Carmelo Bene detestata l’ovvio o, per meglio dire, l’ovvietà, quindi proprio l’azione che realizza il banale, il scontato, il dato per acquisito in millenni di deliri disumani; tali proprio perché terribilmente umani. Forse avrebbe criticato anche queste parole scritte: ed avrebbe fatto bene, perché la passività è spesso acquiescenza, rassegnazione, irreprensibilità mediocre e finta che tenta di mostrarsi come paga accettazione dell’esistente e di tutto ciò che ne concerne.
Ma, seppur nella parte piena (e quindi anche tanto vuota) del mio cranio si muovano tanti pensieri forse più sensati, abituati ad obbedire al caro buon “senso comune” che ogni persona cerca in ogni frangente della incomprensibilità dell’esistenza, oggi vorrei provare ad essere meno politico, almeno in apparenza. Vorrei essere meno civilmente impegnato; meno civicamente osservante quella disciplina quotidiana del ben pensare e del ben agire, per il caro “bene comune“, inteso strettamente anche come luogo comune da retoricizzare qua e là tra teorie, pensieri, elucubrazioni e inganni della mente. Per riempire delle frasi e magari niente più.
Per una volta, come diceva Carmelo Bene, parliamo del niente. O forse del tutto. O forse di qualcosa che si allontana dal tutto ma non arriva proprio diretto al niente. Parliamo della nazionale di calcio italiana e della sua vittoria agli Europei 2020 (ossia 2021). Ma ne parliamo senza agitarci in improbabili commenti tecnici, in analisi di questo o quel passaggio, in recriminazioni su questo o quel controllo della Video Assistenza Arbitrale (in english: “VAR“).
Sinceramente mi interessa di più notare ancora una volta come, davanti a spettacoli di carattere “nazional-popolare“, dove il coinvolgimento è, per l’appunto, massificato e dove ci si sente più o meno quasi un po’ tutti coinvolti. Ogni volta che l’Italia assiste ad un evento di questo tipo, si tratti del Festival di Sanremo o degli Azzurri che scendono in campo, le tifoserie si scatenano. Ma non quelle prettamente calcistiche, no. Quelle fanno la loro parte – nonostante la variante Delta del Covid – fuori e dentro gli stadi, nei salotti casalinghi, per le vie e le piazza dello Stivale. Tutto mediocremente normale fino a qui.
Le tifoserie peggiori sono quelle della saccenteria politica: sono quelle di chi si reputa così criticamente coscienzioso, altamente istruito sui suoi compiti di rivoluzionario (forse) di professione (forse pure questo…), da stigmatizzare quelle comuniste e quei comunisti che tifano per la propria squadra di campionato e, peggio del peggio, per la Nazionale. Secondo questi puristi del pensiero e azione di un marxismo rigidissimo nella sua applicazione giornaliera, noi, che scriviamo qualche post su Facebook che inneggia all’Italia della sfera che rotola in campo, niente altro saremmo se non dei finti rivoluzionari, dei compagni da operetta immorale, pronti a deflettere sulla tenuta della coscienza di classe.
Colpevoli due volte, agli occhi degli ottusi di una irreprensibilità patetica quanto dogmatica e veramente anti-marxista: eh sì, colpevoli una prima volta perché pretendiamo di mantenere anche noi quella criticità senza se e senza ma al pensiero unico, al mercato, al capitalismo liberista, pur scadendo nel nazionalpopolarismo del tifo calcistico, opium des volks al pari delle religioni; colpevoli una seconda volta, e doppiamente pure, perché consapevoli della contraddizione che – è proprio il caso di dirlo – mettiamo in campo autogestendocela in tutto e per tutto.
Ossia, chiariamo, noi marinai sprovveduti in una odissea di sconfitte politiche, sociali e consegnate alla storia da tempo oltre che ad una attualità del presente tutta scrivere, in costante divenire, dirigiamo la nostra barchetta tra le secche del pensiero comune, pur sapendo che è male, che non s’ha da fare per poter essere considerati dei veri marxisti e comunisti a tutto tondo.
