Rieccoci. Riaffiora il tormentone della privatizzazione della Rai. Questa volta ad opera del ministro Calenda. Ma ancora una volta la questione è mal posta. Vediamo perché la sua idea non funziona.
Almeno per cinque ragioni.
Primo: il servizio pubblico esiste con proprietà pubblica in tutte le democrazie occidentali.
Secondo: si parla di privatizzare trascurando sempre un fatto essenziale, e cioè l’esistenza di Mediaset e delle sue reti, tre generaliste, altre otto digitali free più una ventina pay (in tutto fanno una trentina, che insieme alla quindicina della Rai, vanificano l’idea stessa di mercato).
Terzo: occuparsi solo della Rai senza tenere conto del sistema tutto è un vizio in cui cascano in tanti, a destra, al centro e a sinistra. Non si aumenta la concorrenza privatizzando completamente la Rai (vedi punto quinto).
Quarto: la proposta è errata anche quando la si guarda dal punto di vista liberale perché si trascura l’oligo-duopolio del mercato nazionale delle televisioni, che non si sbloccherebbe privatizzando la Rai ( vedi sempre punto quinto).
Quinto: nell’ipotesi di tutte le reti Rai in mano ad un privato si riproporrebbe, mutatis mutandis, l’assetto che conosciamo. Mentre nell’ipotesi di una-due reti Rai ai privati avremmo il gigante Mediaset pronto a fare la parte del leone con le sue trenta reti e la sua macchina pubblicitaria. Ergo: rischieremmo di passare dal duopolio al monopolio. E’ questo che vuole il liberale Calenda?
Sesto ed ultimo punto: le soluzioni che vogliano aprire sul serio il mercato vanno cercate nella direzione di:
- separare la Rai dai partiti,
- nel disarmo bilanciato che sfoltisca l’etere riducendo i canali Rai e quelli Mediaset,
- mettendo un limite alla raccolta pubblicitaria nel sistema informativo.
Altrimenti, ministro, di cosa vogliamo parlare?
GIANDOMENICO CRAPIS
foto tratta da Flickr su licenza Creative commons