Da Muenster a Londra, da Parigi a Nizza. E ora Vienna. La violenza jihadista disegna una cartina del terrore che abbraccia l’intera Europa, quanto meno il suo motore economico pulsante e paesi che non sono di periferia nell’Unione ma protagonisti di politiche interne ed estere dirimenti, spesso e volentieri quelle che dettano la linea agli altri Stati membri.
I riferimenti al Daesh, alla lotta contro i crociati cristiani, sono forse marginali se osservati in un contesto di queste fattezze: eppure lo divengono sempre meno se si riflette su come l’Occidente si è disposto, proprio militarmente, aggressivamente, nei confronti del Medio Oriente, dell’Africa e ha ricolonizzato antichi territori divenuti nel corso del Novecento indipendenti, sovrani e capaci di gestire le loro ricchezze trattando con quelli che sono stati i due blocchi fondamentali nel mondo fino al 1989.
Gli attentanti di Vienna sono messi in opera da jihadisti noti ai servizi di sicurezza austriaci: sono una novantina di persone, di varia orgine, alcuni persino autoctoni, che avevano manifestato su Internet e anche pubblicamente il desiderio di recarsi in Siria e ridare sostegno alla milizia del califfato nero che, almeno territorialmente parlando, non esiste più.
L’Europa ora si sente minacciata, osservata speciale di una nuova ondata di recrudescenza jihadista: nel mezzo della pandemia da Covid-19, un altro virus intacca le democrazie liberali, le destabilizza. Può essere che i terroristi abbiano scelto come alleato in questa lotta proprio il coronavirus, sapendo bene che tutti gli sforzi e tutta la concentrazione tanto dei governi quanto delle persone, dei cittadini comuni, sia immessa nella lotta al patogeno che girovaga e dilaga ovunque.
Il momento non è dei più semplici: l’Europa è una zona felicemente infelice del mondo. E’ scevra da conflitti armati ma è in perenne lotta con sé stessa per comprendersi, per decidere se essere più liberista o più sociale, meno monetarista e più popolare, divisa tra euroscettici e euroconvinti, con alle spalle l’ancora visibile spettro della Brexit e davanti un cammino tutt’altro che tranquillo.
Il fatto che gli jihadisti abbiano deciso di intensificare, anzi di riprendere proprio, gli attacchi quasi simultanei in diverse parti del Vecchio Continente, potrebbe essere frutto tanto di un regia, di una organizzazione seppure minimale e ridotta all’osso dopo la fine dello Stato islamico (sebbene alcune cellule permangano in Libia e in alcune zone controllate da Boko Haram in Nigeria e Camerun), oppure potrebbe essere frutto di una progressiva emulazione, di una incitamento indiretto all’azione sulla scorta di quanto avvenuto in Francia.
Potrebbe però trattarsi anche di azioni scollegate tra loro, frutto di coincidenza, ma questa è francamente la tesi meno probabile, anche se non del tutto da scartare.
Ogni volta che il fenomeno terrorista rimette piede pesantemente nella quotidianità delle nostre vite, ci si domanda come possa nascere, evolversi e trasformarsi in cruda macelleria di persone innocentissime, la cui esistenza viene troncata senza un motivo: chi diviene bersagio dei fanatici adoratori del Daesh o, genericamente, della lotta per la guerra delle guerre, quella contro gli infedeli, non è quasi mai una categoria di soggetti accomunati da stili di vita, da pensieri, da scritti o da culti.
I terroristi, è vero, scelgono come obiettivi persone e luoghi religiosi: preti cattolici e ortodossi, chiese e sinagoghe, ma anche luoghi affollati, solamente perché grandemente frequentati, dove la strage può avere più risonanza perché può causare un numero immane di vittime.
Due sono pertanto gli obiettivi criminali di questi scriteriati: altezza della simbologia e grandezza dei numeri. Si sterminano i giornalisti di “Charlie Hebdo” e si uniscono questi due paradigmi. Un giornale simbolo della laicità repubblicana francese, del diritto alla critica feroce e sarcastica, ironica e satirica, grande per diffusione dal cuore di Parigi al resto della Francia.
Si prendono di mira ristoranti e pub, come il Bataclan che da “sala di spettacolo” diviene emblema dell’orrore nella notte del 13 novembre 2015. Oppure si ammazza ferocemente un giovane insegnante, per strada, alla luce del giorno, per esemplificare il fatto che nessuno deve ridere del profeta, anche se non ne ride, se per mestiere diffonde la cultura e mostra ai suoi ragazzi in classe quelle vignette che sono dentro la storia dei primi attentati terroristici jihadisti moderni scatenati nella Ville Lumiere.
L’avanzata della radicalizzazione estremista religioso-politico-sociale è l’effetto di una mancanza di altre solide idee che anche nel nuovo millennio avrebbero potuto costituire un collante solido per milioni di persone: un comune sentire che avrebbe impedito a molti di loro di gettarsi nelle braccia nerborute e tristemente avvolgenti della trappola jihadista. La tanto celebrata “morte delle ideologie” ha avuto come prodotto anche questo: un effetto di disorientamento per molti proletari e sottoproletari che si sono lasciati sedurre dal messaggio intransigente della lotta armata, della lotta contro il nemico occidentale.
Una lotta fatta non nel nome del progressismo, della reciproca crescita sociale attraverso la valorizzazione delle differenze, ma al contrario respingendo ogni dialogo con le alterità e reprimendole, creando degli assoluti che sono muri contro muri, frontiere addosso ad altre frontiere: di prevenzioni altezzose, al pari dell’altezza cui si pone iddio, dove si collocano i suoi rappresentanti terreni; di pregiudizi che sono il fertilizzante più congeniale per la crescita di malepiante dalle radici profonde.
Sedimentano nei contrasti secolari tra le civiltà e sono coccolate e ben accudite da un capitalismo che ha tutto l’interesse a divere poveri orientali e poveri occidentali, mostrando loro che la vera guerra è orizzontale nella società e non verticale mediante la lotta di classe.
La riproposizione sulla scena europea di un rinnovato sentimento di classe, di una coscienza frutto tanto delle condizioni di disagio e sfruttamento quanto ispirata da un ripristino ideologico, sarebbe un buon argine al terrorismo, questo sì ideologico, e presuntuosamente ispirato da una sacralità sacrilega, da un teismo che pretende di rappresentare a trecentosessanta gradi.
Ci salveranno nuove volontà fondate su nuove coscienze, grazie a nuove ideologie che si richiamano al senso di giustizia sociale e alla necessità di una uguaglianza che non può non ritornare nella storia dell’umanità data, oggi, come presente che si trasforma sempre più rapidamente.
MARCO SFERINI
3 novembre 2020
foto: screenshot tv