Il Manifesto, un amore complicato lungo 50 anni

1986, mi iscrivo alla facoltà di filosofia a Roma, lettore, da provinciale catapultato nella capitale, della bella edizione romana del Corriere della Sera. Un giorno casualmente mi imbatto ne...

1986, mi iscrivo alla facoltà di filosofia a Roma, lettore, da provinciale catapultato nella capitale, della bella edizione romana del Corriere della Sera. Un giorno casualmente mi imbatto ne Il Manifesto, non lo lasciai più. Questo giornale fronteggiava con un linguaggio complesso la mia inclinazione burocratico-partitica che coabitava con lo spontaneismo politico e con un gusto estetico attraversato da una pretesa di ordine. Mi aiutò al contempo ad individuare la mia identità di comunista critico con venature libertarie che all’epoca non riuscivo a definire con chiarezza.

E’ certo che il corpo sociale è sempre infinitamente più ricco di energie di quanto la politica non possa esprimere, ma per usarle deve produrre una mobilitazione e una strumentazione adeguate all’impresa.

A tal proposito Il Manifesto si è sempre configurato non solo come mezzo di comunicazione ma anche come punto di riferimento di una linea politica e di un progetto per farlo vivere collettivamente o trarne almeno un agire simile. Un luogo non solo di confronto ma anche di orientamento.

Giornale di formazione e occhio instancabile su ciò che di nuovo possa emergere nella nostra società: fermenti culturali, movimenti di opinione, riconoscimento di nuovi diritti, lotte per l’ambiente, la tutela dei beni comuni, per il lavoro, lo studio.

Un giornale davvero libero che incrementa la libertà dei lettori aiutandoli ad orientarsi nel marasma del secondo novecento e dell’inizio millennio. Un giornale che descrive il reale stato delle cose e che sa interpretarlo . Il lavoro intellettuale come argine delle emozioni e delle cadute ideologiche, l’amore per la complessità e non la semplificazione. La complessità che non si scioglie in una opinione ma cerca una visione che tutto tiene insieme. La capacità d’intreccio nelle lotte, la necessità di unire le lotta dei movimenti ecologisti e femministi a quella operaia al fine di evitare l’isolamento gli uni dagli altri ma anche per garantire una salto di qualità della classe operaia oltre lo statalismo l’economicismo per costruire un nuovo tipo di socialismo. Unire le lotte per rovesciare il modello che crea e alimenta disuguaglianze sociali, di genere, territoriali e di distruzione del pianeta.

Scegliere non per obbedienza ma comprendendo i fatti. Una voce elitaria, raffinata, indipendente, espressione della migliore cultura borghese, legata ai fatti più ancora che quello che avrebbe voluto che fossero i fatti.

Uno strumento di battaglia e conoscenza. Capire per fare, sapere per poter cambiare, cioè giornale e progetto politico uniti in una idea del mondo e del paese.

La capacità di individuare la dimensione politica dei fatti, l’intelligenza degli avvenimenti anche verso l’effimero del quotidiano, traendone una traduzione e una lettura generale. La giornata non è la giornata del governo se non nella sua connessione con la giornata personale-politica del lettore.

Il giornale prende la parola sulla realtà per farne un disegno comprensibile e una mappa per l’agire con l’ambizione di darla quella parola a che ne ha troppo poca, ai diseredati del linguaggio politico aiutandoli ad essere soggetti parlanti in coro o di persona.

Mai piegato alle convenienze della contingenza storico-politica e all’ortodossia, lascito di una fondazione avvenuta sulla base della non fedeltà a una linea che lo ha in modo naturale sempre collocato dalla parte del torto.

Mai distratto sulle diseguaglianze con l’incessante impegno di denunciarle e contrastarle evidenziando le disparità nel nostro paese e nel contesto internazionale, dando la voce a chi sta ai margini.

Si sente parlare speso di diseguaglianze ma questo è un concetto che indica una differenza astratta; in realtà le disuguaglianze sono ingiustizie in cui risuonano la carne ferita, la vita offesa. Alla base di ogni diseguaglianza c’è sempre una ingiustizia, una differenza non solo quantitativa ma qualitativa. Le vite di serie b sono così ingiuste da essere non solo retrocesse ma dimenticate, quando non oppresse o soppresse. Penso ai migranti, ai poveri, alle minoranze, ai diversi. Come se parlare di diritti fosse una cosa datata, come se un certo grado di ingiustizia sociale sia la condizione necessaria del cosiddetto sviluppo, parola ambigua, funzionale al mantenimento del sistema.

Un giornale comunista nel senso della accezione marxiana di radicale, dello scavare in profondità fino alla radice delle cose. Un fiero pensiero critico migliore di qualunque immaginaria coerenza ideologica. La parola comunista è stata fraintesa e infangata. Non significa un regime e meno che mai un regine soffocante delle libertà ma l’esatto contrario. E’ un modo di pensare il mondo e il rapporto tra le persone e tra gli uomini e donne, oggi ancora dominati dalla prevaricazione, tra i valori di un mondo moribondo e quelli di uno che stenta a (ri)nascere. Ma i padroni del mondo hanno ancora tanto potere e tante armi per uccidere e dominare i cervelli.

Il manifesto fu uno degli artefici della frantumazione di tutte le rigidità ideologiche del mondo bipolare mettendo in crisi il conservatorismo delle classi dominanti sia dell’occidente che del blocco sovietico che da noi prese il nome di contestazione e al di là della cortina di ferro di dissenso. Fu osteggiato dall’una e dall’altra parte, persino in casa, penso al Partito Comunista Italiano; sapere che qualcuno che formula determinate critiche e osservazioni o proposte ha sostanzialmente ragione ma bisogna comunque dargli torto. E’ sempre stato pericoloso avere ragione specialmente in anticipo.

In definitiva è rimasto l’unico quotidiano ad esprimere quella tendenza di sinistra che vuole mantenere aperta la critica al modello economico dominante, ricercare proposte per una alternativa tentare, non riuscendovi , di salvare la sinistra dalla negazione di se stessa. Il dramma attuale è che quella che si chiamò sinistra ha in grande misura rinunciato al suo essere, (che è la critica della realtà sociale) per ottenere un posto a tavola (e di questo banchetto ne muore); il Manifesto invece continua a vivere perché a questa rinuncia non ha ceduto rimanendo il punto di riferimento per tutti coloro che sanno di essere di sinistra mentre la sinistra si sgretola e si smarrisce decennio dopo decennio.

Forse meglio sarebbe cominciare ad andare a cercare la sinistra anche dove ancora non sa di esserlo, tra gli impoveriti, i delusi, gli esodati, i risentiti, gli accigliati

Non so quante attività avrebbero resistito con una cronica esilità strutturale, i ricavi sempre insufficienti, gli stipendi a singhiozzo, i sussidi sempre più ridotti. La cosa che tenuto in piedi Il Manifesto è una alchimia intellettuale che ha a fare con la tensione ideale, il rigore intellettuale e la sua funzione politica legata alle originarie ragioni fondative. Questo giornale non ce l’avrebbe mai fatta ad andare avanti per così lungo tempo se fosse stato un solo e semplice quotidiano.

LUCA PAROLDO BONI

15 luglio 2021

foto tratta dalla pagina Facebook de “il manifesto”

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