci ripiombare nei peggiori anni di scontro politico dell’Italia repubblicana? E’ una domanda molto banale, però necessaria per provare ad indagare i metodi efficaci per evitare di cadere in sterili e dannose provocazioni del neofascismo militante e, al contempo, arginarne la presunzione d’essere in qualche modo legittimato dalle istituzioni democratiche.
Sappiamo bene che una legittimazione quanto meno di diritto gli deriva oggi dal concorrere alle elezioni per il Parlamento nazionale. Sappiamo bene che questa legittimazione prima ancora di essere istituzionale, nasce da un disagio sociale che è figlio di una crisi economica vasta.
Ma tutto questo non basta a dare una risposta al quesito: come è possibile ristabilire i valori costituzionali, repubblicani, quindi antifascisti, dell’Italia? Quei valori che ieri erano la normale consuetudine a cui tutti (o quasi… sennò non si spiegherebbe il rigurgito anticulturale in senso antisociale cui assistiamo oggi) facevano spontaneo riferimento e che erano intangibili quanto meno da parte dello Stato, quindi da parte di ogni ente istituzionale preposto alla difesa della Repubblica intesa come deve essere intesa: patto sociale, politico e civile per una vita dignitosa del popolo italiano.
In sostanza, senza troppi giri di parole, oggi dirsi fascisti non suscita molta indignazione: si può andare in televisione, offrire interviste giornalistiche alla carta stampata, alla radio, scrivere su Internet che, proprio in nome delle libertà democratiche, se proprio dirsi fascisti non lo si può fare con smargiassata aperta intenzione e volontà, almeno si può mettere in discussione ciò che viene ritenuto un “dogma”: l’antifascismo.
Tutte le opinioni hanno diritto d’essere esposte e ascoltate. Anche quelle, dicono i neofascisti, che sono diametralmente opposte, antitetiche e frontali all’antifascismo come insieme dei valori che hanno ispirato la Costituzione italiana e, quindi, l’insieme di regole che hanno ispirato la vita civile del Paese.
Del resto, il revisionismo antidemocratico portato avanti dai “fascisti del nuovo millennio” non nasce oggi ma ha radici antiche e proviene dalla mancata applicazione delle norme attuative della XII disposizione finale della Carta, laddove si afferma, senza possibilità di interpretazione alcuna, che è fatto divieto di ricostituzione del disciolto partito fascista sotto qualsiasi forma. ,
In sostanza non è mai stato posto un freno vero e proprio tanto all’apologia di fascismo che è elemento culturale per la rinascita, proprio negli anni del dopoguerra, di un luogo politico aggregativo degli scampati alla giustizia partigiana chiamato “Movimento Sociale Italiano”.
La Legge Scelba è del 1952 e, per quanto tardiva fosse stata la sua approvazione, era ed è tutt’oggi abbastanza chiara sul da farsi e considera riorganizzato il partito fascista “quando un’associazione, un movimento o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, principi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista.“.
Il problema è l’interpretazione sottile della norma. Interpretazione consentita dal fatto che una norma attuativa di un principio generale è sempre oggetto di cavillosità giuridiche: il principio generale è incontestabile proprio perché esprime un assoluto. Il principio particolare, per sua definizione, è oggetto di tanti particolarismi, quindi di situazioni sempre più piccole, minori e quindi i detrattori hanno gioco facile nel parzializzare una disposizione con una malafede tipica di chi vuole aggirare la Legge per farle dire esattamente il contrario di ciò che invece recita.
E così, dal 1946 ad oggi, non è stato possibile mettere fuori legge il riorganizzato partito fascista attorno ai repubblichini reduci di Salò, presieduti nel MSI da un criminale di guerra come il maresciallo Rodolfo Graziani che fece parte del partito neofascista fino alla sua morte avvenuta nel 1955.
Il responsabile di massacri in Africa e comandante dell’esercito della Repubblica fascista, fantoccio del Terzo Reich, era stato condannato a 19 anni di cui ben 17 gli vennero condonati: secondo i giudici non era poi così rilevante la sua posizione da essere ritenuta influente nel governo del fascismo repubblicano…
Il vizio della relativizzazione dei fatti, come si può vedere proviene da lontano: è frutto di tentennamenti, di compromessi continui tra politica, storia e giudizio di entrambe.
Se essere ministro delle forze armate di Salò non fosse un titolo per essere dichiarato influente nel governo dell’ultimo Mussolini, cosa poteva già allora essere considerato elemento di discrimine tra la non ricostituzione e la ricostituzione del disciolto partito fascista?
Tutto ciò ci riconduce ai dubbi dell’oggi, al come dover affrontare, da antifascisti, repubblicani e democratici il neofascismo che rialza la testa in presenza della crisi economica che genera la disperazione di cui si nutrono, da sempre, le destre estreme.
Battersi per ottenere nuovamente il pieno riconoscimento dei valori costituzionali, per una riaffermazione della Repubblica come base sociale di popolo, significa riproporre tutto quel bagaglio di vergogna che dovrebbe provare chiunque voglia tentare di dirsi fascista, di proclamarlo anche indirettamente, di infingere di non esserlo mettendosi sotto l’ombrello di una democrazia che disprezza, che utilizza, come all’epoca della Repubblica di Weimar, per far avanzare proprio l’esatto contrario: un autoritarismo protetto dai mercati, utilizzato dalle destre “moderate” per generare paura e ottenere, nella gara dei consensi, quelli maggiori.
La sinistra di alternativa non può fare conto sugli ambienti moderati e riformisti delle forze governative nella nuova lotta antifascista, che va costruita come lotta di quella parte di popolo che è l’unico popolo riconoscibile come tale, nella pienezza dei suoi diritti (proprio perché si assume tutti i doveri che gli spettano).
Solo un antifascismo che abbraccia una nuova lotta di classe, che rimette al centro delle questioni politiche il lavoro rovesciando qualunque legislazione liberista approvata in questi anni, può avere la concreta possibilità di riuscire ad unire bisogni sociali ed esigenze imprescindibili di mantenimento della democrazia formale.
Quindi, unire democrazia formale e democrazia sostanziale, ricostituire il connubio tra libertà e giustizia sociale è il punto di appoggio per una ricomposizione veramente popolare attorno ad un progetto politico nuovo, ad un nuovo rapporto con le grandi organizzazioni di massa sindacali e con quel mondo della cultura che sembra essersi sganciato dal trittico: libertà, uguaglianza, fraternità.
Sarà molto giacobino, ma a me, scusate l’ardire, piace ancora tanto.

MARCO SFERINI

23 febbraio 2018

foto tratta da Wikipedia

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