Molto più indietro del 1973
E’ una ben magra consolazione pensare che anche l’Italia, tra altri paesi d’Europa e del mondo, è sul terreno dei diritti fondamentali per la persona e, nello specifico, per le donne molto più avanti rispetto al faro della democrazia universale, a quei campioni della libertà che sono gli Stati Uniti d’America.
La Corte Suprema, uno degli organismi costituzionali che determinano il carattere federale della Repubblica stellata e quindi la sua unità nelle profonde differenze tra Stato e Stato, ha deciso di cancellare la costituzionalità della sentenza Roe vs Wade (datata 1973) che nei fatti sanciva il diritto all’aborto per tutte le donne americane.
Non è un salto indietro di mezzo secolo. E’ molto, molto di più, perché riporta il diritto statunitense, la società che vi si uniforma e i rapporti tra uomini, donne ed istituzioni ben prima di quel giudizio che venne accettato come fondamento della legislazione in materia di tutela garantita per la piena espressione della volontà della singola persone dentro un contesto di consapevolezza acquisita sull’intangibilità dei corpi, sul sottrarli a qualunque morale ed etica religiosa, a qualunque ideologia teologica, a qualunque ingerenza nella vita civile del grande paese.
Il colpo di coda del trumpismo si è dunque fatto sentire. Fragorosamente. L’ha fatto nel mezzo di una presidenza democratica poco coraggiosa in materia di rivendicazione proprio di quei diritti essenziali che sono, almeno nella gran parte del cosiddetto “mondo occidentale“, accettati e normati, inseriti dentro il più generale complesso di leggi che fanno dire a molti analisti che esiste un collegamento diretto tra la democrazia e l’espansione dei diritti civili.
Come è evidente dal caso statunitense, non solo non è sempre così meccanicistico questo collegamento ma, proprio per le distorsioni deformanti cui la democrazia può essere sottoposta, esattamente in nome della libertà di giudizio, di opinione e di legiferazione conseguente, il nesso fra evoluzione socio-economica ed etico-civile rischia veramente di essere una variabile troppo dipendente da una serie di cause che poco hanno a che fare col merito delle questioni e con le dirette conseguenze che hanno sui cittadini, mentre a giovarsene è una politica che gioca sulle menti e i corpi delle persone i rapporti di forza e di potere.
Etica teologica e diritto laico
Chi ha ritenuto possibile una congiunzione tra ispirazione religiosa e laicità universale dei diritti, tra convinzione morale teologica e norma del diritto uguale per tutti, ha fondato la sua aspirazione sul nulla.
Non può esservi incontro tra il puritanesimo evangelico dell’America fondamentalmente maschilista e bianca che i conservatori vagheggiano ancora tra le righe, senza nemmeno troppi infingimenti, e quel liberalismo capitalistico che tenta di sfuggire da molto tempo alla vecchia impostazione anglicano-metodista di un potere che preservi i dettami più antichi della Bibbia e che, quindi, uniformi tutta la società ad un regime di consolidamento della famiglia, all’accettazione della sessualità finalizzata esclusivamente alla procreazione e alla santificazione della vita fin da prima che sia vita.
Vietare il diritto per le donne all’interruzione di gravidanza, fondandosi sul principio secondo cui la vitalità del feto esiste fin dal concepimento, vuol dire sconvolgere ben più di mezzo secolo di lotte per un diritto che pareva acquisito e che, comunque, è sempre stato sotto attacco.
In un tweet Donald Trump invoca la “vittoria di Dio“, parendo dipingere una iconografia dell’evento con una connotazione volutamente vandeana e populista per attribuirsi quella che del resto è una sua vittoria, una sua nemesi contro l’amministrazione Biden e contro la galassia democratica.
Isteria religiosa delle masse e sfruttamento della credulità e della fede popolare da parte del mondo conservatore, complottista e della peggiore destra eversiva statunitense si fondono in una proposta politica che divide l’America, che ne fa, ancora una volta, un paese sempre in lotta con sé stesso per affermare una parte di sé: perché New York lega con Sacramento, San Francisco, Washington e Los Angeles, ma non potrà mai essere in sintonia con quel profondo Sud mississipiano e texano che è l’anima nera, oscurantista, omofoba, maschilista e patriarcale che non è mai veramente stata superata dalla modernità del pensiero liberale.
