Sembra ieri e invece sono già passati dieci anni dalla notizia, atroce, che informò il mondo che Vittorio Arrigoni era stato ucciso dai suoi sequestratori, «salafiti» di Gaza venuti dal nulla solo per compiere il loro crimine. Nella notte tra il 14 e il 15 aprile del 2011 si spense la voce italiana di Gaza, ciò che Vittorio rappresentava da quasi tre anni, privando migliaia di persone delle informazioni che regolarmente ricevevano ogni giorno da quel fazzoletto di terra palestinese.
Il nome di Vittorio era divenuto noto ovunque tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 quando – grazie anche i suoi articoli pubblicati dal nostro giornale e raccolti nel libro “Restiamo Umani” – raccontò giorno per giorno le conseguenze per i civili dell’offensiva israeliana «Piombo Fuso». Abbiamo intervistato sua madre, Egidia Beretta, esponente della sinistra in Lombardia, con la quale Vittorio condivise ideali e scelte politiche, e che gli ha dedicato un libro: “Il Viaggio di Vittorio”.
Egidia, sappiamo non vuoi rispondere a domande sul sequestro e l’uccisione di Vittorio e sul successivo processo giudiziario. Parlaci di lui nei mesi precedenti all’assassinio, del rapporto con la famiglia in quel periodo.
All’inizio del 2011 Vittorio era molto impegnato con i ragazzi che manifestavano nella Striscia di Gaza (contro il blocco israeliano e i dirigenti politici palestinesi, ndr). Aveva anche aderito al loro manifesto. Però il suo cuore in quei giorni, in quei mesi era qui a casa. Perché il papà si era ammalato e lui fremeva, voleva essere con noi per condividere la preoccupazione di quella situazione. Intendeva tornare per essere vicino a suo padre, per prendersi cura di lui e dirgli tutto quell’affetto che entrambi non erano riusciti ad esprimere prima. E che lui condensò in una lettera che mi spedì la notte del 17 febbraio, quando il papà doveva essere ricoverato il giorno dopo. Quella lettera non la lessi. Sapevo che era qualcosa di intimo e quando Ettore (il padre, ndr) la lesse si commosse profondamente. Vittorio avrebbe voluto tornare ma la situazione era turbolenta in Egitto e lo sconsigliai da colpi di testa. Perciò si affidò alle nostre notizie e quando seppe che l’operazione del padre era andata bene, esplose in un grido di gioia. Mi disse che sarebbe andato subito a festeggiare. Con che cosa gli chiesi. Lui rispose con pollo e riso, quello che ci possiamo permettere qui. Vittorio intendeva uscire (da Gaza). Pochi giorni prima che venisse rapito e ucciso aveva programmato il giorno e gli orari di un viaggio in Sicilia.
Quando hai avuto l’ultimo contatto con lui.
La domenica (prima del rapimento), di solito ci sentivamo quel giorno. Parlammo ancora del padre e non mi manifestò particolari preoccupazioni.
Facciamo un salto all’indietro nel tempo. Alla tua relazione con Vittorio che è sempre stata speciale.
Ho imparato subito che i figli non ci appartengono. E ho lasciato che i miei seguissero le proprie inclinazioni. Di Vittorio ho intuito subito l’irrequietezza della sua anima. Il suo bisogno profondo di conoscenza, di viaggiare, dell’incontro. Ero solidale con lui e quando ci chiese di aiutarlo ad organizzare il primo viaggio, aveva 20 anni, così facemmo. Anche i viaggi che ha compiuto in Europa dell’Est, in America latina, li ho condivisi. L’amore che avevamo entrambi per la scrittura e la lettura ha fatto in modo che nascesse tra noi una empatia che si è sviluppata per tutta la vita di Vittorio. Era qualcosa che trascendeva l’amore tra madre e figlio e tra figlio e madre. Siamo stati molto legati e devo dire che è ancora così. Anche se Vittorio non c’è più, il legame spirituale esiste ancora.
Vittorio ha abbracciato diverse cause. Perché a un certo Gaza è diventata così importante per lui.
Uscito da Gaza nel settembre del 2009, Vittorio cominciò a girare l’Italia da nord a sud (per incontri pubblici e seminari) e intuì come ci fosse una grande fame di conoscenza su quello che avveniva in Palestina. Lui che ne era stato testimone e ne aveva scritto, comprese che (quei seminari) erano un modo per aiutare quella conoscenza e per rendere concreto il suo bisogno innato di solidarietà e di amore verso gli oppressi. Gaza era il luogo dove lui poteva esprimere tutto questo. Di Gaza diceva questo è il posto giusto, il momento giusto per lottare per la libertà. In fondo la libertà, la pace, i diritti umani, la giustizia sono stati il motore che ha mosso tutta la vita di Vittorio. Ha contato molto il grande rispetto che lui aveva per il popolo palestinese che descriveva come orgoglioso, legato alla propria terra, desideroso di libertà. E quindi non mancò l’occasione di tornare dai fratelli gazawi.
Oltre che per il suo impegno politico, Vittorio si è fatto notare anche per le sue doti di scrittura.
Era così sin da bambino, dai temi che lui scriveva (a scuola) su argomenti anche complessi. Aveva sempre in mano la penna. Sapeva tradurre in parole i sentimenti che lui provava, ci faceva piombare nelle situazioni che lui aveva vissuto ma sempre con una penna colma di pietas anche quando raccontava cose atroci. Ciò che Vittorio ha lasciato scritto e le sue testimonianze sono un tesoro da salvaguardare. Spero di poter ricominciare a raccontare di lui appena sarà possibile tornare a viaggiare. So quanto la vita di Vittorio sia stata importante per tanti giovani che seguendo la sua scia hanno fatto scelte coraggiose.
MICHELE GIORGIO
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