“Non mandare gli spermatozoi in fumo”, che è come dire: “Non farti le seghe e usali solo per procreare”.
“La fertilità è un bene comune” e qui le interpretazioni variano: che cosa significa? Che la fertilità è un bene pubblico che riceve incentivi dallo Stato? Che è tutelata e incentivata per dare “figlia alla Patria” come accadeva in tempi bui di un recente passato che non passa?
“La Costituzione tutela la procreazione cosciente e responsabile”. Vorrei che si trovasse l’articolo della Carta del 1948 che descrive questo principio. Non c’è ombra di tutela della “procreazione” nella legge fondamentale della Repubblica Italiana: anzi, non c’è proprio la parola “procreazione”.
Ci si può riferire all’articolo ventinove oppure al trentesimo, oppure ancora al successivo: tutti formulano tutele nei confronti della famiglia e dei figli, ma di atto procreativo e di tutela del medesimo i Padri Costituenti non hanno fatto cenno. All’epoca, per fortuna, non c’era sui banchi dell’alta Assemblea di riorganizzazione dello Stato un ministro che pensava al “Fertility day”.
Beatrice Lorenzin sostiene di non scorgere alcun segno di bigotteria, di interpretazione del ruolo femminile in chiave regressiva, austeramente cattolica nel senso più conservatore che vi possa essere: per lei questa campagna sulla fertilità delle coppie, che culminerà il 22 settembre con un “day” apposito in numerose città del Paese, è solo un modo per attrarre l’attenzione sulla denatalità che colpisce l’Italia e incentivare così l’aumento di nascituri e l’informazione, precisa il ministro, anche sulle malattie sessualmente trasmissibili.
Le obiezioni di merito sono fin troppo facili da esplicitare: come è possibile inneggiare alla fertilità e al ruolo attivo delle coppie in questo senso se non vi è una disponibilità economica per le giovani generazioni nella formazione della famiglia “propriamente detta”? Mettere al mondo delle creature è una gioia ma è anche un costo che, chi è pagato in voucher o fa lavori precari di mese in mese, non può assolutamente programmare.
C’è poi un altro aspetto: la campagna sulla fertilità non tiene conto dell’infertilità patologica. Ci si può davvero rivolgere a tutte e tutti indiscriminatamente senza tenere conto dei sentimenti di quelle persone che non possono avere figli per via di disfunzioni non curabili?
E ancora, passando su un piano piuttosto etico e civile: perché mai una donna, ma anche un uomo, dovrebbero essere invitati dallo Stato a fare dei figli? Non si può lasciare piena libertà di scelta ai cittadini? Qui siamo oltre il “diritto” di esprimere una necessità, un bisogno, una impellenza.
Avere un figlio è un atto di amore, un sentimento che cresce e che a volte rimane soltanto tale perché troppi sono gli impedimenti di varia natura che si frappongono tra il desiderio e la concretizzazione del medesimo in una dolce realtà.
Il ministro si difende con una argomentazione peggiore rispetto al contenuto delle cartoline che girano su Internet: tutto risponde ad un “Piano di fertilità nazionale” che fa pensare a metodi di controllo della crescita della natalità sulla scorta di vecchi tempi in cui esisteva anche un premio in denaro per le donne che offrivano più figli alla Patria.
Lo Stato che si preoccupa della decrescita delle nascite potrebbe anche essere uno Stato sociale che tende a scoprire le cause economiche, sociali e scientifico-mediche che vi possono essere alla base del problema: ma uno Stato che fa un “piano” per la “fertilità nazionale” somiglia molto ad uno Stato etico che controlla quanti bambini nascono e, se non nascono, finisce col considerare metodi di induzione delle nascite con un convincimento magari prima psicologico e poi sostenuto da incentivi di varia natura.
Il medioevo dei diritti e delle libertà è sempre dietro l’angolo: pensavo di aver assistito al declino morale del Paese già abbastanza con le misure economiche in atto, con il “Family day”, ma mi accorgo che c’è sempre un peggioramento pronto a spuntare dietro l’angolo dell’impensabile.
La visione cattolico-vandeana che il ministro Lorenzin esprime nella campagna del “Fertility day” è la sostanza che si cela dietro la amorevole propensione alla diffusione delle nozioni “giuste” sulla procreazione, sui metodi di concepimento (chissà cosa ci sarà da scoprire ancora dopo migliaia di anni di specie umana diffusa sul pianeta…), sulle malattie sessuali. L’unico punto che può avere un valore e che, però, funziona da contorno di un pasto di ipocrisia che non ha eguali in questi ultimi anni in quanto a proposta di un’etica che contempli il sesso soltanto finalizzato alla procreazione, escludendo quindi il piacere, il godimento, la gioia reciproca che è un diritto universale cui dovrebbero aspirare tutti gli esseri umani e viventi.
Parlare di fertilità non è un tabù, a differenza di quanto afferma il ministro della Salute. Parlare di fertilità nei termini proposti dal ministero è una provocazione su molti fronti: quando si scrive “La tua gravidanza dura di più del tuo contratto”, ci si dovrebbe interrogare seriamente sull’insulto sociale che questa frase esprime.
Coloro che hanno creato i presupposti, per poi svilupparli pienamente, per la massima precarietà lavorativa sono gli stessi che si permettono di scrivere che una gravidanza ha importanza perché dura di più di una occupazione che non garantisce proprio al nascituro un futuro degno d’essere vissuto!
Tutto ciò dovrebbe indignare madri e padri già tali, madri e padri non ancora divenuti tali e tutte e tutti coloro che vorrebbero poterlo diventare ma, proprio anche grazie ai contratti capestro avallati dalle politiche economiche del governo, non possono nemmeno immaginare il futuro prossimo in due… Allargare la famiglia rimane una utopia. E questa utopia non è scritta nella Costituzione. Eppure esiste, si autoprocrea ogni giorno e si alimenta delle vite spezzate di giovani e meno giovani che dovrebbero “preparare una culla per il futuro”.
La mediocrità non ha mai fine per chi pensa che la libertà sia dettabile con una morale superiore, una morale religiosa, una morale che tiene conto solo dell’interesse nazionale di chi oggi gode di infiniti privilegi e vorrebbe vederseli garantiti dallo sfruttamento dei figli che nasceranno tra l’indigenza crescente di generazioni di giovani che sono disoccupati per il 40% del totale della popolazione tra i 15 e i 24 anni di età.
La mediocrità di un governo si testa anche attraverso proposte insultanti come quella del “Fertility day”. E anche se le cartoline saranno cambiate, perché l’ondata popolare di indignazione cresce di ora in ora, non cambierà il giudizio su un esecutivo che a cuore solo il benessere di pochi e la sopravvivenza che si trascina di giorno in giorno, inesorabilmente schiava del degrado sociale, morale e incivile di un Paese apatico, incapace di ribellarsi, assuefatto da promesse di età dell’oro che non arriveranno mai. Mai per i proletari moderni, ma sempre per i moderni finanzieri, padroni e banchieri di turno.
MARCO SFERINI
1° settembre 2016
foto tratta da Pixabay