Il lavoro che non c’è

Questa la notizia di oggi: “Lavoro, licenziamenti in aumento del 7,4 per cento”. I dati del Ministero sul secondo trimestre 2016, un milione e mezzo di cessazioni dovute alla...

Questa la notizia di oggi: “Lavoro, licenziamenti in aumento del 7,4 per cento”.

I dati del Ministero sul secondo trimestre 2016, un milione e mezzo di cessazioni dovute alla fine di contratti a tempo determinato. In crescita dell’8 per cento le chiusure di contratto promosse dai datori di lavoro. Le assunzioni a tempo indeterminato in calo del 29 per cento

Chi opera concretamente nel mondo del lavoro aggiunge: adesso arriveranno i licenziamenti degli stagionali…

Al momento dell’entrata in vigore del job act il governo dichiarava: “L’obiettivo primario del Jobs Act è creare nuova occupazione stabile. Il contratto a tempo indeterminato diventa finalmente la forma di assunzione privilegiata.”.

All’epoca c’era chi, considerato gufo, obiettava: nel job act non manca semplicemente l’indicazione relativa al reperimento delle risorse per investimenti. Non c’è proprio una minima intenzione di rovesciamento di tendenza rispetto al gigantesco processo di diseguaglianza prodotto nel Paese nel corso degli ultimi dalla gestione del ciclo capitalistico, del processo di finanziarizzazione dell’economia, di speculazione avvenuta sulla base di meccanismi di corruzione. Non c’è nemmeno la pallida idea della patrimoniale, che pure rappresenterebbe in questa fase poco di più di un semplice palliativo. Resta intatta la sostanza degli elementi di costruzione dell’egemonia liberista e non si ravvede nessuna avvisaglia sul terreno della solidarietà e dell’eguaglianza. Ergo eventuali finanziamenti dei processi previsti dal documento dovrebbero provenire dalla solita fonte dei soliti tartassati.

E si aggiungeva: il tessuto produttivo nazionale attraversa, da anni, una crisi strutturale che condiziona l’economia del Paese e non si riesce a varare una efficace programmazione economica, all’interno della quale emerga la capacità di selezionare poche ed efficaci misure, in grado di incrociare la domanda di beni e servizi e promuovere una produzione di medio e lungo periodo.

Appaiono, inoltre, in forte difficoltà anche gli strumenti di rapporto tra uso del territorio e struttura produttiva, ideati nel corso degli ultimi vent’anni allo scopo di favorire crescita e sviluppo: il caso dei distretti industriali, appare il più evidente a questo proposito.

Da più parti si sottolinea, giustamente, il deficit di innovazione e di ricerca.

Il risultato del job act appare assolutamente disastroso, le osservazioni svolte in partenza e qui sommariamente riportate del tutto plausibili, se non profetiche.

Un governo che fallisce completamente la politica economica e attacca la democrazia: questo il risultato politico concreto di due anni di decisionismo e di “politica del fare” targata PD.

FRANCO ASTENGO

redazionale

10 settembre 2016

foto tratta da Pixabay

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