Il golpe di Trump non è a Caracas. È a Washington

Spalle al muro. Messo spesso all’angolo, il Congresso ha però tenuto sempre a tutelare tenacemente e gelosamente le sue prerogative in materia di spesa e di bilancio, che sono il cuore della sua autorità da due secoli e mezzo, come prevede l’articolo 1 della costituzione

Altro che a Caracas. Il golpe, Trump lo fa intanto a Washington. Parola grossa? Forse un po’. Ma ci si va vicini. Basta leggere l’editoriale del New York Times a commento della decisione del presidente di dichiarare lo stato d’emergenza nazionale, un passo di gravità senza precedenti perché «costituisce un riordino della dinamica del potere» tra le istituzioni a vantaggio dell’esecutivo, è l’usurpazione di «una delle responsabilità fondamentali attribuite al Congresso, il potere di spesa», «un’occupazione del potere» che deve allarmare i legislatori.

Il ruolo politico e decisionale del presidente è andato crescendo nel corso degli ultimi decenni e parallelamente è aumentato l’allarme sull’affermazione di una «presidenza imperiale», legata anche al ricorso crescente fino all’abuso disinvolto – anche negli anni di Obama – di ordini esecutivi per accelerare le decisioni e aggirare il Congresso.

La destra descriveva Clinton e Obama come «dittatori progressisti» perché, ricorrendo spesso all’executive authority attribuita alla presidenza, imponevano le loro scelte a un’America che, a dire dei conservatori, in maggioranza le osteggiava.

E oggi? Messo spesso all’angolo, il Congresso ha però tenuto sempre a tutelare tenacemente e gelosamente le sue prerogative in materia di spesa e di bilancio, che sono il cuore della sua autorità da due secoli e mezzo, come prevede l’articolo 1 della costituzione. The purse, la borsa.

E lì dentro che The Donald ha messo le mani. Per agguantare otto miliardi di dollari che il Congresso gli aveva negato – concedendogli una cifra molto inferiore – per realizzare la sua ossessione, il muro al confine con il Messico.

Un’emergenza nazionale? Un fenomeno che va avanti da anni – peraltro in diminuzione – e che può anche preoccupare parti della pubblica opinione ma che non merita certo l’erezione di un muro né tanto meno la dichiarazione dell’emergenza nazionale. Due terzi degli americani intervistati in due recenti sondaggi sono contrari. Un passo, nota l’opinionista conservatore Matt Latimer, «totalmente antitetico alla democrazia rappresentativa e al sistema di checks and balances», l’equilibrio tra poteri che è alla base della democrazia americana.

Se non siamo al golpe, siamo alla «banana republic», osserva ancora Latimer, una deriva su cui i suoi amici progressisti l’avevano messo in guardia, dopo l’elezione di Trump. Macché c’è la costituzione, obiettava lui. Macché ci penserà il Congresso a fermarlo. Macché sarà il Partito repubblicano stesso a bloccarlo…Nessuno però aveva messo in conto che, a contrastare il tifone Donald Trump, ci avrebbero pensato soprattutto rappresentanti, in particolare donne, della «nuova» America, quell’America che Trump e i suoi sostenitori odiano e considerano la quinta colonna degli «invasori» che il muro dovrebbe fermare.

Già perché, se la dichiarazione d’emergenza sarà bloccata, sarà anche per merito di Alexandria Ocasio-Cortez e di Joaquin Castro.

La deputata di New York e il collega texano hanno fatto sapere che presenteranno una risoluzione al Congresso per disattivare la dichiarazione presidenziale di stato d’emergenza, perché infondata e perché crea «un precedente pericoloso riguardante l’equilibrio costituzionale dei poteri tra il ramo esecutivo e quello legislativo».

La risoluzione sembra avere i numeri per passare alla camera, e sarebbe già un primo passo importante, per poi arrivare al senato dove la maggioranza è repubblicana ma è risicata. E poi ci sarebbe comunque il potere di veto del presidente. Un iter difficile ma non impossibile mentre nel frattempo ci sono magistrati che potrebbero bloccare il presidente. La disputa potrebbe infine diventare materia da sottoporre allo scrutinio della corte suprema.

Il risvolto politico positivo della vicenda è che il Partito democratico sembra stia scoprendo nella leva dei politici eletti nel voto di medio termine una nuova capacità d’opposizione, come si è anche visto nella notevole performance di Ilhan Omar, la deputata del Minnesota che ha tenuto sulla graticola l’inviato speciale di Trump in Venezuela Elliot Abram.

È una nuova leva che cresce rapidamente, anche con qualche passo falso, ma che fa bene sperare che allo stato attuale l’America stia preparando un’alternativa.

GUIDO MOLTEDO

da il manifesto.it

foto tratta da Pixabay

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