Le ragioni sono tante, a far data dalla fondazione della Repubblica, dalla Guerra di Indipendenza fino a quella che ha tracciato una cicatrice indelebile sul corpo della grande potenza emergente di allora e non ha smesso di sanguinare nel Novecento post-bellico, nella seconda metà di un secolo in cui gli USA hanno cercato il dominio unipolare che oggi va in oggettiva crisi con l’apertura del fronte ucraino, con lo sconvolgimento degli equilibri stabiliti informalmente dopo la caduta del socialismo reale e dell’Unione Sovietica.
Una parte progressista in materia di diritti civili di quel vecchio mondo della Guerra fredda si contrapponeva all’altra parte che esprimeva maggiori conquiste sul piano sociale. Due grandi settori del globo che non si sono potuti incontrare e scambiare le rispettive eccellenze in materia di avanzamenti morali, politici e soprattutto scientifici. Quando è stato tentato era ormai troppo tardi: il liberismo imperversava e costringeva i poli di aggregazione economica a confrontarsi secondo la spietata legge della concorrenza capitalistica.
Il ritorno del conservatorismo radicale
Per lungo tempo gli Stati Uniti d’America sono stati, nel nome della libertà del singolo che edificava quella collettiva, l’avamposto delle conquiste civili che si riverberavano nell’Europa da ricostruire e mostravano al resto del mondo la via della sempre più piena affermazione delle peculiarità distintive dell’essere umano che era – e si spera rimanga – quel cittadino richiamato dalla Costituzione che, a sua volta, prendeva spunto dagli esempi inglesi e francesi del ‘600 e del ‘700.
Il ritorno di posizioni conservatrici è stato possibile perché, proprio la tanto celebrata economia di mercato, ha impoverito una società resa sempre meno sicura nel suo futuro da politiche che hanno privatizzato ancora di più di quello che era privatizzabile nella patria del “self made man” e del pubblico asservito alla logica del profitto.
L’onda repubblicana, che pareva essersi affievolita dopo i venti di guerra nel Golfo e la lotta bugiarda e ipocrita al terrorismo mondiale di George W. Bush, ha ripreso vigore, si è radicalizzata con il sovranismo autarchico trumpiano, sostenendo le peggiori paure dei ceti sociali più disagiati e deboli.
La sottoproletarizzazione di larga parte della società statunitense non è stata intercettata dai democratici nelle rivendicazioni sociali che esigeva: la cosiddetta differenza tra il Grand Old Party e l’asinello di Obama prima e Biden poi si è vista soltanto in quello che è il terreno di scontro più ideologico e morale. Per l’appunto sul piano dei diritti civili, delle libertà personali e della loro condivisione collettiva nella vita di tutti i giorni.
La retrocessione dei diritti economici ha trascinato con sé quella dei diritti fondamentali della persona. L’attacco all’aborto, la sua archiviazione da parte di una Corte Suprema a trazione conservatrice è una conseguenza di questa impostazione fortemente radicata nella società e ai piani alti della politica istituzionale.
Congiunzioni (s)favorevoli
L’assalto a Capitol Hill, se ancora non fosse sufficientemente chiaro, nella sua plastica manifestazione di offesa alle istituzioni costituzionali era un messaggio di intimidazione diretta per tutti coloro che fino ad allora – nonostante Trump – potevano ancora sostenere che certi luoghi dove si forma la volontà popolare non erano più intangibili e protetti dalla formalità sostanziosa dell’autorevolezza storica.
Tutto poteva essere messo in discussione. Compresa l’inviolabilità dei palazzi del potere. I simboli non sono mai veramente solo delle icone da ammirare e interpretare passivamente: vanno vissuti come tali e declinati nella quotidianità delle lotte che, a loro volta, sono il frutto delle contraddizioni di un sistema dove le esistenze sono funestate da ingiustizie che classificano il tasso di disparità sociale che ancora endemicamente esiste nella grande Repubblica stellata.
Capitol Hill, le stragi nelle scuole, il possesso indiscriminato delle armi, il diritto negato all’aborto sono tutte simbologie concrete, fattuali, di un veloce ritorno al passato per un’America che fa la guerra in Ucraina per procura, che incita all’allargamento democratico – militarista di un imperialismo che gli è necessario per stabilire nuovamente il primato sul mondo intero e che, al suo interno, registra una regressione conservatrice di inusitata violenza.
