La penso come Francesco Guccini questa volta (perché altre volte, anche ultimamente, mi ero trovato in disaccordo con il maestro di Pavana). Siamo esseri abitudinari e saremmo diversi dopo l’emergenza Covid-19 se prima della fine della medesima le nostre consuetudini, dettate da un sistema economico contraddittorio ma diffuso su tutto il Pianeta, potessero mutare in virtù non tanto di noi stessi, ma dell’adattamento che dovremmo subire in un mondo nuovo.
Un mondo dove, per evitare pandemie come quella che stiamo patendo ora, chi più e chi meno, andrebbe tutto rovesciato, capovolto.
Nulla dovrebbe assomigliare ad ieri, quasi niente all’oggi. Invece il virus cambierà, al massimo, soltanto qualche equilibrio tra i poteri istituzionali: spingerà a rivedere le riforme del Titolo V della Costituzione (forse…, ma proprio forse…); farà fare buoni propositi a tanti. Ma alla fine cambierà davvero poco.
Torneremo alle nostre pessime abitudini: finita la pandemia, gabbato lo virus.
Torneremo all’egoismo di sempre, ispirati dal modello capitalista che alimenterà nuove domande di un consumo necessario “per la ripresa dell’economia“. Ve la ripeteranno tante volte questa frase; la sentiremo dalle tv, dai dibattiti su Internet, improvvisati nella cloaca dei “social network” dove tutto è legittimo: come nella “Casa delle Libertà” di guzzantiana memoria. Lì si faceva un po’ quel cazzo che si voleva fare.
E così sarà nuovamente nel reale quotidiano. Stanco rituale di una normalità considerata tale e vera malattia di una umanità che si crogiolerà nella bellezza degli abbracci ritrovati, dei baci per troppo tempo rubati dal virus, degli stigmi subiti e fatti subire… Dei tanti rapporti interrotti. Soprattutto quelli di produzione.
Guccini afferma che siamo esseri che “dimenticano“. E’ vero. Dimentichiamo perché preferiamo la comodità di una vita frustrante alla necessità di una lotta liberatoria. Le pene sono così tante da realizzare il terreno di coltura e crescita di nuove pene, sopportabili proprio perché sradicare tutto appare impossibile, troppo faticoso, un lavoro titanico. Che infatti così è. Ma senza questo lavoro collettivo, di massa, potremo venire anche fuori dall’emergenza attuale ma ripiomberemo presto in un’altra. Magari non le generazioni attuali.
Le prossime. I figli dei figli. Il virus non rivoluzionerà le nostre vite così tanto da farle cambiare radicalmente: ci ha procurato uno shock forte, un trauma permanente, delle cicatrici che porteremo per tutta la nostra restante esistenza. Ma non ha ancora smosso le coscienze, anche se ha amplificato le contraddizioni del sistema, ha evidenziato l’esistenza della lotta di classe nel momento in cui Confindustria preme insistentemente per riaprire tutte le fabbriche (ma in sicurezza! La classica sicurezza che i padroni mettono nell’evitare le quotidiane morti sul lavoro…); la evidenzia ogni volta che un corriere di Amazon deve seguire la dittatura dell’algoritmo nel consegnare il più velocemente possibile i pacchi in tempo di pandemia globale.
Non possiamo chiedere al Coronavirus di fare la rivoluzione per noi. La dobbiamo fare noi esseri umani. Non esiste scorciatoia possibile…
(m.s.)