Quelli che si chiudono nella loro torre d’avorio dell’incorruttibilità (per niente giacobina, ma molto cretina invece) e sentenziano che coscienza di classe e visione critica del mondo non possono andare di pari passo con la passione per una squadra di calcio, ci accusano: caspiterina, sapete che i giocatori guadagnano milioni di euro, che all’Europeo hanno avuto come premio partita 250.000 euro e che un operaio quei soldi non li mette da parte nemmeno nel corso di dieci vite… E nonostante tutto, voi, tifate per l’Italia? L’Italia che non si inginocchia per aderire al movimento mondiale del “Black Lives Matter“; l’Italia che poi lo fa solo per solidarietà (capisca chi può…) nei confronti della squadra che deve affrontare, e così via…
Insomma, care comuniste e cari comunisti tifosi, siete degli sciocchi. Perché anche se vince l’Italia non cambia nulla. Mica scatta l’interruttore della rivoluzione e nemmeno si modificano le coscienze impalpabili di milioni di italiani che voteranno ancora Salvini, Meloni, PD, Cinquestelle. Tutto tranne la sinistra antiliberista.
Li sento già i soloni irreprensibili nella loro torre d’avorio fatta di pareti puristiche: è colpa anche vostra (cioè nostra). Dovreste boicottare questi eventi che distraggono le masse dal vero obiettivo rivoluzionario, le allontanano da una presa di consapevolezza che – invece – se non guardiamo le partite o se non tifiamo per nessuna squadra, salirebbe vertiginosamente e sarebbe pure il trampolino di lancio di chissà quali consensi sociali da un lato ed elettorali dall’altro.
Questi profeti della salvazione dell’anima politica, tutti teoria e pratica di una esegesi del marxismo che contraddice la dialettica stessa della vita umana, soffrono più che altro di caratteracci introversi e di introspezioni così profonde da perdersi dentro sé stessi, ritenendosi il centro della morale politica, della giustezza dei comportamenti per portare avanti un vero spirito di classe, un vero modo d’essere comunisti senza farsi inquinare dalle tentazioni del capitalismo. Calcistiche, economiche, politiche che siano.
Non si rendono conto che sono soltanto degli stupidi, perché nel rigettare quella impurità che scorgono nell’essere al contempo anticapitalisti e tifosi dell’Italia agli Europei o, perché no…, ammiratori del Festival di Sanremo, non permettono alla gente di comprendere le ragioni di questa scissione, di questo mantenimento di una presunta “diversità” che lo è solo a parole e che nei fatti è ortodossia. Una fattispecie di ermetismo elitario ed esclusivista che si rivolge, davvero profeticamente, a pochi seguaci che non si fanno corrompere dalle tentazioni del mercato.
Vorrei rassicurarli: disprezzo il calciomercato, penso che vadano rivisti tanto i premi partita quanto i contratti milionari dei giocatori. Fosse per me guadagnerebbero poco più di un metalmeccanico (magari aumentiamoli un po’ i salari degli operai…). Ma tutto questo non c’entra con la lotta di classe, con la critica al sistema capitalistico, con l’antiliberismo e il comunismo.
Non c’entra nulla. Perché se una squadra vince o perde, ciò cambia soltanto le quotazioni dei giocatori nelle compravendite successive e le quotazioni di borsa delle società stesse di calcio. Ma tifare per l’Italia agli Europei e lasciarsi trascinare dalla passione non deve essere un senso di colpa istillato dai sacerdoti di un comunismo tradizionalista, conservatore e osservante la liturgia più ferrea sostituendo la visione della partita con un film sulla ricerca scientifica nell’Unione Sovietica degli anni ’50.
Sono pure sprecate tante parole per queste compagne e questi compagni che, alla fine, altro non sono che dei simpatici, cialtroneschi idioti. Sia detto, appunto, con grande simpatia ma con molta poca stima. Soprattutto politica.
Intanto, l’Europeo l’abbiamo vinto! Tiè!
MARCO SFERINI
13 luglio 2021
foto: screenshot tv