“Se tutti dicono di non votare Berlusconi, chi è che lo vota?“, oppure: “Come fanno gli operai a votare Berlusconi?“. Sento ripetere come un mantra queste domande da quando avevo 5 anni, specie da chi, a sinistra, ha sempre osteggiato Berlusconi, fosse un semplice elettore o un politico vero e proprio.
C’era e c’è ancora in quelle parole stupore misto ad autocommiserazione: come possono interi pezzi di classi sociali sofferenti, marginali o ai limiti della povertà appoggiare un politico-imprenditore che si propone di soddisfare interessi di segno opposto rispetto a quelli delle classi più in difficoltà? Come possono sostenere chi promette di tagliare le tasse ai ricchi o di ridurre stato sociale e tutele dei lavoratori? Come può chi in passato votava PSI o addirittura PCI votare adesso quello che sarebbe stato un perfetto democristiano di destra corrotto fino al midollo?
La risposta, che la sinistra di allora non ha voluto o saputo darsi, credo risieda nel fatto che questo paese, anche grazie a e soprattutto dopo la “discesa in campo” di Berlusconi, paghi un’egemonia culturale di destra, alimentata in quegli anni sia dal successo ottenuto dalla televisione privata di proprietà proprio di Berlusconi, grande strumento per la sua propaganda politica, sia dallo sdoganamento dei (neo)fascisti, fino ad allora rimasti ai margini della politica italiana e che grazie a Berlusconi addirittura governeranno l’Italia, paese antifascista, per quasi vent’anni.
L’egemonia culturale di destra è esattamente quella che porta a pensare, magari anche quelli che di destra non sono o non si dichiarano, che per vincere le elezioni bisogna sfondare al centro, o che la tassa sulla prima casa (solo) per i ricchi sia un’ingiustizia, o che il povero, forse, è tale per sue colpe e che quindi la povertà non potrà mai essere sradicata dalla società, o che l’immigrato, in fin dei conti, sia un po’ meno uguale di noi italiani, o che l’identità di un popolo, anche quella, come la povertà, non possa essere cancellata, ché il popolo è un blocco unico con le sue radici (rigorosamente giudaico-cristiane, e se magari sei ateo inizi a mettere in dubbio l’effettività del tuo ateismo oppure manifesti una certa subalternità rispetto al pensiero cattolico o alle istituzioni ecclesiastiche (come i cosiddetti atei-cristiani).
Insomma, l’egemonia culturale di destra è quella cosa che si nutre di fascismo, classismo e clericalismo e che consente alle forze moderate e/o fasciste di spaccare il fronte dei lavoratori, indebolendo i movimenti progressisti o rivoluzionari di un paese. Forza Italia, in questi giorni, si sta rivelando per ciò che è e che è sempre stato: un partito liberista e cripto-fascista; quello, per intenderci, che faceva accordi con un dittatore sanguinario come Gheddafi perché impedisse a migliaia di profughi di partire per l’Italia in cerca di un futuro migliore, magari sottoponendoli a torture indicibili o facendoli uccidere senza pietà.
Problemi di coscienza? Macché! L’Italia non aveva e non ha problemi di distribuzione della ricchezza, di disoccupazione, di mafia, di corruzione, di conflitto di interessi, di evasione fiscale, di crescenti impossibilità a curarsi per tantissime famiglie; il problema dell’Italia erano e sono “le bestie straniere” (vero toti?) che ci ruberebbero il lavoro, oltre ai soliti “poveri comunisti”. Questa egemonia, purtroppo, è oggi ancora molto forte e viene addirittura consolidata dai cosiddetti democratici, gli “eredi” di Gramsci, Berlinguer e Moro, i “paladini” dell’antifascismo, quelli dei decreti Minniti-Orlando o delle aggravanti inventate basate sul colore della pelle di chi delinque.
La sinistra, per imporsi, ha bisogno di riprendere la lotta per l’egemonia anzitutto culturale. Non può esserci anticapitalismo né antiliberismo senza un serio e penetrante antifascismo e anticlassismo e senza una continua lotta per la laicità. Altrimenti ci ritroveremo ad essere governati per chissà quanti decenni da tanti toti e salvini.
ANTONIO MOSCA
3 giugno 2017
foto tratta da Pixabay