In un’atmosfera surreale cui ormai non facciamo quasi più caso, la manifestazione per la giornata di mobilitazione sul clima riprende a lanciare un messaggio: basta false promesse. E, purtroppo, la situazione delle politiche per combattere la crisi climatica è ancora ferma. In un contesto globale che al momento non promette nulla di buono, tra tensioni internazionali e conflitti tra le potenze più importanti (anche per le emissioni di gas serra) Usa e Cina, a tentare di riprendere un ruolo l’Europa, anch’essa non senza difficoltà.
Così la giornata di mobilitazione che si è svolta in tutto il mondo – al largo delle coste dell’India un’attivista a bordo dell’Arctic Sunrise di Greenpeace ha fatto una protesta subacquea – in Italia è rivolta al governo che sta redigendo il Piano di ripresa e resilienza (Pnrr), un’occasione storica – e unica – di finanziare una vera svolta verde.
Certo le dichiarazioni del Ministro per la transizione ecologica sembrano più rivolte a tranquillizzare i settori industriali più recalcitranti a ogni cambiamento che i giovani scesi in piazza e mobilitati anche sulle piattaforme sociali. L’accenno alla fusione nucleare – già usato dall’Ad di Eni Descalzi – è pura fuffa. Il progetto Iter, in fase più avanzata rispetto a quello che finanzia Eni, non sarà operativo prima del 2035 e non produrrà commercialmente prima del 2050. Citare la fusione nel contesto della transizione ecologica è un esempio di diversione dell’attenzione che, nel caso di Descalzi, serviva a coprire il nulla delle politiche climatiche della sua azienda. Serve anche a sviare l’attenzione per un Pnrr senza alcuna vera ambizione climatica?
«Fra dieci anni avremo l’idrogeno verde e le automobili che andranno a celle a combustibile» è una sua opinione non confermata dal grosso degli investimenti che il settore sta facendo. Il motivo per cui questa affermazione è risibile è che il consumo totale di energia di un’auto a idrogeno è oltre il triplo di quella di un’auto elettrica. L’idrogeno infatti non è una fonte di energia ma un vettore energetico come l’elettricità: bisogna produrlo a partire da qualche fonte. E l’idrogeno verde lo si fa da elettricità prodotta da fonti rinnovabili: così le perdite associate alla produzione di idrogeno da rinnovabili al suo trasporto e stoccaggio fino quelle per la ri-conversione dell’idrogeno in elettricità con le celle a combustibile rende la competizione con le auto elettriche persa in partenza di almeno un fattore tre a vantaggio dell’elettrico.
Ma la frase più insidiosa tra tutte quelle che ha dichiarato Cingolani riguarda, implicitamente, il ruolo del gas fossile quando parla di rinnovabili: «sappiamo quale strada dobbiamo fare, dobbiamo partire da A e arrivare a B, più difficile è dire con quale pendenza raggiungere la meta». Il settore delle rinnovabili è pressoché bloccato da 9 anni, e per farlo ripartire seriamente servirebbe aumentare le installazioni di sei volte, con procedure autorizzative serie ma più snelle (l’ultimo impianto eolico entrato in funzione ci ha messo 8 anni per essere autorizzato).
Il «vecchio» Piano integrato energia e clima del governo Conte prevedeva molto gas e una curva di crescita delle rinnovabili «schiacciata» fino al 2025, anno di fuoriuscita del carbone. Dalla frase di Cingolani sulla «pendenza» potremmo dunque aspettarci un Pnrr apparentemente «verde» – con obiettivi rinnovabili importanti al 2030 – ma con curve di raggiungimento pressoché impossibili, per una pendenza di crescita a «mazza da hockey» mantenendo dunque una crescita lenta nei prossimi 5 anni. Certo, anche il clima segue purtroppo una pendenza di quel genere, ma associarla alle politiche energetiche servirebbe solo a tranquillizzare lor signori: andremo con molto gas (fossile).
Se davvero così fosse, il Governo presieduto da Mario Draghi avrebbe fallito la sua dimensione «ambientalista» – che ha rivendicato all’incontro con le associazioni – e avrà avuto solo il senso di proteggere quella parte dell’industria nazionale che vuol rimanere in retroguardia sul tema. E non avrà dato risposte ai giovani che, con mascherine e distanziamento e molta inventiva, sono ancora scesi in piazza. Speriamo di essere smentiti dai fatti.
GIUSEPPE ONUFRIO
Direttore Greenpeace Italia
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