Promossa dalla instancabile ministra della giustizia Ayelet Shaked e sostenuta dal premier Netanyahu, da lunedì sera la “legge delle Ong”, nota anche come “Legge per la trasparenza”, è parte del codice israeliano. Dopo mesi di discussioni l’esecutivo di destra ha ottenuto quanto voleva: le Ong finanziate in prevalenza dall’estero a partire dal 2017 dovranno precisare l’origine e l’entità delle donazioni ricevute. Dovranno inoltre riportare tali donazioni nelle loro pubblicazioni e nelle comunicazioni con funzionari dello Stato. Se non lo faranno saranno multate. L’obiettivo, spiega Netanyahu, è quello di evitare una situazione «assurda» in cui, a suo dire, alcuni Stati esteri interferiscono negli affari interni del Paese grazie alle Ong ed associazioni israeliane che finanziano.
La legge non fa riferimento esplicito alla sinistra. Ma, di fatto, prende di mira oltre venti Ong e associazioni, tutte progressiste, che si occupano di diritti umani, in particolare nei Territori palestinesi occupati, che assistono migranti e rifugiati o che promuovono l’uguaglianza tra ebrei e arabi. Parliamo di organizzazioni storiche come B’Tselem, Acri, Breaking the Silence, Peace Now, Hamoked, Hotline for Refugees and Migrants. Ong che ricevono fondi soprattutto dall’estero, spesso grazie a linee di finanziamento dell’Unione europea nel settore dei diritti umani. Quelle di destra, vicine ai partiti di governo, che appoggiano la colonizzazione e l’occupazione, invece non saranno toccate dal «bisogno di trasparenza», per la semplice ragione che ottengono gran parte dei loro finanziamenti da istituzioni private. Le finalità della nuova legge sono talmente evidenti che persino il moderato leader laburista Isaac Herzog parla «di germogli del fascismo che fiorisce in Israele». Il capo della Lista unita araba, Ayman Odeh, ha accusato il governo Netanyahu di voler «intimidire ed eliminare le poche organizzazioni che agiscono e combattono nella sfera pubblica per garantire l’uguaglianza ai cittadini arabi». La legge, aggiunge da parte sua Peace Now, mira a «delegittimare le organizzazioni di sinistra, mentre gruppi filo-coloni ricevono milioni di dollari senza alcuna trasparenza». Per Human Rights Watch «se il governo di Israele è davvero preoccupato per la trasparenza dovrebbe informare il pubblico delle fonti di finanziamento di tutte le Ong e non solo di quelle che criticano le politiche dell’esecutivo».
Proteste arrivano anche dall’estero, in particolare dall’Unione europea più volte chiamata in causa dalla destra israeliana durante il lungo dibattito che ha portato all’approvazione della legge. L’Ue dice di comprendere «la necessità legittima di trasparenza» ed esalta quella che definisce la «vibrante democrazia» israeliana. Allo stesso tempo sottolinea che la legge limiterà le attività di molte Ong. Secca la replica ai microfoni della radio delle Forze Armate della ministra Shaked che ha escluso vi sia un intento di discriminazione politica e ha accusato le Ong finanziate dall’estero di «denigrare l’esercito». «Ad ogni buon conto – ha concluso la ministra – non intendiamo abbassare la testa di fronte ai comunicati dell’Unione europea». A destra i commenti all’approvazione della nuova legge sono tutti positivi. Il passo, spiegano le organizzazioni più estremiste, colpirà chi «lavora per le forze straniere» che utilizzano le informazioni e i rapporti delle Ong di sinistra per attaccare Israele all’Onu e in altre sedi internazionali. Il riferimento è a B’Tselem, il più noto dei centri israeliani per i diritti umani, e a Breaking the Silence che raccoglie testimonianze di militari su crimini di guerra e abusi compiuti nei Territori occupati.
Ieri intanto centinaia di coloni, attivisti e politici della destra radicale hanno «visitato» la Spianata delle moschee di Gerusalemme, che per gli ebrei corrisponde al biblico Monte del Tempio, uno dei siti a più alta tensione politica e religiosa. Tra i «turisti», come li descrive di solito il governo Netanyahu, erano presenti i genitori di Hallel Yaffa Ariel, la ragazzina ebrea accoltellata e uccisa circa due settimane fa da un palestinese nella sua abitazione nella colonia di Kiryat Arba (Hebron). «Il cuore di nostra figlia è stato accoltellato. Stiamo rafforzando il cuore della nazione…Questo è il cuore della nazione» ha detto Rina Ariel, la madre della ragazza uccisa, in riferimento al movimento dei coloni che vivono nei Territori palestinesi occupati. Sempre ieri un giovane arabo israeliano, forse un beduino, è entrato a Gaza all’altezza della città di Khan Yunes. Si tratta del terzo caso del genere negli ultimi due anni. In precedenza un ebreo di origine etiope e un altro beduino sono entrati di propria volontà a Gaza. Per restituirli Hamas chiede a Israele di liberare centinaia di detenuti politici palestinesi.
MICHELE GIORGIO
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