La decisione della Corte Suprema è forse uno degli atti politici più gravi nella storia recente degli Stati Uniti. Un atto politico, sì, perché sebbene sia un organismo terzo rispetto al Congresso e alla Presidenza, questo potere magistratuale fa direttamente politica quando deve stabilire da che parte far pendere la bilancia di diritti, quale scenario aprire sul futuro della vita di centinaia di milioni di persone che, da oggi in poi, dovranno tornare a battersi per vedere riaffermato un principio che è stato dato per scontato soltanto per il fatto di trovarsi a vivere in una cosiddetta “democrazia“.
La fragilità dei regimi democratici non andrebbe mai derubricata, mai pensata al passato.
Andrebbe invece tenuta in considerazione senza soluzione di continuità, perché, sebbene venga fatta aderire impropriamente ad una stabilità economico-sociale mai veramente tale, viste le crisi del liberismo e le sue oscillazioni borsistico-affaristico-finanziarie, e pensata così come qualcosa di altamente imperturbabile e di insuperabile, proprio per il fatto di essere considerata il non plus ultra nelle costruzioni rappresentativo-istituzionali, nella configurazione moderna degli Stati, può crollare come un castello di carta a seguito di una congiuntura favorevole alle differenti spinte conservatrici.
Quando una democrazia finisce per garantire ad un popolo ben poco di più in termini di diritti civili e sociali di quanto non garantisca una dittatura, ebbene si può davvero chiamarla ancora democrazia? Si può davvero operare una distinzione draconianamente ferma e risoluta tra il sistema delle tutele che esiste a Washington oggi e quello che c’è a Mosca?
Una democrazia liberale non potrà mai essere veramente al riparo dagli attacchi della conservazione religiosa, da quelli del sovranismo neonazi-onalista, dall’autarchia economica, dal proibizionismo e dalla valanga di pregiudizi e prevenzioni ancestrali che emergono dal sottobosco delle tantissime paure umane che ci rendono disumani e che cercano di radicarsi nella società che se ne era liberata, proprio facendo leva su nuovi timori, su nuove incertezze, su una vita oggettivamente invivibile e soltanto sopravvivibile.
L’unica lotta, l’unica risposta
Quello che possiamo fare noi qui, dall’altra parte dell’oceano, è resistere per scongiurare un domani che una vittoria delle destre ci trascini verso una trasformazione regressiva della nostra legislazione in materia di diritti civili.
Per salvaguardare questa impostazione civile, civica e ideale della nostra società, dobbiamo avere la piena consapevolezza che senza una lotta sociale adeguata, senza una rivendicazione di sempre maggiori tutele sul lavoro, senza l’eliminazione dell’enormità rappresentata dall’incertezza sul proprio futuro, gli sragionamenti antistorici, discriminatori e fobici delle destre avranno sempre capacità penetrative nelle coscienze acritiche dei cittadini.
Le armi di seduzione di massa delle destre, che potranno essere così adoperate, saranno legate a semplicistiche risposte che non risolveranno nulla e che ci porteranno indietro di tanti decenni se verranno rimessi in discussione temi su cui ritenevamo di poter impostare il nostro futuro, non stando sulla difensiva, non ritrovandoci, come oggi, a dover guardare all’America non come precursore delle libertà civili ma come polo neo-teo-conservatore.
Per difendere i diritti civili è necessario lottare per superare gli ostacoli che impediscono la dignità sociale dell’uomo e del cittadino. Per affermare questi princìpi fondamentale non servono le ricette liberiste del PD e del “campo largo“: con quelle si fomenta la disparità dicotomica tra persone e istituzioni, si riconsegnano agibilità e legittimazioni proprio “democratiche” di forze che, altrimenti, sarebbero eternamente minoritarie, oltre che in minoranza.
Tanto in America quanto in Europa c’è bisogno di una sinistra sociale, di una sinistra anticapitalista che metta la vita al centro dell’agire politico: ma la vita veramente vivibile, non quella di un embrione che non ha coscienza di sé stesso perché su questo mondo grande, crudele, terribile, eppure così meraviglioso, ancora non ha ancora aperto gli occhi, non ha ancora messo piede.
MARCO SFERINI
25 giugno 2022
Foto di Emma Guliani